A pesca di costardelle nello Stretto


Pescatori di Galati Marina

Non sono nuovo alla pesca delle costardelle, ma ogni volta è un'esperienza nuova ed entusiasmante perché si va scorrazzando in lungo ed in largo un po' ovunque nello Stretto, talvolta anche verso la riviera di mezzogiorno sotto Taormina, talaltra sotto Reggio.
L'ultima volta mi son trovato ad accompagnare un mio amico il quale da tanto tempo mi aveva espresso il desiderio, alimentato dalla curiosità, di assistere ad una battuta di pesca alla costardella. Così insieme a lui, che avevo avuto cura di non informare su quanto sarebbe successo sulla barca, ho riprovato la stessa sensazione del mio primo giorno di pesca.

La partenza è alle prime ore dell'alba, da Galati Marina, per cui comprendiamo che non ci allontaneremo molto dall'ambito dello Stretto. Dovendo andare verso Nizza, S. Teresa o sotto la costa calabra sarebbe stato necessario partire prima che albeggiasse. E' fuor di luogo dire che durante la notte è difficile dormire, per cui si è già pronti prima dell'ora convenuta.
Il raduno dell'equipaggio è presso la barca del capo-pesca. Troviamo
Don Turi (per la cronaca Salvatore Ingegneri da Galati Marina), il padrone di barca, che dorme sotto una tenda dentro il barcone essendo rientrato a terra molto tardi, per aver effettuato la sera prima un altro genere di pesca.
Appena sente il sommesso rumore dei passi sulla ghiaia ed il rispettoso parlottare a bassa voce della 
gghiùrma, si sveglia, augura a tutti la bbona levata, da uno sguardo al cielo per assicurarsi delle condizioni del tempo, quindi, tra uno sbadiglio ed uno stiracchiamento per scrollarsi di dosso l'umido della notte, comincia ad impartire a mezza voce ordini precisi che i ragazzi, ed i meno ragazzi, dell'equipaggio eseguono rapidamente e con accuratezza.
Così vengono caricate sul barcone le 
cascitte, cioè le cassette di legno (ancora non si vede la plastica!) dentro le quali saranno messe le costardelle pescate, ognuna ne può  levare  da 10 a 12 chili), si rifornisce di carburante il serbatoio di diesel, si controllano i leggi (i fori sul fondo della barca attraverso i quali, a terra, si svuota l'acqua comunque infiltratasi nella barca), si lubrificano con grasso animale lavorato le falanghe (assi di legno sulle quali la barca scivolerà in mare), si prepara adeguatamente lo scaro (sbancamento manuale di sabbia della battigia, per favorire il varo della barca), si fa incetta sulla spiaggia di ciottoli, possibilmente bianchi, da portare sulle barche (essi serviranno, come vedremo, durante la pesca), si prepara anche la seconda barca, più piccola (barchittu), che verrà poi trainata dalla prima.

La rete, un tipo particolare detto  raustina, era già stata ammassata  dentro la parte poppiera della barca grande al rientro dalla pesca, la sera prima. Da ultimo Don Turi, con uno sguardo in giro, controlla ancóra una volta tutto, mette al sicuro dentro la  cammarédda  (piccolo vano chiuso, specie di cassetto, ricavato nella fiancata della barca) la busta impermeabile contenente la licenza di pesca, chiede ad ognuno dell'equipaggio se ha portato seco la  collazione perché lui garantisce solo il  bùmmulu per l'acqua da bere e, quando finalmente ogni cosa a suo giudizio è pronta, fa cenno di varare il barcone. Questo (lungo otto metri e mezzo, alto da terra almeno un metro e mezzo) scivola dapprima dolcemente e maestoso sulle  falànghe rese ben scivolose e via via sempre più veloce guadagna l'onda.
In un batter d'occhio, tutti quelli che dovranno occuparlo vi saltano agilmente sopra; i meno agili (
Donn' Affònsio — 80 anni di mare — ancora da dei punti ai giovani) vi erano saliti ancor prima che si avviasse. Nello stesso tempo viene messo in mare anche il  barchittu.
Il Diesel viene avviato dal motorista e da quel momento, tranne brevi pause, fino al rientro non verrà più spento; sarà tenuto a regime più alto o più basso, secondo le esigenze, con un rumore proporzionatamente più o meno assordante, ma costante. Ognuno è già al posto sulle due barche ed il barcone può prendere il largo rimorchiando la barca piccola.
Tutto l'insieme delle due barche, con i relativi equipaggi, e della rete per pescare le costardelle viene ora indicato con termine onnicomprensivo di 
raustina.

