Giovedì, 10 Maggio 2007
Prosit, prosit Colapesce!
Il Mito di Colapesce
Ho bevuto il rosso nella
canicola d’agosto, e tosto, bottiglia in mano procedo verso il quai,
quassotto, solo quattro passi.
Con gli occhi bassi, tonto dal grado,
incedo alticcio verso le bitte al porto. Lentamente il mare mi è vicino,
e attorno la notte è sposa al lumicino della Luna appena piena.
Oh!
spettacolo sublime, questo mare calmo, colmo di brillori, abbandonato di
solstizio, finalmente solo!, neanche un villano a disturbare!
Seduto
sulla bitta al centro del filare, il creato che ho di fronte e allato fa
eco alla mia Musa: è già tempo di ricordi, ho speme di creare.
Il
picchetto è squamato dal salmastro, di ferreo arrugginito come un faro
antico bovinda l’enorme glande sul mare senza redini alla gorgiera e
legni a cui badare.
Ora vedo l’onda di marmo che s’allunga nella notte
fino allargo, dove la lampara accesa galleggia fra le stelle sopra e
sotto, borbottando un ritmo di motore a scoppio, lento, sparato, di
volta in volta terzino: pot pot pot… pot pot pot...
E la luce di lampa
che si muove, svapora sul mare il suo candido velo di lattice e lino.
Qualcosa mi disturba, perché il vino vuol tornare sotto, compulso dentro
l’ombelico. Eggià, più su, nell’aria nera della notte, un’insegna di
Banca si specchia sull’alma di mare. Alta come un’altra Luna, s’erge in
fondo alla strada grande, abbandonata e vuota di passanti, gemello nero
dell’imbarcadero liberato dai natanti.
Il neon blandisce la collina che
precipita al mare come la vide Goethe quando c’era Dio a regnar sulla
natura del promontorio scritto, il più bello del mondo.
Ora, la corte alla Luna la
fa l’insegna, sul mare la prende prona. Come uno specchio è addosso a
Selene, e col fare del vento il riflesso sbrilletta il suo seme che
arranca: Banca, Banca, Banca… Rabbia!
Rabbia m’assale e sale di nuovo
iroso il rosso alla testa: Oh! terra di Paradiso e firmamenti, dove sono
le tue marine leggende?, dove sono le tue merline magie?
Tutte le bitte
al porto son vuote di legami: l’estate se le porta via e dopo il varo,
la boa galleggia solitaria fronte al porto. Sul finir della stagione
torneranno i comandanti coll’ancore possenti, e di nuovo il gancio
adduglierà la chiglia a questa bitta mia. L’ospite verrà e fermerà il
suo piede: terra! Terra! Siamo giunti!
Ma non saprà cos’era la Sicilia
senza che mammona ne sfregiasse la Natura.
Isola di muse, Templi e
venustà! Terra di scienze, arte e gran deità!
Dov’è Cerere feconda la
più prolifica di grano?, ed i boschi sempreverdi sciamannati al
sahariano vento?, ed i fiumi di gran letto ch’hanno eretto le città?, e
le fonti di ruscello, acqua pura e cristallina, d’ogni falco e
selvaggina?, e l’anello del gran Re che con la corona in testa parlò al
mito Colapesce?
- Prendi e bevi insieme a me Oh! colendo Colapesce perché
siam sulle tue spalle come gente sopra il mare; la Sicilia nell’atlante
è lì ancora grazie a te; sulle tue robuste spalle la salvezza di
Trinacria; alla tua immortalità ogni fama e dignità.
Prosit!, Prosit!,
Colapesce, il tuo mito ancora cresce!
Solo io, duro d’età e ormai canuto
di capelli, sento l’odore, la brezza, l’umore che dal mare mi ridesta.
Non è più come una volta l’ariezza che per secoli spirò sull’arse
sponde, né il Sole di levante che riempì l’alba di calura fa premura
all’avventore quando l’onda flirta col pontile sotto di me che odo le
lusinghe.
Intanto sono qui, e il cielo mi guarda con occhi di pervinca e
nuvole di merletti.
