|
Penso: il nostro cuore è greco. Greco-siculo come l’odore della nostra sabbia. Affondo: il pensiero che scivola sulla mano che scava quella spiaggia di ghiaia di fronte alla Calabria e che riempie di odore di salsedine il mio corpo. Respiro: onde di azzurro cristallino che copiano irrispettose i miei capelli al vento. Vento di scirocco, di grecale, di libeccio, che trascinano ombre di navi antiche di saggezza pagana. Guardo: le nostre vite, un infinito gioco beffardo, un ghigno di stelle che fa trasalire solo gli sciocchi, i falsi sognatori, i giudici degli altri. Impressionante vortice di voci che invocano verità inafferrabili. Cammino: su strade imbandite di lucciole, di lacrime e di bestemmie, di ruote di carri siciliani, di sudore e di canti, pensieri arditi e timorose azioni. Lontano, un sole che litiga con i colori del tramonto; prevale Vespero, senza dispetto, senza vergogna. Tocco: il grano che ondeggia, biondo di caldo e di campagna, ogni spiga è regalo di sposa, di madre. I sorrisi dei figli profumano di latte di grano e piangono imprecazioni curiose e avide di vita. Canto: e danzo perché la musica è il battito del mondo, dei buoni e dei cattivi, dei delfini e dei bugiardi, di Giulia. Amaterasu è gioia e il cosmo è specchio armonioso di ritmi tribali e di mistero. Rido: negli occhi e nelle vene piene di cuore, per dare odore di caramelle al latte e borotalco Roberts al mondo, agli altri, a me. Per riempire di fiumi impetuosi il vuoto che si espande nella pienezza dell’incredulo, dell’irrisolto. Piango: il contrario del sorriso, il dolore delle mie esperienze, l’abbandono che si ripete bastardo. Mi fotte l’avere vissuto, ma è bello, sempre bello averlo fatto… nonostante la disperata, irriducibile sensazione della non appartenenza a sé. Sogno: il sogno, l’avere scoperto, trovato, il trovare me, e mille favole di giochi per cullarmi, e madri profumate di bucato appena fatto, col seno grande e le braccia grandi di mille carezze… e l’uomo, con il sorriso di amore, di parole di miele e di sesso. E la mano dei figli più grande della mia, che si aggrappa alla finestra del mondo. Gioco: di ironia, di recita, perché ho letto di Falstaff e da ragazza ho voluto essere un menestrello tra le strade di un medioevo incantato. Divento, a volte, seria per farmi credere antipatica e mi trasformo in strega per rincorrere le paure dei figli. Ricordo: e scappo stavolta da una stanza umida perché voglio andare da nonna che ha braccia grandi e ascolto nonno che fa odore di inchiostro di china e di Emilia-Romagna. Vorrei essere grande come mia sorella per essere coraggiosa come lei. Mi riempio le braccia dei suoi bracciali colorati. La pipì mi bagna nelle angosce delle notti: che cretina!. Il cuore mi fa male, ma nessuno mi crede. Il giardino mi accoglie tra i suoi gelsomini e gli orsacchiotti che dormono per terra. Ho paura: sbagliare. Decidere. Ho anche avuto paura di morire nei ritagli di un tempo sofferto. Ma è peggio avere paura di vivere…e il non vivere è un’anima senza respiro.
Daniela
|