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Non avevo avuto abbastanza strazio per farmi colpire ancora dal tradimento del mio soffrire. Nè nuvole sfilacciate sospese tra l’Etna e il mare per navigare i crepuscoli che aprono orizzonti verticali.
Non avevo sentito da tempo il groviglio sulla soglia dell’ansia, chiuso dal portone dello stomaco. Nè troppi sobbalzi notturni spaccati dalle fessure di persiane docili alla luce impietosa di albe.
Non avevo visto più tramonti di autostrade e strade e Stretto dall’ultimo pezzo di memoria. Né avevo scorto luci inattese dall’ultimo urlo sugli orli delle montagne, senza scivolare dalle scale del tormento.
Avevo forse percepito l’agguato, precipitandomi nel sogno e ho eluso la polpa del mio succulento dolore. Avevo ubriacato il pensiero bevendo i “forse” e i “ma” beatificando la mia ridicola illusione di avere ricevuto amore.
E non mi ero accorta di essermi arresa, per non vedere più lo specchio d’acqua in cui riflettere i miei capelli lunghi e le mie carezze senza ritorno.
Psiche
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