Così come l'ho ascoltata da bambino dai racconti degli anziani. Alcuni termini sono volutamente in dialetto siciliano, tradotti in italiano quando serve.
La storia di Colapisci
Cera na vota, in un paisinu vicinu allu strittu di Missina un
poviru piscaturi.
Stù piscaturi avia un figghiu ca si chiamava Nicola.
Nicola viveva insieme alla sua famigghia in una baracca di legno
che si reggeva a stento sulle ciache
(sassi tondi)
della spiaggia, ed era così povero che non aveva neanche un
cognome.
In paese lo conoscevano tutti come “Cola,
u figgi ru piscatori” ma ben presto cominciarono a
chiamarlo Cola-pisci, perché
fin dalla più tenera infanzia cercava l’acqua ru’ mari proprio
come fa un pesce.
Sua
matre, povera donna, aveva anche altri figli a cui badare, e
siccome l’unico modo per farlo stare quieto era quello di
metterlo in acqua, lei ce lo metteva! Eccome se ce lo metteva.
Cola, figghiuzzo mio, stava ammollo all’acqua ra matina n’fino
a’’ sira, quando suo patre si arricoglieva
(ritornava)
a casa e si preparava per la notte di pesca.
Ma pesce ne portava a casa sempre troppo poco. Bastava
appena per sfamare la famiglia e per comprare quattro stracci
per coprirsi con dignità.
La dignità era l’unica cosa che non mancava a casa di Cola, e
suo patri ci dicia sempri alla sira
“fighiu miu, u Signori ti Binirìci, arricordati ca manu chi’duna
un pinnia mai” (Figlio mio,
il Signore ti benedica, ricordati che la mano che da non dovrà
mai soffrire la miseria).
I bambini del paese gli volevano bene e lo ammiravano perché era
quello che nuotava più forte di tutti, e se c’era da recuperare
un’ancora ‘mpigliata o un oggetto caduto in mare si chiamava un
solo nome: Colapisci.
Ma quando si fici picciuttieddru
(ragazzino) un u
vitti chiu nuddru (nessuno lo
vedeva più in giro).
Certe volte un’sarricampava mancu pi ‘manciari
(non tornava neanche per la cena)
e sua matri chianciva (piangeva)
e rivolgendosi alla Vergine Santissima chiedeva la grazia per
Nicola.
“Vergine Santissima, tu che lo sai cosa significa avere un
figghiu speciali (un figlio
fuori dalla norma)
fammi la grazia di vedere il mio Nicola con i piedi per terra,
facci attruvari una bella picciotta ca ci voli beni e facci
passari sta malatia (fallo
guarire dalla passione per il mare).
Ma
Nicola i piedi per terra ce li teneva ben poco, quando non era
in mare da solo accompagnava il padre a pescare.
Si, perchè suo patre si era accorto che quando c’era Nicola il
pesce non mancava mai.
Anche quando c’era burrasca o sciusciava u scirocco
(soffiava il vento di scirocco)
le reti si riempivano.
Quando erano alla larga (al
largo) lontano dalle
altre varche, Cola si abbassava colla facci vicina all’acqua e
ci faceva la preghiera ai pisci; e i pesci lo ascoltavano
sempre.
La felicità di suo patri finiva presto picchì Cola ci faceva
pigghiari solo chiddru ca sirvìa e u restu l’avia a ghittari
a’mmari (prendeva solo il
necessario e obbligava suo padre a ributtare in mare il resto).
So
patri ciancìa mutu e giarnu comu un linzolu
(piangeva in silenzio, pallido come un
lenzuolo) e na so
testa pinsava (e si chiedeva tra
se e se) “qu stu
pisci, ni putissimo arrisorbiri n’antìcchia”
(con quel pesce, buttato
in mare, avremmo potuto migliorare un po’ la nostra situazione
economica), ma Cola
lo guardava teneramente non come fa un figghiu, ma come fa un
patri o un nannu (nonno)
e arrispondeva così:
- Non abbiamo più
patito la fame e il mare ci da in abbondanza.
Ora non dobbiamo offendere la Provvidenza
prendendo di più di quello che ci serve.
Certe
volte Nicola sinni fuiva
(scappava) e nessuno
lo vedeva per giorni e giorni, e quando tornava si teneva la
bocca cuscuta (cucita)
con tutti tranne che con sua madre.
Perché solo lei poteva credere, per amore, alle storie
fantastiche che lui raccontava.
Qualcuno diceva che dopo avere tagliato c'un cutieddu la panza
di un tonno viaggiava dentro il pesce fino ai mari lontani,
certe volte andava in posti dove il sole non scendeva mai sotto
l’orizzonte. Posti freddissimi dove l’acqua è agghiacciata.
Ma andava anche in posti caldi con i pesci di tutti li culura.
Sua madre lo ascoltava in silenzio e, nonostante l’insistenza
delle comari del paese, restava zitta e muta.
Un giorno di primavera il re venne a passare da quelle parti con
la sua bellissima figghia, e mentre si apparecchiavano tavole
piene di ogni pesce che vive nel mare qualcuno gli raccontò la
storia di Colapisci.