La ricerca del primo branco di costardelle può essere più lunga, ed in circostanze particolarmente sfortunate si prolunga infruttuosamente per buona parte della giornata.
Lo spettacolo che si offre agli occhi è tra i più affascinanti. Si cominciano a distinguere una ad una le case lungo il litorale, si segue il percorso dell'autostrada con le gallerie illuminate, il Castello di Scaletta  domina il paesaggio con la sua mole resa ancor più evidente dalle fotoelettriche, si delineano sempre meglio i contorni dei Peloritani con Dinnammare ed il picco preminente di Monte Scuderi, qua e là disseminati paesini collinari con le ultime luci accese; con lo sguardo volto alla costa siciliana in fondo a destra si distingue il pilone di punta Faro e, come in continuazione, la Calabria; in fondo a sinistra, appena delineato, il Capo di S. Alessio e, subito dietro, la gigantesca piramide scura dell'Etna; verso la costa calabra si intravvedono sui monti i primi bagliori dell'aurora di colore prima roseo, poi via via più rossi per scomparire ai primi raggi di un sole imminente.

Pur tuttavia, anche se per noi é ancora buio, con quel minimo di visibilità consentito tutti gli occupanti delle due barche sono già all'erta, per primo Don Turi, che con la sua statura sovrasta tutti, scrutando il mare per ogni dove al fine di scoprire il primo guizzo di pesce.
Di questi uomini sono incredibili la vista acutissima che consente loro di distinguere, sul colore ancora livido del mare, piccoli pesci che saltano a svariate decine di metri di distanza oppure il friggere del mare (
rizzòmita) quando essi corrono appena sotto il pelo dell'acqua, e lo straordinario senso dell'equilibrio per cui si reggono all'impiedi, anche su uno stretto bordo di barca, nonostante il moto ondoso, che può essere evidente.
Poiché, come già ho detto, può trascorrere un certo tempo fino al primo avvistamento, capita che vuoi per le pochissime ore di sonno, vuoi per il dondolio determinato dall'andare della barca accompagnato dal rumore del Diesel che ormai, essendo costante, non è più avvertito come rumore fastidioso bensì come una specie di nenia conciliante, capita, dicevo, che venga su una specie di torpore, di sonnolenza fino a vero e proprio sonno. Anche questa volta il mio amico ed io eravamo stati soggiogati dall'incantesimo della natura al risveglio e dalla insolita, meccanica, ninna-nanna e dormivamo, non so se da un minuto o da un'ora, quando un improvviso clamore, quasi un boato di voci, ci sveglia. Il sole, già alto sui colli calabri, illumina un paesaggio splendido.


Avvistamento del banco dei pesci

Uno dell'equipaggio, o forse due, tre contemporaneamente, avevano individuato a distanza un branco di costardelle  'ssummàtu, venuto m superficie, per cui tutti gli altri, come presi da una frenesia si danno, con voci che hanno del disumano; a gridare verso quella direzione, nello stesso tempo gesticolando come forsennati incitando a viva voce il timoniere ed indicandogli di volta in volta la rotta da tenere, come se quello non l'avesse già sin dal primo momento. Noi, con l'occhio non abituato, solo dopo notevole sforzo riusciamo appena a distinguere tanti pesci, al limite dell'invisibile data la distanza e la loro misura, che vanno verso una direzione balzando sul pelo dell'acqua, brillanti se illuminati dal sole.
Il motore viene all'istante messo a pieno regime mentre nel con tempo sulle due barche tutti gli uomini, liberatisi in un baleno dei variopinti maglioni, giacche, pantaloni e cappelli che li avevano riparati fino a quel momento dal freddo della notte, sono già per lo più a torso nudo ed in costume da bagno e scattano secondo un rituale preciso, meraviglioso come un meccanismo da orologio.
Al ritmo martellante del Diesel ed al suono delle voci sempre più incalzanti viene mollata la fune di traino del 
barchittu  e con essa escono già dal barcone i primi metri di  raustina. Il resto della rete viene messo in parte, mentre il barcone procede alla massima velocità possibile, da Don Turi e da un suo aiutante con un ritmo che ha del vertiginoso.