Prosit!, Prosit!, lunga vita a Colapesce! Il tuo
mito ancora cresce come l’uva nel mio serto da cui spremo questo vino,
rosso!, forte!, rugantino! pregno d’amori e di leggende!
Seduto sulla
bitta, sono solo un po’ più alto del cavicchio.
Guardo. Forse una canna
è appesa al molo, làssotto, all’angolo col mare… Sì. Come una bandiera
nel turcasso fa la posta al suo canestro, senza un pesce da mangiar.
Lascia sola in mezzo al mare la sua esca il pescatore disilluso di
pescar pietanze. Dov’è finito il pesce?
Di nuovo rabbia m’assale, anche
il labbro mi pende ricurvo e disperato.
Basta! Pregherò il fato!
Stappo
e mescio a Colapesce. Prosit! Prosit!, Colapesce!
Gurglo intero il mio
buon vino dove affaccia la lucerna mano a mano che pincerna.
Mi ricordo di quegli anni
che rogavano l’esequie alle esche poste all’amo o in acqua al mulinello
o intappate ammollo al mare, tanto profumate da stregar la preda in
acqua. Ora niente! Tutto osta! E il mio cuor s’arresta lungo il molo
desolato che sferza a mare un braccio di cemento armato.
Oh! diga
tagliente! Che deserto di funeree nostalgie! Che terribili paturnie! Ira
la mia scuffia per quest’isola divina, che li accolti tutti, gli uomini
sapienti: dalla Magna Grecia scienticante, ai Re chiosanti odi di
sonetto!
Prosit! Prosit! Colapesce!
Non
lo senti che silenzio? La canicola, mattanza il popolo che va via, che
soffre di sole, di pane e fantasia. Un odore di zagara all’acre di
limone, un’idea di conca d’oro, una foresteria, un’aquila regale stemma
della signoria, dov’è finita Terra mia?
A forza di gridare ho la gola
secca e volgo sì il palato al vino rosso, qui postato. A te io chiedo
aiuto, mio mito amato: aiuto! Aiuto! Colapesce! Di lodar futuro a me non
riesce!
Alzo il gomito
al pensiero e colà nel mare vedo un braccio alzato e un palmo aperto
gesticarmi
che
mi fa gesti sopra l’onda. Sogno o son desto? Il gurgle s’annodò alla
gola e tosto staccai il bevante ancora colmo di speranze. Guardo meglio
sul crestato e le braccia ora son due che mi gettano pel mare, che mi
invitano ad andare. M’alzo barcollando per vedere meglio in fondo.
Oh!
Santa Rosalia, padrona sì pregata! Perdonami l’ardire: dai più forza al
mio coraggio per raggiungere il miraggio! E una voce intanto lieve,
dolcemente si fa allato, e mi dice - Non temere, son quassotto le
chimere! Vieni, vieni amico mio, Colapesce sono io!
- Oh! Perbacco! dico
io. Che mi venga un colpo! Proprio tu mi rendi onore cosittanto
riservato? Non ho fatto che pensare a quest’Isola stupenda e tosto un
Dio mi viene a dire che mi merito l’ardire!
Eccitato di
passione scruto meglio quel versante e rivedo la morgana che mi chiama
alla mondana: tin tin tin fa Colapesce con le mani già coppate: sbatte
il vetro argentemente lì nell’acqua a mezzobusto lungo il prato
diamantino imperlato della Luna, dove senza indugio alcuno mi fa sprono
il suo miraggio di tuffarmi giù pel mare con il vino da portare.
Sarà
sogno o amenità, ho deciso d’accettare. Metto il tappo alla bottiglia e
mi tuffo per brindare con il Dio della Sicilia mia,
Trinacria Bedda! Colapesce
brindiamo tosto alla salute tua, ed alla la mia!
Apocopio Apocope
(2006-2007)
Venerdì
11-05-2007 - Sabato 12-05-2007
Fiera
del Libro di Torino stand A76-B79 Prospettivaeditrice
(Parago Paragone)
blinder
Non più sul web
www.colapisci.it
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