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'u Vascedduzzu

Durante la processione del Corpus Domini, adornato da spighe di grano, viene portato a spalla dalla chiesa di S. Maria dei Marinai al Duomo il Vascelluzzo. Al Duomo viene aggiunta la reliquia con i capelli della Madonna e, dopo averlo condotto in giro per la città nel pomeriggio, viene riportato alla chiesa dei Marinai. Qui  viene spogliato delle spighe che vengono distribuite ai fedeli, insieme a piccoli pani di grano.

Il Vascelluzzo, opera di bottega Juvara, è un vascello a tre alberi lungo circa un metro,  con struttura in legno rivestita da fogli d'argento, che riproduce in maniera un galeone.  Su due alberi viene fissato il reliquario che contiene i propri capelli, con cui  la Madonna legò la lettera inviata ai messinesi. Sopra, due puttini reggono una corona. Le fiancate del vascello sono attrezzate con otto cannoni per lato. Altri cannoni sono sulla poppa; questa è abbellita con quattro cariatidi e con l'effigie della Madonna; sullo sfondo vi è la Palazzata di S. Gullì. Il vascello poggia su una base sulle cui facce sono rappresentati i marinai fondatori della confraternita di S. Maria di Portosalvo e quattro medaglioni riferiti alla Madonna della Lettera, a S. Alberto, a S. Placido e alla Madonna di Portosalvo.
Al simulacro sono legati i fatti dell'assedio di Messina, da parte del duca Roberto di Calabria nel 1302, e la terribile carestia del 1603. Nel primo caso, la città, che stava cadendo per fame, fu salvata dalla Madonna che fece comparire tre navi cariche di viveri, a seguito alle fervide preghiere di Alberto, monaco  di Pozzoleone
(in altra versione vengono citate tre navi e la richiesta di intercessione di Sant'Alberto presso la Madonna). Le Navi così come giunsero, poi sparirono, dando adito ad un fatto miracoloso.

Nel secondo caso, la grave mancanza di frumento, che aveva portato il senato messinese a decidere, con l'armamento di una galera, anche il dirottamento di navi in transito dallo stretto, venne superata da un fatto ritenuto miracoloso.
Il capitano di una nave carica di grano
(oltre 5000 salme), che dalla Grecia doveva raggiungere Napoli, avendo saputo della decisione del senato, mentre tentava di invertire la rotta per passere a sud di Capo Passero, fu colto da una tempesta improvvisa che danneggiò la nave, a tal punto da renderla ingovernabile e spingerla verso lo stretto.
La galea, per evitare le insidie dei  vortici di Scilla e Cariddi, entrò nel porto di Messina e il suo carico di grano salvò i messinesi dalla fame.

 

Una versione dei fatti meno miracolosa e più circostanziata viene prospettata nel racconto  "Il templare maledetto" di Gaetano Carbone

tratto da "Feste popolari e religiose a Messina"
- G. Conti, G Corsi  - Edizioni G.B.M

 

 

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