La rete viene calata velocemente

Guai, in questa delicata operazione, a sbagliare un gesto o a rimanere con le dita impigliate nella rete che esce: non sono ammessi errori, ne va della riuscita della  cala. Il barcone, mentre viene deposta la raustina, segue un percorso circolare anticipando le costardelle-guida, la cosidetta  testa, del branco e chiude loro la rotta con la rete, tendendo verso un punto ideale sul quale converge pure la barca piccola condotta a remi dagli occupanti con quella velocità che può essere consentita dalla rete già calata che la frena.
Frattanto, gli occupanti delle due barche che non sono impegnati a remare, a pilotare, a reggere il Diesel, a deporre la rete - tra questi anche noi tra uno scatto e l'altro della Leica, gridano a squarciagola (non so perché, ma gridiamo pure noi) e lanciano i ciottoli raccolti sulla spiaggia verso l'apertura del cerchio di rete che si va restringendo, in modo che le costardelle, che si siano viste sbarrare il percorso dalla rete, ritornando indietro vengano spaventate dai ciottoli che affondano e restino nella zona delimitata dalla rete. Si viene a formare cosi un recinto circolare, la cui circonferenza è la lunghezza della rete (all'incirca cento metri), anzi inferiore perché via via che la rete si distende verso il fondo se ne raccorcia la lunghezza;  il cerchio ha visibile in superficie il 
suvaràtu  (una volta pezzi di sughero legati alla rete, ora anelli di polistirolo capaci di alto galleggiamento) ed in profondità (nella parte di mezzo la rete è alta circa trenta metri) ha i piombi; alle due estremità della rete il barcone ed il   barchittu   ora legati l'un l'altro con funi in modo ad avere le parti poppiere quasi a contatto e le prue divergenti.

Il Diesel è tenuto a folle e saltuariamente al minimo del regime in modo che anche l'elica contribuisca col suo moto a ricacciare le costardelle verso la metà della lunghezza delle rete (nella nuova forma circolare assunta è il punto diametralmente opposto a quello ove si trovano le barche), dove è la cosidetta   fonte, cioè l'apertura del sacco, profondo circa dieci metri. Tenendo conto della corrente, che con la sua direzione e la sua forza, può modificare in modo determinante le dimensioni e la forma della rete, le due barche vanno ora a remi, lentamente, contro corrente in modo che la rete si possa mantenere ben tesa. Entrambi gli estremi della rete, a forza di braccia, vengono issati dentro le due barche facendo si che gradualmente il cerchio si restringa.
La conformazione della  
raustina  é tale che, mentre essa viene tirata, la parte profonda (per intenderci, quella cui sono fissati i piombi) va restringendosi prima rispetto alla parte galleggiante, per cui viene in parte preclusa ai pesci la via del fondo; a rintuzzare ulteriori tentativi di fuga delle costardelle provvede Don Turi il quale, ritto sulla poppa del barcone, dopo aver calato in acqua una lunga corda con un peso e munita a varie altezze di stracci bianchi (il camàciu), va rimestando l'acqua fiocinando in profondità con una lunga pertica (asta) anch'essa provvista di stracci bianchi. Un altro   camàciu   viene affondato dalla poppa del  barchittu.


