Storia di Colapesce
Stralcio dal canto 13^

C a p o L X II
(dal 12 al 15 feb. 2000)

Colapesce era un bel ragazzo
che in mare sempre si immergeva,
per pesci e fondali andava pazzo,
nelle vene acqua salata egli aveva.

Sua mamma era sempre in chiamata
"Nicooola torna a terra, in fretta!"
sin quando, fortemente disperata,
gli lanciò una frase maledetta

"cunnutazzu, mi diventi, a mità,
mezzu omuuuu e mezzu pisci…"
La maledizione fu subito là
ed il codino "d’arreti ci crisci".

Da qui il nome di Colapesce,
che è, però, della riviera, un vanto
perché, tutto da solo, riesce
a spingere anche un bastimento.

All’orecchio del re è arrivato
e Cola fu portato a palazzo reale.
Era un re tedesco, ma garbato,
e gli disse, in modo cordiale,

"Cola, so che sei un lupo di mare,
sei maestro per lena e per nuoto
scendi nei fondali, vai a scrutare
se sotto la città c’è del vuoto."

Colapesce, con quella coda esterna,
con busto di squami, color cangianti,
(per la maledizione materna!),
rispose "‘gnorsì" e si tuffò in avanti.

Girò tutti i fondali che vedeva,
ispezionò tutte e tre le colonne,
sulle quali l’isola si reggeva,
ma, ahimè, ne vide una non indenne...

Colapesce riemerse di là a poco
"sutta la città ci sta ‘na culonna,
vicinu ci sunnu lingue di foco,
essa, mi pari a mia, ‘na cundanna

‘chì teni u pisu da nostra città.
Si tratta di 'nu massu lesionatu
che è successo tantu tempu fa
per ‘nu sisma, ‘nu forti terremotu."

Così riferì al Suo Maestà
che era ad attenderlo curioso.
Il re lo interruppe e disse "altolà,
voglio la prova, è pericoloso!"

Cola si rituffò verso gli abissi
in cerca delle fiamme e del fuoco
prese due pezzi di lava, ben fissi,
e ritornò su, come fosse un gioco.

Li consegnò in mano al Sovrano,
il quale rimase così contento
che gli strinse persino la mano
ma nel suo gesto, in quel momento,

gli si sfilò dal suo dito l’anello
che finì, dritto dritto, in quel mare
"sangue di qua e porco d’un budello…"
Il re incominciò ad imprecare.

Disse "comu fazzu Colapisci,
quell’anello un ricordu era,
mi hai sentitu, tu lu capisci?
In testa il malaugurio mi dispera!"

E poi il Sovrano ben concluse,
sempre parlando in lingua sicula,
‘che era con mascelle tutte chiuse
e denti di fuori come Dragula.

"Cola, "sugnu" nelle tue braccia,
"scinni sutt’acqua e pisca l’anellu!"
Guardandolo molto bene in faccia,
"sembrava un omu senza cervellu".

Colapesce accettò di andare
ma pretese un moggio di lenticchie
prima di tuffarsi ancora in mare.
La maestà si sfregò le orecchie,

chiese il perché di una tal richiesta
e Cola disse "si non trovu l’anellu,
Vi riportu il moggiu sulla cresta,
ma, si lu trovu, le lenticchie mollu,

esse verranno prima di me a galla
così V’annunzierò che l’ho trovato".
Indi si tuffò come una molla
col pacco in mano, preparato.

Il re era in attesa tutto teso.
Passato che fu un po’ di tempo
diventò ancora più nervoso
ad un tratto, tutto come un lampo,

si videro le lenticchie galleggiare
il re fece un gesto di vittoria
ed aspettò Cola fuor dal mare,
ma Colapesce non emerse all’aria.

Egli rimase bloccato giù nel fondo
perché, la colonna, egli s’accorse,
ahimè, stava del tutto crollando,
e, per sostenerla, ivi egli corse.

Colapesce ancora è là, che sopporta,
"u pisu, di ‘sta città", sulla spalla,
che è di quell’isola la porta,
sin quando non s’incazza e torna a galla….

Questa è la storia che donna Mica,
in ore fresche sul finir della festa,
raccontò a qualche sua amica
giovine di età e grilli in testa.

Tutte ammirarono Colapesce
e lo sognarono loro sposo a letto
ma lui invece è lì che patisce
per la vita di un popolo perfetto.

 

Giovanni Mangano
 

 

   

www.colapisci.it