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La
casa dava su un’aia ampia e assolata, tutta bianca; i campi attorno,
coltivati a grano saraceno, lenticchie, erba medica, rimandavano, con
le leggere brezze della sera, tutti gli umori della terra lavorata.
Cola
viveva lì con sua madre Anna. Il padre non l’aveva mai conosciuto.
Era scomparso, pochi giorni dopo la sua nascita.
Cola
andava a scuola tutte le mattine con il pulmino del comune e di
pomeriggio aiutava sua madre nei lavori, per i quali comunque era
necessario reclutare una serie di lavoranti nei momenti più
impegnativi dell’aratura, della semina e poi del raccolto nelle
varie stagioni. Una notte la sua angoscia fu placata da un sogno nel quale incontrò suo padre, così come l’aveva visto da sempre nella foto più grande e più bella che lo ritraeva. - "Papà sono solo" - "Lo so figlio mio, ed è per questo che sono tornato" - "Papà come farò ad affrontare il futuro?…Vedo allo specchio un volto sconosciuto , un corpo che non mi appartiene e penso che tra non molto sarò grande" - "..E questo ti spaventa..?" - "Si papà; a volte, mentre mi dirigo verso la città, guardo la casa e provo il desiderio di tornare sui miei passi…ripenso a quando ero piccolo e mi affacciavo sull’orlo del pozzo cercando di scorgerne il fondo e lanciavo un grido che ritornava moltiplicato. Era bello quel tempo papà, anche se tu non eri accanto a me". - "Cola, è proprio di queste cose che volevo parlarti e poi dirti che anche se non mi vedrai, ci sarò". Cola si risvegliò di soprassalto e ripensò per tutto il resto della notte alle parole di suo padre. Appena fu giorno, corse ad affacciarsi al pozzo posto nel grande cortile. - Colaah!
Mille
voci risuonarono e lui, attratto dal quel richiamo, si appese alla
corda e si calò lungo il buio cunicolo. Aveva tanta paura, ma
ugualmente forte era il desiderio di andare fino in fondo.
Cola
rimase incantato da quel luogo e senza accorgersene si lasciò lambire
dall’acqua.
Più
tempo trascorreva nell’acqua e più il suo respiro si adattava a
lunghe permanenze in apnea. Qualcosa iniziò a trasformarsi in lui; i
piedi si appiattirono e si allargarono e contemporaneamente si
assottigliarono al punto da sembrare pinne.
Le
piante acquatiche lo accarezzavano; pesci piccoli e grandi lo
guardavano stupito. Il ricordo della casa e di sua madre si fecero lontani; piccoli, piccoli, in confronto alla durata del viaggio e allo spazio che intercorreva tra Cola e Colapesce.
Si
accorse ad un tratto, dal sapore dell’acqua, di essere giunto fino
al mare e provò a riemergere: vide l’apertura della foce davanti a
sé e l’immensa distesa del mare più avanti. Sgusciò tra le correnti, girò, s’inoltrò in tortuose caverne, si arrampicò tra i coralli; scorse nel buio, sagome d’animali che vivono e si nascondono nei cunicoli e sotto la sabbia, nei punti più lontani dalla superficie.
E
poi un giorno intravide l’ombra inquietante di un vascello
affondato.
Al
risveglio si sentì sfiorare la mano da una stella marina che gli
indicò la strada del ritorno.
Angela Pedone
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