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Lia Schiavo
Cola, pesce per amore
Fu un tempo diverso dagli altri tempi e quella notte Federico volle passeggiare lungo il mare gli era solito farlo…….. con sé non aveva che se stesso e la sua ombra che era coda malefica di stelle lunga che era manto morbido e spinoso e tracciava sulla sabbia il suo cammino così lo incontrò...
Erano a venti metri e già si guardavano senza sospetto non poteva essere un nemico quel fragile uomo che veniva avanti non si capiva come se volando o strisciando e l’altro, l’uomo, pensava sto andando incontro alla mia meta sicuramente.... gli diceva dentro una voce di allegria e di pianto che quello era il suo Re e lui il suo Schiavo
Si può dire che schiavo d’amore sia colui che ubbidisce senza chiedersi nulla non so però lo stesso vado avanti e lo stesso mi fermerò se me lo chiede
Così pensava Cola e infatti accadde che Sotér con un cenno lo fermasse proprio dove la luna disegnava in terra il suo dominio una sorta di arpione oblungo che colmava la distanza tra la spiaggia e il cielo stava dritto e fermo tra Cola e il suo Re non era ombra era di ferro sbalzato e ardente come un presagio una meta un fallimento una vittoria estrema non so però lo stesso a Cola dette il senso della schiavitù d’amore fragile e forte disperata e gioiosa e si fermò ad un passo dal Re col cuore in gola.
Efesto sulle increspate superfici gelide faceva pensieri crudeli mentre uno scoglio alto recitava preghiere...
La lotta tra il bene e il male è un nostro destino e siamo santi o démoni non conosciamo requie di sereno esistere non riconosciamo legge violentiamo gli abissi del cuore mandiamo giù in fondo saliva salata e lacrime di miele e moriamo ogni giorno nelle solitudini aspre dell’esilio di una terra dannata bella da togliere il respiro……………..
Federico volle sapere e pose le tele del Comando nelle mani di Cola pensava e trasmetteva Sotér le inquietudini di un tempo incerto che nessuno svelava eppure Balarm splendeva capitale del mondo conosciuto serva di domani inconsueto trofeo da mostrare a Dio…..
Splendeva il suo regno...
Ma da dove emergeva questo paradiso di palme e d’acque di anime contorte come fili di ferro attorno al cuore?
Quale silenzioso trono forgiato dal mostruoso Efesto reggeva il suo peso in fondo al mare, dove contaminata dalla sua stessa pazzia era rimasta prigioniera Trinacria?
Cola s’immerse e non pensava di potersi sottrarre alla schiavitù dell’amore scendeva in fondo ma non scorgeva fine possibile umana dimora stabile e concreto sostegno nessuna roccia ma solo l’irresistibile richiamo del nulla infinito del silenzio della febbre inconsueta dello sprofondare più giù verso l’inferno e il silenzio del fuoco
Filari di ombre ingenue, sorprese del taglio improvviso dentro le acque ormai ferme sospese in attesa mute per quel corpo di pesce e d’uomo che scopriva inaccessibili verità nascoste gelosamente golosamente dal dio Nettuno
Stai attento Cola non girargli attorno lascia andare i polmoni e liberali apri la tua bocca si pesce stralunato allarga le mani palmate e fa gorgogliare di piacere la gola stropicciata di rana
Gira al largo da questo niente basta un movimento inconsulto e l’ordine malefico cadrà tutto potrebbe cancellarsi in un minuto…..
Così Cola liberò i polmoni allargò le mani tremò di piacere un piacere immenso, zirlante, che buca la mente che trafigge il cuore da parte a parte diventò pesce riconobbe i suoi figli e i suoi fratelli ritrovò sua madre e suo padre ma fu un momento non era vero stava soltanto varcando una soglia remota un tempo e ora a pochi passi da lui a un passo……
Dentro.
La pazza Trinacria ebbe un sussulto poggiò la terza gamba corrosa sulla spalla di Cola e riprese il suo sonno di ammalata figlia dimenticata dal padre sposa separata dallo sposo madre che non ha latte né memoria
Federico voltò le spalle al mare e andò via anche lui , Sotér, schiavo d’amore anche lui solo……
Lia Schiavo
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