L'uomo pesce del futuro
Il lavoro che stava facendo gli piaceva e lo interessava molto. Aveva sempre avuto un'autentica passione per
le testimonianze del passato.
Manovrava con rapidità e precisione l'immaginigrafo tridimensionale.
L'acqua era abbastanza limpida, e comunque
i potenti illuminatori telecontrollati consentivano un'eccellente ripresa. Lui doveva
soltanto documentare lo stato d'avanzamento dei lavori eseguiti dai "Definitivi".
Solo costoro, in
effetti, potevano mandare avanti quella fatica improba.
Si trattava di strappare all'abbraccio degli organismi incrostanti gli edifici più cospicui di Napoli.
Il Dipartimento della cultura aveva deciso di compiere un'operazione analoga a quella che,
migliaia d'anni prima, Carlo III° di Borbone aveva iniziato appunto nei paraggi di Napoli:
restituire ai contemporanei la testimonianza ineguagliabile d'un affascinante e remoto
passato. Solo che gli archeologi di Carlo III dovevano trarre dal fango e dalla cenere
pietrificata Pompei ch'era stata sepolta d'un colpo solo.
Qui c'era poco da scavare:
Napoli era finita sott'acqua insieme ad altre antichissime città: New York, Londra,
Palermo, Sydney, Buenos Aires, a Rio de Janciro le onde dell'Atlantico lambivano l'orlo
della tunica del Cristo benedicente, che molti secoli prima stava in cima al promontorio
del Pan di Zucchero. Se i mari fossero stati solcati ancora da navi di superficie sulla
testa del Cristo avrebbero dovuto mettere un faro: ora con i sommergibili atomici
transatlantici non ce n'era più bisogno, si navigava alla cieca, senza comandanti e senza
marinai, facevano tutto i computers.
Il cicalino dell'orologio lo richiamò alla realtà. Con un volteggio elegante si afferrò al collare
del suo delfino, che era venuto giù non appena aveva captato gli ultrasuoni del
segnatempo, e si lasciò trascinare a tutta velocità verso la superficie.
Era stato sotto meno di
8 minuti, più un minuto e mezzo per scendere e 45 secondi per risalire. Ma al
Dipartimento non volevano correre rischi: il Computer Capo era molto scrupoloso, e
programmato con un grande senso di responsabilità.
Contemporaneamente a lui ruppero la superficie del mare, liscio come olio, altri due Uomini A con
i loro delfini. L'ultima immersione in apnea profonda si era conclusa senza incidenti. I
delfini si attardarono ancora per qualche attimo intorno ai battelli appoggio, poi si
diressero verso il largo. Sarebbero tornati quando fosse stato necessario, ubbidendo senza
indugi agli impulsi elettronici inviati loro.
Animali molto intelligenti, erano
perfettamente consci dell'importanza del loro ruolo in quelle imprese umane: la loro
funzione non era certo equiparabile a quella che migliaia d'anni prima era stata di muli,
cavalli o cani; essi, cioè, non venivano impiegati soltanto per trascinare rapidamente in
superficie gli Uomini A al termine delle loro apnee profonde, per questo
sarebbero andati meglio i piccoli portasub monoposto: avevano piuttosto una funzione
psicologica, poiché la loro presenza di mammiferi laggiù, spesso a più di 100 metri di
profondità, era di grande conforto agli operatori subacquei.
I Definitivi, naturalmente, non sentivano il bisogno della presenza confortante dei delfini.
Mentre lui si liberava della monopinna in fibra di vetro e della spessa muta, ne erano
giunti quattro, di questi "Uomini D intorno al battello-appoggio. Uno doveva
venire a bordo a fare rapporto, così era stato preparato il Contenitore Attrezzato.
L'Uomo D aveva ormeggiato il suo trasportatore accanto al battello-appoggio
e, con un agile colpo di pinna, si era introdotto nel Contenitore Attrezzato, nel quale
l'acqua circolava ossigenandosi abbondantemente.
L'Uomo D s'era messo al lavoro alla svelta: buttava giù i suoi appunti con una matita elettronica impermeabile
che trasmetteva, parola per parola, a un registratore ampex. Poi il nastro sarebbe stato
spedito al Dipartimento, e lì il computer avrebbe analizzato la relazione scritta e
stabilito il da farsi.
Gli Uomini A guardavano pieni di curiosità l'Uomo D.
Per loro era un personaggio incomprensibile. Tale e quale a quelli che,
qualche generazione prima, s'erano fatti ibernare ed erano partiti con una gigantesca
astronave verso i Pianeti Esterni.
Non erano ancora giunti alla meta, si sapeva che da settant'anni tutto procedeva bene, ed era augurabile che, alla fine del viaggio, tutto
funzionasse ancora perfettamente e che il computer di bordo si ricordasse di
scongelarli. Da laggiù avrebbero trasmesso a un altro computer tutte le informazioni
raccolte sulla superficie di quell'altro mondo, così remoto'
Bella soddisfazione. Ma, d'altra parte, non avrebbero potuto fare diversamente perché tutti quelli che avevano
organizzato la loro partenza dalla Terra, nel frattempo, erano defunti da un pezzo.
Gli Uomini A s'aspettavano che da un momento all'altro il corpo di qualche Uomo D
cominciasse a mostrare chiari segni di mutamenti genetici, magari qualche piccola scaglia
sulla pelle, o un principio di saldatura delle gambe tra di loro. Invece, niente. Per la
verità assomigliavano proprio a pesci, con quella muta isotermica d'un bel colore verde
dorato, le gambe inguainate in un'unica coda di sirena e terminanti nella grande monopinna
gialla, saldata direttamente all'alloggiamento per i piedi.
Uno degli Uomini
A disse:
Sarebbe ora che anche le donne si decidessero a entrare nel Corpo
D. Quei poveretti già devono fare troppe rinunce: i timpani asportati, il pace-maker sotto
l'ascella per respirare, mai un caffè, mai una sigaretta, il cibo tutto e sempre
invariabilmente salato....
Già, disse un altro, così nascerebbero i bambini sott'acqua, e gli ostetrici dovrebbero
andar giù con gli autorespiratori e portare di corsa il pargolo in superficie, come fanno
le delfine!.
Tutti risero.
L' Uomo D interruppe per un momento il suo
lavoro e si voltò a guardarli, da dentro al suo Contenitore Attrezzato. Non aveva potuto
sentirli, si capisce, ma i quattro Uomini A ebbero l'impressione che il
Definitivo li avesse uditi, e ammutolirono di colpo, vagamente imbarazzati.
L'Uomo D tornò ad abbassare lo sguardo sullo schermo che gli serviva da
foglio di carta. I suoi occhi, dietro le lenti a contatto trapiantate sulla cornea,
sembravano fissi e spenti.
Tratto
dalla Enciclopedia del mare
Curcio editore
www.colapisci.it
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