La rete vie issata e con il  camaciu  si impedisce la fuga dei pesci

Quando il   suvaràtu  è solo un cerchio di pochi metri di diametro, viene finalmente staccato il Diesel, il timone è tolto prima che si impigli nella rete, vengono sciolte le funi che tenevano assicurate alla distanza giusta le due barche, per cui la rete, ridotta ora alla fonte, viene a trovarsi tra le parti poppiere delle due barche.
Il sacco viene issato tirando contemporaneamente la fune coi piombi (
gghiummiàri) ed il suvaràtu, e Don Turi, via via che affiorano in superficie, comincia a 'ncuppàri, a raccogliere cioè col coppu, le costardelle catturate e a deporle in una   vasca   di plastica contenente acqua di mare.
Quando tutte le costardelle sono state '
ncuppàte, rapidamente la metà di  raustina  che era stata tirata a bordo del  barchittu, viene  'mmasàta , come la rimanente sul barcone in modo da essere subito  lesta, disponibile, per la successiva  cala.
Il timone è rimesso nella sua sede, il Diesel riavviato, il 
barchittu  ripreso al traino. Si riparte. Il tutto si è svolto con incredibile rapidità e cronometrica precisione.


I pesci vengono portati a bordo con il coppu

Gli equipaggi della  raustina  si concedono ora una breve pausa di ristoro e ciascuno cerca di individuare sotto la tuga della prua il proprio pacco della  collazione. Nello sguardo di Don Turi si legge una certa soddisfazione per la riuscita della   cala, e conseguentemente per l'efficienza della  gghiùrma; egli infatti ha già certamente calcolato ad occhio, con lo scarto solo di qualche chilo, l'entità del pescato; si lascia sfuggire qualche battuta scherzosa all'indirizzo di chi si ripaga della fatica addentando un panino (a Pippo, suo cugino, ho visto trangugiare in un batter d'occhio qualcosa come un chilo di pane tagliato, con dentro del pomodoro); Gianni, suo nipote, Carmelo, altro cugino, Nato ed altri che hanno faticato anche loro nel tirare la rete, calmano la sete bevendo a garganella l'acqua che si mantiene freschissima nel bùmmulu chi suda, che si passan l'un l'altro, e da una barca all'altra; i più anziani, che hanno tenuto i remi, hanno già tra le labbra un'altra sigaretta, in paziente attesa del loro turno di acqua.
Si scambiano impressioni e commenti sulla cala effettuata  paragonandola con altre precedenti, famose, forse rese più favolose e pingui dal ricordo, e si fanno programmi per le future, emendando eventuali errori o punti deboli. Tutti però, anche se apparentemente rilassati, sono già all'impiedi sulla prua, sulla poppa, sulle fiancate delle due barche a scrutare il mare tutto all'intorno, pronti a dare l'allarme, a voce spiegata e con le braccia alzate, di avvistamento di un altro branco di costardelle.

Attratti dallo spettacolo non ci siamo accorti che il mare si è popolato, frattanto, di tante altre  raustine, anche calabresi (i nostri ospiti le riconoscono, singolarmente, a distanza), impegnate in analoghe operazioni di ricerca, di cala o di pesca; sotto un sole cocente che batte le schiene e fa colare rivoli di sudore. Man mano che le costardelle sono pescate, vengono lasciate a pulirsi delle squame di color azzurro-argenteo dentro la  vasca, quindi disposte delicatamente nelle cascjtte  in attesa che i   raittéri, compratori all'ingrosso muniti di veloci motoscafi, le acquistino già in mare per rivenderle poi ai dettaglianti delle rivendite fìsse o ambulanti.
Nelle giornate particolarmente favorevoli si giunge a catturare anche parecchi quintali di costardelle, risultato di un numero incalcolabile di veloci cale, lungo l'arco di una giornata di lavoro; la
raustina  sulla quale siamo imbarcati ne ha pescate in passato fin oltre quattro tonnellate in una sola battuta.

