Il fiore degli abissi - Miti

Il corallaro e la leggenda dell'uomo pesce


Falso corallo - Myriapora truncata
 

Viveva un tempo sulle coste di Sicilia un giovane che passava le sue giornate immerso nel blu del mare; quando tornava a terra raccontava dei tesori e delle dimore meravigliose che aveva visto laggiù, dove i raggi del sole arrivano a malapena e smisurati animali marini sfidano la fantasia.
La sua vita scorreva sotto i flutti dove riusciva a restare senza respirare per ore, e ogni giorno era un’avventura nuova ed esaltante: una volta trovava un forziere di monete d’oro, un’altra un anello tempestato di brillanti, finché un re capriccioso non gli ordinò di portare a galla il fuoco che ardeva negli abissi...
Quella di Cola Pesce è una delle leggende più famose di Sicilia, e le sue origini si perdono nella notte dei tempi; leggende simili si ritrovano praticamente in tutte le terre lambite dal mare, dall’Islanda alla Russia alla Grecia alla Francia. Ovunque e sempre un coraggioso metà uomo e metà pesce ha sfidato le profondità marine per riportare a galla il tesoro custodito dalle acque, simbolo di un’esigenza spirituale e culturale prima ancora che materiale.
Oggi, tramontati i miti e oscurate le leggende, l’uomo non ha abbandonato il suo antico sogno di penetrare gli abissi per carpirne i segreti, Icaro all’incontrario alla ricerca della sua condizione ancestrale quando la vita era immersa nel silenzio ovattato del liquido amniotico.

E’ il corallaro l’erede delle mille leggende che narrano di tesori sommersi, di animali fantastici, di foreste sottomarine: l’uomo che ha scelto di sfidare un elemento che non è più il suo per appagare il proprio desiderio di avventura e di conoscenza, che ogni giorno quando gli dei del mare gli sono amici indossa la muta e la maschera e corre verso l’ignoto che sta settanta, cento metri sotto di lui. Cosa troverà? uno scoglio pieno di rami rossi con i fiori bianchi a ondeggiare spinti dalla corrente, il tesoro agognato, oppure solo un deserto di sabbia e roccia?

Il corallo è sempre stato l’emblema della sfida dell’uomo agli abissi marini, miraggio spesso irraggiungibile, mito e realtà, fluttuante arborescenza resa solida dal sangue della Gorgone o goccia di pioggia che Allah ha trasformato in preziosa pietra, amuleto magico per tenere lontano le malattie e prodotto di valore in grado di sfamare le famiglie e arricchire i commercianti. Come una fantastica pentola piena di monete d’oro ha atteso l’uomo ai piedi di un arcobaleno di speranze che si tuffa nel mare fino a raggiungerne le profondità inviolate.
E’ difficile spiegare perché un uomo decide di abbandonare le certezze della vita “normale” per dedicarsi anima e corpo alla ricerca del corallo.
Il miraggio del tesoro da solo non è sufficiente: tutti sanno che ad uno scoglio “buono”, ricoperto di rami color rosso fuoco, ne seguiranno tanti pieni di esili gorgonie gentili a vedersi ma senza valore, che ad un  periodo di ricca pesca ne succederanno altri di ricerca vana, che le bizze del mare regaleranno pochi giorni di calma e tanti di bufera.
Non è la ricchezza che attira l’uomo verso il fondale, ché spesso il guadagno non consentirà nemmeno di coprire le spese; né la vita comoda senza l’assillo del cartellino da timbrare in ufficio, perché l’attività del corallaro è fatta di duro sacrificio, di sveglie all’alba, di immersioni nell’acqua gelida di marzo, di giornate lontano da casa e dagli affetti. Eppure, ogni volta che il mare si richiude sopra le pinne all’inizio di una nuova immersione, quando il filo del pedagno è l’unico riferimento e le bolle dell’erogatore il solo indizio della vita che continua là sotto, solo allora il corallaro, l’uomo divenuto pesce, ritrova la sua vera essenza.

La discesa nel blu infinito, il silenzio rotto dai battiti del cuore, la ricerca del tesoro, l’attimo fuggente in cui la mano afferra quel fiore dell’abisso e lo ripone nella cesta, la risalita verso il sole, la lunga sosta per depurare i tessuti dall’azoto accumulato in profondità, il ritorno alla barca e all’aria: in una frazione infinitesimale di tempo scorre il significato della vita, il viaggio nell’ignoto, la ricerca della conoscenza, il ritorno allo stato prenatale e subito dopo alla realtà.
Alla fine di ogni immersione il corallaro si ritrova più ricco, abbia trovato o meno il suo tesoro, così come Cola Pesce riemergeva felice dalle acque di Messina tenesse o no nel pugno chiuso la coppa d’oro lanciata da un re.

 

Ninni Ravazza

 
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