Dario Bellezza

Cola l'anarchico

Caorle

Accadde molti, molti anni fa,
non si sa di preciso,
è un segreto tra Dio
e il giovane, taciturno e aitante, Cola.
Cola, dal sano e indifeso ventre,
viveva in una città di sole pulito e di mare cristallino.

Una città, dove le notti
come i limoni sono perfette,
racchiuse ciascuna in se stessa.
La città, che come un grido di cometa
aveva attraversato i tempi,
con il largo clamore ritmato
di voce intonata da scrosci, era Messina.

Cola sapeva bene
che ogni goccia di mare è oceano,
rugiada,
lacrima d'infinito,
e così adornava la piana
delle maliziose onde di estasi.

L'acqua fioriva di sogni
e del riso divino.
Cola diventato per tutti,
compresa la madre astiosa,
Colapesce sgocciolava virtuosi sentieri
lasciandosi rapire corpo e anima.

Gli amici pesci
gli scivolavano intorno a grappoli.
Gli si appaiava il delfino fratello,
con un piccolo incendio di gioia.
Il pesce spada pulsava di vita
tra le larghe maglie del giorno.

Mentre la falce di luna
apriva piccoli occhi di lava
e il vento s'attardava sul corpo
di Cola modellandolo,
le ninfe danzavano sulla cresta dell'esultanza.

Al richiamo irrecusabile degli abissi marini
Cola faceva vivere castelli di sabbia e di sole;
gareggiava col tempo;
coglieva asfodeli d'amore nel giardino dell'infinito.

Quando il Re,
dopo aver ricevuto principi e nobili
per dar marito alla figlia,
lo invitò sulla addobbata barca,
fu una enorme sorpresa.

Cola non aveva un corpo squamoso,
ma pelle liscia e morbida e volto imberbe.

Caorle

Il Re lo mise subito alla prova
gettando in mare una coppa d'oro,
tempestata di pietre preziose;
anche la schizzinosa principessa
buttò in mare la sua cintura,
promettendo il bacio della languida mano
qualora Cola l'avesse ritrovata.

Sulla spiaggia c'era una folla tesa e silenziosa.
Migliaia di occhi cristallizzati.

Pochi minuti e l'acqua s'increspò.
Senza fretta apparve Cola,
nella destra teneva la coppa del Re,
nella sinistra la cintura della Principessa.
L'urlo della folla squarciò
l'innocenza del mare e del cielo
azzurri allo stesso modo.

Ma il Re e la Principessa, non soddisfatti,
raddoppiarono i premi
e gettarono, di nuovo, tra le onde
un'altra coppa e una collana.

Cola riportò, dalle viscere dell'acqua,
i due oggetti. Ormai la sfida
s'era fatta coinvolgente.
Il Re rilanciò e la Principessa
imporporandosi vergognosamente disse:

"Se mi riporterai l'anello,
di brillanti e zaffiri, sarò tua sposa".
La folla rumoreggiò.
Qualcuno urlò disperatamente:
"Non farlo!"

Caorle

Ma Cola s'era già immerso.
Il tempo passava. Si fece sera;
una sera dai tersi colori.
La notte calò senza fretta.
La folla chiusa in un ermetico silenzio
tornò alle proprie case.

Cola, l'anarchico, non riemerse.

Lo vedono scherzare e gareggiare
con i fratelli pesci
coloro che hanno occhi
aperti sugli abissi
e sui confini dei sogni.

Voglio cantare
le nuvole dei sensi,
nel cielo terso che respira i tuoi anni,
Cola,
le tue notti non provvisorie, come le mie.
Voglio issare il tuo nome
in cima all'albero vergine
da imboscate piratesche.

Voglio gridare
la tua voglia di vita,
nata e nutrita dal nulla;
i tuoi viaggi negli iridescenti palazzi,
in fondo al mare;
le stragi di cuori di sirene e marinari.

Voglio seguirti, all'imbrunire,
quando la sabbia è ancora tiepida,
nel sogno ad occhi aperti,
per consolare i pianti smisurati dell'amore".

Caorle 

D. Bellezza
 Colapesce di Torre Faro
"XXV artisti per un mito: Colapesce"
Messina 1995

 

   

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