Fra le tradizioni ve nè una rimasta particolarmente viva nella memoria del popolo messinese, e risale alla guerra del Vespro.
Da diciannove anni,
la Sicilia era tormentata da vicende guerresche che imprimevano sempre nuovi aspetti nello
schieramento dei contendenti.
Il giovane e
valoroso Federico, contava soltanto sulla fedeltà dei suoi sudditi, sullaiuto di
pochi compagni darme che lavevano seguito dal regno dAragona, e su pochi
avventurieri in cerca di fortuna, e sempre pronti a mutare bandiera. - Non voglio un pirata, - gli rispose, con disprezzo, lammiraglio.
E il Templare, di
rimando: - Cosi va il mondo - concluse laltro, con sarcasmo.
Ruggero de
Flor, si recò da Federico, il quale laccolse subito, avendo estremo bisogno di
combattenti.
In quel tempo
viveva, a Messina, nel convento dei Padri Carmelitani, un frate di vita austera, di nome
Alberto, da tutti stimato un santo. - Comè possibile? Siamo stretti dassedio... - esclama Federico.
- Ciò che è
impossibile agli uomini, è possibile allOnnipotente, - risponde, con un dolce
sorriso, il santuomo; e continua: - per intercessione della Vergine della Sacra
Lettera, Egli compirà il prodigio; - cosi dicendo, guarda in volto tutti i
comandanti, in piedi, austeri; i suoi occhi si fissano su Ruggiero de Flor: - Io?! - balbetta il designato, - sono scomunicato, maledetto...
- Il Signore
sceglie chi vuole, - dice il Santo, - e, mentre parla, i suoi occhi risplendono di
tanta luce.
Il re Federico,
accogliendo come unispirazione divina le parole del frate, consegna credenziali e
grosse somme di denaro a Ruggiero de Flor il quale, in compagnia di pochi fidati, e di una
buona guida, a cavallo, sfuggendo alla sorveglianza del nemico, si reca nella città di
Sciacca dove compra tutto il grano che trova, e, requisendo, in nome del re, dodici
galere, le fa caricare, guidandole nel porto di Siracusa. Radunando, poi, i capitani delle
galere, dice loro, senza preamboli:
Gli uomini di mare
si guardano costernati:
Ogni discorso
sullaiuto soprannaturale, non sarebbe stato capito da quella gente, quindi Ruggiero
de Flor esclama, deciso: - Noi siamo pronti a rischiare la vita e perdere le navi, se cosi comanda il re, - esclama il più anziano dei comandanti - ma ... la ciurma non vorrà. Ubbidire; tutti sanno che lo stretto è sorvegliato dalle navi nemiche. - Per ora, tenete per voi il segreto, al momento giusto, parlerò io ai marinai, - dice il Templare.
Intanto, egli osserva il cielo con impazienza, passeggiando sulla tolda
duna nave di cui ha il comando.
Ad un tratto, si
accende il suo sguardo: verso ponente, agli ultimi bagliori del sole che tramonta, vede le
nubi dipingersi di un rosso intenso che si riflette sul mare. E il tempo favorevole tanto
atteso. Al sopraggiungere delle tenebre, infatti, si leva un forte vento di scirocco: - Dove andiamo? - chiedono i marinai. - A Messina! - grida. - Sopra una nave, si rifiutano di partire.
Là salta
subito il Templare, urlando: - Io non metto in pericolo la mia vita; io non credo ai santi, - esclama, sprezzante, un marinaio, un omaccione. - Se non hai fiducia nei santi, crederai a satanasso! - gli urla sul viso il Templare, e laffronta con tale cipiglio, che il malcapitato si affretta a dichiarare che vuole andare a Messina. - Sciogliete le vele! - ordina Ruggiero, e parte con la sua nave, seguita dalle altre undici.
Nella notte, il
vento di scirocco soffia gagliardo, e le dodici galere, spinte, sulle creste delle onde,
giungono presto nel canale di Sicilia. - Ancora non ci hanno avvistato, - mormora; - non tarderanno ad accorgersi. Più forte il vento sembra spingere le navi tra le onde minacciose; le vele, gonfie, par che debbano strapparsi. Ad un tratto, un brivido assale i marinai: lontano, presso Capo Spartivento, si delineano, sempre più nette, le sagome delle galere nemiche: è la potente flotta di Ruggiero di Lauria; il famoso ammiraglio ride di quelle dodici navi che, con tanta audacia, tentano di forzare il blocco. - Sono una buona preda, - mormora soddisfatto.
La sua flotta
avanza, spavalda, per impadronirsene. Il vento, però, favorevole alla navigazione delle
dodici navi, respinge la flotta che viene dalla costa calabra. Il grande ammiraglio,
maledicendo il vento contrario, ordina di ammainare le vele, e di procedere a forza di
remi. Ruggiero de Flor non perde un attimo di vista il nemico, e misura, con ansietà, la
distanza che separa ancora le sue navi dal porto di Messina. Le sue navi si piegano sotto la spinta dei venti, e sembrano, talora, dover scomparire tra i marosi. La flotta nemica avanza sotto lo sforzo dei remi, e Ruggiero di Lauria, imprecando, urla di forzare il ritmo, e fa staffilare, spietatamente, i vogatori. - Vi farò uccidere, se mi sfuggono quelle navi! - minaccia adirato. Sincurvano le schiene dei rematori nello sforzo; tutti sanno che il crudele ammiraglio è capace di fare eseguire la minaccia. Già breve è lo spazio che divide le prime galere angioine dalle dodici navi. E una lotta spasmodica. - Vorrei sapere chi è il demonio che guida le manovre di quegli audaci, - mormora, ammirato, Ruggiero di Lauria; - è un perfetto lupo di mare; a qualunque costo, dovrà passare al mio servizio ... Eppure ... uno solo è capace di tanta audacia ... - e gli balena in mente la figura di Ruggiero de Flor, che lui aveva disprezzato; il Templare maledetto si era, più volte, vendicato, col depredare o affondare qualche sua galera, sfidando la sua potenza; e questa, sarebbe stata una beffa bruciante. - Gli darò io il supplizio che si merita! - e guarda, con gioia satanica, laccorciarsi della distanza dalle sue navi.
Ruggiero de Flor,
giunto già allaltezza del porto di Messina, sa che, per sfuggire al nemico, ormai
vicino, dovrà compiere una difficile manovra; da esperto marinaio, tenta di far
bordeggiare le sue navi contro vento, ma senza risultato.
Intanto, macchine
da guerra, approntate, dai Messinesi lungo la parte esterna del braccio del porto, per
tenere lontano le galere nemiche, iniziano a lanciare pietre, dardi, materie capaci di
sprigionare il fuoco, e, tutto questo, impedisce alla flotta avversaria di avanzare.
Troppo tardi; la
reazione dei difensori messinesi, non lascia avvicinare nessuna galera nemica. Le dodici
navi, cariche di grano, gettano le ancore presso il molo, luna accanto
allaltra, mentre i cittadini esultano di gioia.
Per ricordare il prodigioso avvenimento, ogni anno, i Messinesi, nella Festa del "Corpus Domini", portano, in processione, pure una navicella dargento, con dentro spighe di grano, a cui si è dato il nome di "Vascelluzzo" (piccola nave) . Si vuole, così, ricordare insieme, l'importanza del pane, cibo che sfama il corpo, e la necessità dellEucaristia nutrimento spirituale per la vita dell'anima.
Racconti di Messina
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