Qualsiasi movimento, ogni manovra, la rotta della   raustina, fino all'ordine del rientro a chiusura di battuta sono stabiliti in modo insindacabile da Don Turi il quale, nei momenti di quiete impartisce a mezza voce ordini che vengono intercettati subito dagli uomini nonostante il frastuono del motore, nei momenti di tensione per la ricerca e la pesca invece è quello che sovrasta per tono le voci degli altri, mantenendosi tuttavia sempre pacato, nei limiti della correttezza e del decoro professionali, che gli provengono da un'ereditarietà di padrone di barca, giammai trascendendo, da vero capo, nel triviale o, peggio, nel blasfemo. La sua ricchezza d'animo si riconosce anche nel compenso che da ai componenti fissi dell'equipaggio e nella quantità di pesce che regolarmente distribuisce agli ospiti, unitamente a consigli di ordine culinario.

E' cosi che dopo una giornata di pesca, per i professionisti indubbiamente faticosa e colma di imprevisti e di innumerevoli interrogativi circa la riuscita, fortemente entusiasmante e dilettevole per chi è fuori dal giuoco, la costardella (Scomberesox saurus della famiglia degli Scombresocidi) giunge sulle mense a costituire uno dei principali ed accessibili elementi dell'alimentazione nostrana del periodo estivo-autunnale. Gustosissimi piatti si possono infatti preparare con le costardelle, secondo varie gamme di combinazione.
Lessate, condite semplicemente con olio e limone, vanno bene per gli stomaci delicati; sono gradevolissime se cotte sulla brace condite cu
sammurigghiu. Ma la loro morte, come si dice in gergo, e cotte, possibilmente in padella di ferro, meglio se non infarinate, e mangiate insieme con cipolla all'aceto; se sono piccole si mangiano intere, senza nulla buttare, neanche la lisca e la coda, tranne la testa e le interiora tolte preventivamente.
Ottimamente vengono cucinate, specie quelle di cospicua dimensione e grasse, fatte a  
braciòle (involtini ripieni di pane grattato condito con olio, prezzemolo, aglio e, a preferenza, formaggio a pezzetti) infilzate su spiedi, cotte sulla brace ed ulteriormente condite al piatto con un filo di olio ed alcune gocce di limone.
Altri modi altrettanto eccellenti e gustosi sono  le
braciòle a gghiotta  cucinate con cipolla rosolata in olio, pomodoro, olive salate, capperi, sedano, col cui sugo si possono anche condire gli spaghetti, oppure i filetti di costardelle a gratin, cioè disponendo nella teglia a strati alternati i filetti stessi e la mollica di pane grattata condita al solito con aglio, olio, prezzemolo e, a gradimento, pure formaggio, il tutto da cucinare al forno o a bagno-maria.
Si possono ancora cucinare  a
linguàta, come le sardine, dopo averle diliscate, aperte a libro, tenute per un po' di tempo in bagno di aceto, quindi passate in farina e fritte; o ancora, sempre come le sardine si possono fare  a beccafico, dopo averne tolta la lisca, appaiandole a due a due per le facce interne e riempiendole di pan grattato preparato come per le  braciòle, da cuocere al forno o sulla brace.
Un modo squisito di cucinare le costardelle è alla pizzaiola, diliscate, in teglia e coperte da pezzetti di pomodoro, da origano, aglio, capperi e olio; il tutto al forno.
Infine le costardelle possono costituire un alimento da conservare per l'inverno mettendole sotto sale e pepe dentro il
cugnéttu  di terracotta o di stecche di legno, oppure sott'olio; in quest'ultimo caso, dopo averle bollite in acqua e sale, diliscate, pulite possibilmente della pelle, ridotte in filetti e ben asciugate si dispongono sott'olio in boccia di vetro; un alimento di fattura artigianale o casalinga, forse caduto in disuso, che nulla ha da invidiare al tonno e agli altri più noti pesci del commercio, conservati.

 

Vincenzo Pugliatti

 

Estratto dal numero unico DUEMARI '80
mostra filatelico/numismatica nazionale itinerante
Patti 30-31 agosto 1980
S. Alessio Siculo 6-7 settembre 1980
Messina 13-14 settembre 1980

Stampato a cura del Circolo filatelico-numismatico peloritano di Messina e
 pattese di Patti, e di
S. Alessio Siculo

La Grafica
Messina 1980

 

   

 

www.colapisci.it