LO STRETTO DI MESSINA
METAFORA
DELL'ANDARE
Nei ritorni frequenti del nostro andare, pellegrini
rassegnati per il mondo, solo la fantasia lasciamo fermentare e il ricordo
solidificarsi attorno ai luoghi consueti della vita, ai santuari
dell'immaginazione. Ormai inquinamento acustico e dell'ambiente e anidridi
carboniche lanciate nell'aria mentre passeggiano bimbi e anziani, il pericolo
sempre in agguato nella fretta di guadagnare qualche secondo sul quadrante delle
ore, nella fretta del quotidiano, nella voglia di raggiungere o nell'obbligo di
abbandonare l'Isola. Alla fine di ogni cammino c'e' sempre un guado da
attraversare e un vecchio Caronte dagli occhi di brace per portarti al di la'
del faro, di questo stretto di Messina, per noi metafora stessa dell'andare, di
un'esistenza trascorsa nel viaggio, illusione alla fine dell'identita' di fronte
al naufragio del partire che e' insieme catastrofe e rappresentazione di un
rito, il rito del passaggio dall'Isola al mondo, da una realta' che si inabissa
ad un'altra che affiora. Oggi pero' quel guado comincia a non esistere piu' e le
navi che portano lontano sembrano scomparire, vittime delle psicosi dell'uomo
moderno nel naufragio della sua identita'. Sorge allora una nuova Atlantide,
un ponte, una costruzione che si vuole del futuro, di strade e di vie ferrate,
passaggi e magazzini per pedoni increduli, che attraversa lo spazio di mare tra
Scilla e Cariddi, alta sui vortici delle correnti per piegare alla modernita' e
allo smarrimento, l'uomo moderno che ha ormai perduto il privilegio di credere
ai mostri. Una striscia di mare che ormai rimandera' soltanto rumori di metalli
e di motori, abbandonata dalle brezze e dalle palombelle di onde frastagliate,
ma soprattutto confusa nella nostra memoria. Noi, uomini ancora legati alla
nostalgia di un tempo che era gioia semplicemente nello stare insieme, gente
distratta che nei ritorni frequenti verso gli antichi lidi cerchiamo perduti
amici negli angoli dei cortili e nelle curve delle strade, noi che, a raccolta
nelle estati, abbandonate le voglie di occasioni mondane di svago e sempre
disposti a ricatturare i silenzi delle spiagge, saremmo costretti a subire anche
l'insulto dell'opera che attraversa il mare, oltre alla perdita della memoria di
una citta' di mare, metafora stessa di un'isola che nessuno e' mai riuscito a
proteggere e salvaguardare.
Con la perdita di quel piccolo raggio di
mare, perderemmo anche l'illusione dell'immaginazione. I picciotti del faro,
l'horcinus orca, il luntro, l'epica sfida al pescespada, il sacrificio del tonno
innamorato, resteranno perduti nella memoria. Non piu' il dolce inganno di
Morgana, ne' il tuffo nel blu profondo di Colapesce, smarrita la dolce riviera
di Pace, Paradiso e Contemplazione: stanno creando un deserto e continueranno a
chiamarlo Stretto di Messina.
Tralasciamo allora lo "scillaecariddi" della
memoria, ormai andato; tralasciamo l'inganno di Morgana, (e chi lo ha piu'
visto?), tralasciamo il pane dello spirito, quella memoria delle cose che,
secondo noi, dovrebbe sempre venire salvaguardata proprio per fare di un uomo un
essere pensante e non un nomade, e di una citta' come Messina un punto della
memoria e non il niente, nella confusione ormai del cemento e della
maleducazione imperante ma un ponte, sinonimo forse di progresso, ma certamente
ritorno indietro nella barbarie dei continui rischi di infiltrazione mafiosa, e
di lavoratori convinti di aver finalmente risolto per sempre le loro
preoccupazioni di vita e di esistenza...
Dove saranno gli apostoli di quel
Cielo buio, fantomatici adepti di ecologica visione che ci contestavano quattro
lampadine che illuminavano il pilone di Punta Faro? Dove saranno quegli
apologeti degli uccelli notturni, delle falene e dei coleotteri che insorgevano
per 100 watt lanciati nell'incanto delle notti dello Stretto per indicare a chi
tornava, la via del cuore e della memoria, la casa del genitore, il cortile e la
piazza della fanciullezza, nei cammini della mente? Dove saranno quando Ganzirri
e i suoi laghi scompariranno per sempre? Dove sono ora che i gas mordono
l'asfalto e avvelenano l'aria, gli ecologisti del cielo buio? Dove sono i
lungimiranti politicanti che oggi affermano quello che L'Altra Sicilia propone
da sempre: una via del mare, possibile con pochi soldi per spostare a sud gli
approdi che potrebbero essere costruiti con pochi soldi senza sacrificare l'area
dello stretto alla perdita di una identita' particolare che la contraddistingue
e la rende unica. Tanti sono i mali dell'Isola ed un ponte non ne sara' certo
la panacea. Soltanto in quello stretto di mare, rimasto incontaminato, la
magia della fatamorgana e i sortilegi dello scillaecariddi continueranno ad
esistere e con essi quella citta' di acque e di vento, almeno nell'immaginazione
di chi, come me che scrivo, si culla dentro il "lieve fastidio", quel male
oscuro che poi, non e' che faccia cosi' male".
Eugenio Petra
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