La figghia del re, che era presente, appena sintuta questa
storia, non potti più dormiri. Una putenti febbri d’amuri la
pigghiò per Colapisci che aveva sintuto sulu nominari.
La notti si girava nel suo lettu a baldacchinu e gridava
"Colapiiiiiscciii".
Il re temette per la sorti della principessa e dopo avere
interpellato gli scienziati e i parrini
(preti)
decise di andare con la sua nave a cercare questo Colapesce.
Il re era curioso di incontrarlo, ma non credeva a una sola
parola delle leggende di fuoco sotto il mare, di mostri marini e
soprattutto di un uomo che parlava coi pesci.
Arrivò il giorno in cui la nave del re si fermò
nel porticello.
Aspettarono un giorno e una notte prima che Colapesce facesse
ritorno, ma la principessa avrevve aspettato pure 10 anni.
Quando qualcuno gridò tutti guardarono verso il mare Colapesce
che si avvicinava a cavallo di un delfino.
Il re, senza troppe cerimonie gli disse:
“E’ vero che tu conosci il fondo del
mare”
-
Sì sua maestà
“E’ vero che conosci la lingua dei pesci”
- Si
sua maestà.
“E’ vero che c’è il fuoco in fondo al
mare”
-
Si sua maestà,
rispose Colapesce, in fondo al mare proprio a metà esatta tra
Scilla e Cariddi, c’è una grotta grandissima da cui esce un
fiume di fuoco.
Il
re chiese se fosse mai entrato nella grotta. E Colapesce
raccontò di due mostri marini terribili che stavano a guardia
dell’ingresso.
- Nessuno può
entrare in quella grotta senza il permesso” continuò
il giovane.
“Ma io sono il re e comando dal cielo
infino al fondo del mare” rispose il re.
Così decise di mettere alla prova Colapesce dicendo:
“Se quello che dici e vero non avrai
difficoltà a recuperare il mio anello” e così dicendo
lancio il suo anello regale dove l’acqua era nivura
(nera)
come il carboni
(per la profondità).
"Se me lo porterai indietro, di darò
sette chili d’oro, ma se non lo porterai ti farò tagliare la
testa".
Colapisci fece un sorriso, poi scese sotto il mare e dopo una
menzurata bona (una buona
mezzora) tornò con
l’anello.
Appena niscìu da sutta lu mari
(torno dal fondo del mare),
Colapisci vitti na’visioni (gli
parve di avere una visione).
Si trovò davanti la più bella creatura di tutta la terra e di
tutto il mare.
Era la figghia del re.
I due picciotti appena si guardarono si innamorarono
perdutamente e Colapesce decise che avrebbe fatto qualsiasi cosa
per accontentare i suoi desideri.
La figghia del re ci disse:
“Colapisci se tu mi porti il fuoco che
stà sotto il mare, io ti do un bacio”
E allora Colapesce si immerse nelle profondità marine verso la
grotta scura.
Davanti alla grotta i due mosti guardiani gli chiesero:
“Chi sei tu, che
ti avvicini così tranquillo a questo luogo pericoloso dove pochi
arrivano e nessuno ritorna?”
“Sono Colapisci”
rispose il picciotto, “u
figghiu ru’ piscatori”
E i due mostri, spostandosi dall’entrata della caverna gli
risposero
“Allora po’trasiri”
(puoi entrare)”.
Colapisci si avvicinò appena all’ingresso della caverna e vide un
fiume di lava incandescente che trabboccava dall’apertura. Poi
accese in quel fuoco una canna di ferla
(Ferula sp.)
che si era portata per dimostrare alla sua amata di avere
raggiunto il fuoco.
Ritornato in superficie alzò il braccio e mostrò a tutti la
canna bruciata che stringeva nella mano china ri’ papule
(con le vesciche dovute alle ustioni).
Ma il re si ingelosì e non voleva che quest’amore tra Colapisci e
sua figghia continuasse.
Allora gli tese un tranello. Gli disse:
“Ora Colapisci, butto il mio calice
d’oro nel fondo del mare, se tu mi porti, dentro questo calice,
il fuoco che c’è dentro la caverna, allora di darò la mano della
mia figghia”.
Gli
occhi di Colapesce si fecero tristi, perché nessuno poteva
resistere al fuoco della caverna senza bruciarsi completamente.
Ma l’amore per la principessa era più forti, così Colapisci tornò
nel fondo del mare e trovò il calice d’oro.
Dopo avere preso un lungo respiro guardò per l’ultima
volta la principessa e si immerse nelle profondità del mare.
Tutti lo aspettarono fino alla sera ma poi capirono che non
sarebbe più tornato a galla.
Qualcuno dice che, entrato nella caverna si accorse che la
Sicilia si teneva sopra tre colonne.
Ma, una di quelle colonne era mangiata dal fuoco e lui si
sarebbe messo a tenere il peso al posto di quella colonna.
Altri dicono che si infilò nella pancia di un pesce e se ne andò
in giro per il mondo tenendo nel cuore l’amore impossibile della
principessa.
Certu è che nessuno mai fu come Colapisci, menzu omu e menzu pisci.