www.colapisci.it L'uomo che diventa pesce per necessità o per scelta


Il Fenicottero Rosa (6)

Fto di Nicola Lapalombella

Tutto il mondo scientifico, chiamato al capezzale dei pennuti morenti, si mobilitò a livello mondiale. Bollettini allarmanti venivano trasmessi in tutto il “villaggio globale” che era diventato il mondo. Da oriente ad occidente la conta degli uccelli morti era paragonabile ai più nefasti bollettini di guerra.
In Italia oggi si contano 6 cigni morti, due in Puglia, due in Sicilia, uno nel Veneto, uno in Calabria….

Si affiggevano manifesti sui Muri del Pianto ”Attenzione, non si debbono toccare assolutamente gli uccelli morti, siano essi colombi, gazze, cigni, oche, anatre, canarini…. passerotti …

Si era davvero in una situazione che sfiorava la tragedia, grave quasi quanto quella che colpì l’Italia nel ’18 che si chiamava pittorescamente “La spagnola”. Ma è ancora vivo negli umani più longevi il ricordo di quante vite umane furono sterminate con la spagnola, che, col senno e la scienza di poi, si scoprì essere anche lei una influenza “aviaria”. L’epidemia non accennava a rientrare, ma si sviluppava a macchia di leopardo su tutto il pianeta terra.
Era un evento tristissimo che aveva fatto scendere in una maniera pericolosissima il consumo della carne di pollo in tutto l’emisfero. I macellai fallirono miseramente e su enormi pire di fuoco venivano bruciati milioni e milioni di carcasse di polli invenduti. Nessuna fonte autorizzata poteva azzardare una previsione ed una scadenza entro la quale questo temibile virus sarebbe stato debellato.

Jonathan era sfiduciato. Non poteva più realizzare il suo sogno. Ogni sera, puntualmente, a ora di cena, come fanno gli esseri umani, accendeva il televisore per apprendere dal telegiornale il numero dei suoi amici pennuti periti nel corso della giornata. Il suo morale era a terra. Aveva smesso le lezioni di volo, le lezioni di Step, di Aerobica, di vita, di sollevamento dei morali avviliti, quelli di scoraggiamento e di depressione. Malattie che colpivano puntualmente i suoi giovani amici ad ogni cambio di stagione.
La sirenetta non era del tutto esente da queste problematiche che si erano abbattute sulle ali del suo amico pennuto. Era in preda ad una pianto sincopato e silenzioso. Nessuno poteva udirne i singhiozzi. Ma lei piangeva. Poteva piangere anche se non riusciva a far cadere, dalle sue pupille di pietra, neanche una sola goccia di pianto.


Ma un bel dì, un fenicottero rosa staccatosi da un ultimo stormo di passaggio, fortunatamente sano, si andò a posare sul basamento scoglioso vicino a sirenetta. Fece alcune abluzioni al suo manto piumoso, si scrollò le gocce di mare superflue, si stese un oretta a prendere un po’ di sole e adocchiò, finalmente, la bellissima creatura di pietra.

Ne rimase, naturalmente, ammirato, anzi estasiato. Ben presto ne fu innamorato. Perdutamente innamorato. Sirenetta non poteva che sorridere silenziosamente a tutte le acrobazie messe in atto dallo stupendo animale, per farsi scorgere da lei.

Il fenicottero rosa, appena arrivato nelle acque della marina, aveva visto un’altra creatura inanimata, ma non gli era piaciuta come questa. La sirena che aveva scorto verso la grande rotonda era massiccia nelle forme, come una matrona romana. L’aveva a lungo studiata, osservata, misurata; ma non aveva trovato in lei nulla che lo intrigasse.
Quella “grassa” sirena aveva una lunghissima coda, tanto lunga che per stare comodamente seduta doveva attorcigliarsela quasi fosse una coda di cavallo e adagiarsela sullo scoglio, come se fosse una matassa di lana.
Insomma, il fenicottero rosa fu assalito presto da mal d'amore, ma non poteva assolutamente "morire" altrimenti la sua morte avrebbe scatenato un pandemonio nella marina. Sarebbero giunte tutte le emittenti locali, i giornalisti, i medici delle Ausl, gli ispettori internazionali. Lui non era ammalato di aviaria, era ammalato d'amore .
E la cosa era molto differente.

Sirenetta lo guardava di sottecchi, più incuriosita che divertita, non aveva mai visto un uccello così sciocco, più vanitoso di un pavone e più sciocco di un'oca.

Sirenetta non poteva interessarsi a lui, ultimo ospite arrivato nella sua marina.
Lei custodiva nel più profondo del suo cuore il sogno di incontrare un uomo- pesce, che la facesse sentire viva e completa. Sperava nel miracolo che potesse un giorno, non lontano, trovare l'altra metà del suo essere donna-pesce.
Il fenicottero comprese, nonostante si opponesse con tutte le sue forze, di non avere molte possibilità di conquistare l'amore di quella straordinaria creatura, non mangiò per giorni, disdegnò i generosi buoni pasto che gli venivano offerti dai rudi ma generosi pescatori, soffrì enormemente a causa dell'indifferenza del suo oggetto del desiderio, si lasciò andare nel misterioso mondo dell'apatia, non estendeva più la sua bella circonferenza alare, il suo petto di piume rosa si trasformò in un flaccido cuscino di piume incolori.

Si lasciò morire.

La sua morte attirò, come era logico, giornalisti e curiosi, pescatori e bambini, donnicciole e uomini di cultura, la notizia della sua morte rimbalzò fino in Cina e in Danimarca, nelle Indie e nelle isole Canarie, nelle terre dello tzunami e in quelle filippine, nello Jonio e nel Mediterraneo.

Ma tutti erano in errore. Il fenicottero rosa era morto per amore.

L'indomani, sulle prime pagine dei giornali locali, apparvero titoloni impressionanti: "Fenicottero rosa morto nell'Isola di san Pietro".

Sirenetta in un certo senso si sentiva responsabile della sua morte, ma non poteva farci niente, era addolorata, ma non colpevole. Non aveva sentito nulla per quell'animale.
Aveva provato affetto per il vecchio paguro, affetto e simpatia per il gabbiano Jonathan, ma per il vanitoso fenicottero rosa non le si era smossa neanche una piega delle sue membra di pietra.
Fu presa allora da un'indicibile tristezza; possibile che non avrebbe mai trovato qualcuno da amare? Stordita da questo pensiero martellante che le scandiva tutte le ore del giorno e della notte, invidiò gli esseri umani i quali non erano, come lei, condannati ad una vita immortale. Come Prometeo, invidiava la breve parabola della vita umana rimpiangendo di non appartenere a questa progenie. Condannata ad una sofferenza immortale. Senza scadenze.
Senza fine.

Anna Marinelli


Tutti i diritti di testi e immagini sono riservati agli autori originari dei documenti. - 21.2.2006

 

 

   

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