Così, il 14 luglio 1969,
il "Ben-Franklin" partì da Palm
Beach, dapprima rimorchiato per una mezza giornata, alla ricerca della Corrente
del Golfo.
L'immersione incominciò al cader della notte. Quando abbiamo chiuso
il portello, sapevamo che non lo avremmo riaperto prima che non fosse trascorso
un mese. Questa esperienza fu appassionante. Senza dubbio, nessun gruppo di seri
osservatori godette mai di una simile pace per una così lunga durata ed in
condizioni altrettanto favorevoli.
Per trenta giorni, fino al 14 agosto, un
giorno dopo l'altro raccogliemmo le nostre informazioni; informazioni interne,
per la NASA, i suoi psicologi ed i suoi medici, informazioni esterne per gli
oceanografi. Andammo così alla deriva per 1.500 miglia marine - oltre 2.700
chilometri - trascinati dalla Corrente del Golfo.
Cinque volte scendemmo sul
fondo e vi andammo alla deriva allora, trascinando il cavo d'ancoraggio come fa
un pallone, a piccola velocità. Sul fondo, vedemmo ad osservammo granchi di
grandi dimensioni, stelle di mare, aragoste, razze, ricci, anemoni di mare,
conchiglie varie e pesci, in breve, tutti gli animali dei fondi marini.
Fra due
acque, vedemmo il plancton, innumerevoli specie di plancton di cui la massima
parte appariva "positivamente fototropica", ossia attirata dalla luce
dei nostri proiettori. Quando accendevamo questi ultimi, il plancton veniva a
sfarfallare intorno ad essi, si accumulava nel cono di luce e la vita (granchiolini,
eufausiacei, copepodi, salpe) sembrava ribollisse nel mare. Le salpe
soprattutto, piccoli tunicati pelagici, erano innumerevoli, talvolta isolate,
talvolta in catene lunghe parecchi metri. E, cosa curiosa, quando erano riunite,
sembrava non formassero che un solo animale, tanto ondulavano elegantemente
nell'acqua, obbedienti, allora, ad una sola direttiva, ad una sola volontà.
Brillanti sotto la luce dei nostri proiettori, talvolta multicolori, cesellate
con straordinaria finezza, avrebbero potuto destare l'ammirazione di Benvenuto
Cellini.
Non tutti gli animali del mare ci hanno dimostrato altrettanta simpatia.
Un
mattino siamo stati attaccati da un pesce-spada lungo un metro e mezzo.
Sostenuto moralmente da un compagno che gli proteggeva la ritirata, l'aggressore
si è precipitato contro un oblò, lo ha sbagliato di poco, ma è venuto a
colpire, con tutta la sua massa, le nostre pareti d'acciaio. Questo attacco è
tanto più curioso, in quanto un altro pesce-spada aveva precedentemente già
attaccato un altro sottomarino di ricerca, l'"Alvin". Quella volta, il
suo naso era rimasto incastrato nella soprastruttura del sottomarino e l'animale
era stato portato alla superficie. Perché questi attacchi? Quali sentimenti
facciamo nascere fra questi pesci? Per quale mostro mai ci prendono, noi che
veniamo soltanto per osservarli?
Dovemmo anche affrontare la dinamica del mare. Da una parte, ed era questo che
cercavamo, la corrente ci trascinava sempre seco, verso il Nord, verso il
Nord-Est, verso l'Est, occasionalmente verso il Sud-Est. Ma dall'altra,
gigantesche onde interne (quelle onde che non apparivano alla superficie, o
apparivano tutt'al più in modo trascurabile), in certi momenti ci facevano
salire e scendere secondo le loro azioni imprevedibili.
Una volta, in sette
minuti, siamo scesi di quaranta metri e risaliti di sessanta. Bisognava
controllare continuamente la nostra profondità, e di tanto in tanto,
intervenire per non salire troppo vicino alla superficie oppure scendere troppo
profondamente. Una volta avvenne pure che la corrente ci buttò fuori dal suo
corso.
La Corrente del Golfo è nota per il fatto che semina lungo le sue rive
giganteschi vortici che abbandona poi alla loro sorte; fummo presi in uno di
questi cosiddetti "Eddies".
Si dovette risalire alla superficie, e -
sempre senza aprire il portello - farsi rimorchiare per più di 30 miglia per
ritrovare la corrente principale.
Passammo quindi al largo del Capo Hatteras,
quel capo dalle terribili tempeste, ma per noi, a qualche centinaio di metri di
profondità, non esistevano certo tempeste. Avevamo previsto, in generale, che
la nostra velocità sarebbe stata più debole al Nord di quella regione: al
contrario, fu maggiore. La Corrente del Golfo ebbe punte che superarono i 4
nodi; per parecchi giorni, abbiamo fatto continuamente 3 nodi.
Una discesa a 500
metri ci dimostrò come anche a quella profondità, ed in quella regione, la
Corrente del Golfo faceva 3 nodi. E' interessante osservare, tuttavia, che
alcuni oceanografi americani per quella regione avevano previsto velocità di 5
e addirittura di 6 nodi, sulla base di calcoli complessi che facevano
intervenire le forze di Coriolis, le pressioni e le temperature dell'acqua. Ma,
che io sappia, queste velocità considerevoli non erano state misurate
sperimentalmente e, per noi, furono una completa sorpresa. Ecco un brillante
esempio di ciò di cui sono capaci i teorici del mare, fisici e matematici.
Alla fine dei trenta giorni, eravamo a 300 miglia a Sud della Nuova Scozia. Era
giunto il tempo di risalire. Col numero di dati raccolti (di cui molti, mentre
scrivo queste righe, sono ancora analizzati dai calcolatori elettronici di
Washington), con le osservazioni visuali fatte quasi continuamente per 732 ore,
con gli studi sulla "life science", la scienza della vita, eseguiti
per la NASA, e soprattutto con il fatto che abbiamo eseguito uno studio
altrettanto approfondito e altrettanto completo (ma in condizioni quanto
migliori!) di quello che fa una nave oceanografica di superficie, noi riteniamo
di aver aperto una via, aver inaugurato un nuovo metodo di ricerca: quello della
permanenza sott'acqua.