Ella ascoltava,
avviluppata nella pelliccia, e colle spalle appoggiate alla cabina,
fissando i grandi occhi pensosi nelle ombre vaganti del mare. Le stelle
scintillavano sul loro capo, e attorno a loro non si udiva altro che il
sordo rumore della macchina, e il muggito delle onde che si perdevano
verso orizzonti sconfinati. A poppa, dietro le loro spalle, una voce che
sembrava lontana, canticchiava sommessamente una canzone popolare,
accompagnandosi coll'organetto.
Ella pensava forse alle calde emozioni provate la sera innanzi alla
rappresentazione del San Carlo; o alla riviera di Chiaia, sfolgorante di
luce, che si erano lasciata dietro le loro spalle. Aveva preso il
braccio di lui mollemente, coll'abbandono dell'isolamento in cui erano,
e s'era appoggiata al parapetto, guardando la striscia fosforescente che
segnava il battello, e in cui l'elica spalancava abissi inesplorati,
quasi cercasse di indovinare il mistero di altre esistenze ignorate.
Dal lato opposto, verso le terre su cui Orione inchinavasi, altre
esistenze sconosciute e quasi misteriose palpitavano e sentivano,
chissà? povere gioie e poveri dolori, simili a quelli da lui narrati.
La donna ci pensava vagamente colle labbra strette, gli occhi fissi nel
buio dell'orizzonte.
Prima di separarsi stettero un altro po' sull'uscio della cabina, al
chiarore vacillante della lampada che dondolava. Il cameriere, rifinito
dalla fatica, dormiva accoccolato sulla scala, sognando forse la sua
casetta di Genova.
A poppa il lume della bussola rischiarava appena la figura membruta
dell'uomo che era al timone, immobile, cogli occhi fissi sul quadrante,
e la mente chissà dove.
A prua si udiva sempre la mesta cantilena siciliana, che narrava a modo
suo di gioie, di dolori, o di speranze umili, in mezzo al muggito
uniforme del mare, e al va e vieni regolare e impassibile dello
stantuffo.
Sembrava che la donna non sapesse risolversi a lasciare la mano di lui.
Infine alzò gli occhi e gli sorrise tristamente:
- Domani!
-
sospirò.
Egli chinò il capo senza rispondere. - Vi ricorderete sempre di questa ultima sera? -
Egli non rispose.
- Io sì!
- aggiunse la donna.
All'alba si rividero sul
ponte.
Il visetto delicato di lei sembrava abbattuto dall'insonnia. La
brezza le scomponeva i morbidi capelli neri.
Diggià la Sicilia sorgeva come una nuvola in fondo all'orizzonte. Poi
l'Etna si accese tutt'a un tratto d'oro e di rubini, e la costa
bianchiccia si squarciò qua e là in seni e promontori oscuri.
A bordo cominciava l'affaccendarsi del primo servizio mattutino.
I passeggieri salivano ad uno ad uno sul ponte, pallidi, stralunati,
imbacuccati diversamente, masticando un sigaro e barcollando. La grù
cominciava a stridere, e la canzone della notte taceva come sbigottita e
disorientata in tutto quel movimento.
Sul mare turchino e lucente, delle grandi vele spiegate passavano a
poppa, dondolando i vasti scafi che sembravano vuoti, con pochi uomini a
bordo che si mettevano la mano sugli occhi per vedere passare il vapore
superbo. In fondo, delle altre barchette più piccole ancora, come punti
neri, e le coste che si coronavano di spuma; a sinistra la Calabria, a
destra la Punta del Faro sabbiosa, Cariddi che allungava le braccia
bianche verso Scilla rocciosa e altera.
All'improvviso, nella lunga linea della costa che sembrava unita, si
aperse lo stretto come un fiume turchino, e al di là il mare che si
allargava nuovamente, sterminato.
La donna fece un'esclamazione di
meraviglia.
Poi voleva che egli le indicasse le montagne di Licodia e di Piana di
Catania, o il Biviere di Lentini dalle sponde piatte. Egli le accennava
da lontano, dietro le montagne azzurre, le linee larghe e melanconiche
della pianura biancastra, le chine molli e grigie d'ulivi, le rupi aspre
di fichidindia, le alpestri viottole erbose e profumate.
Pareva che quei
luoghi si animassero dei personaggi della leggenda, mentre egli li
accennava ad uno ad uno.
Colà la Malaria; su quel versante dell'Etna il paesetto dove la libertà
irruppe come una vendetta; laggiù gli umili drammi del Mistero, e la
giustizia ironica di don Licciu Papa.
Ella ascoltando dimenticava persino il dramma palpitante in cui loro due
si agitavano, mentre Messina si avanzava verso di loro col vasto
semicerchio della sua Palazzata. Tutt'a un tratto si riscosse e mormorò: - Eccolo! -
Dalla riva si staccava una barchetta, in cui un fazzoletto bianco si
agitava per salutare come un alcione nella tempesta.
- Addio!
-
mormorò il giovane.
La donna non rispose e chinò il capo. Poi gli strinse forte la mano
sotto la pelliccia e si scostò di un passo.
- Non addio. Arrivederci!
- Quando?
- Non lo so. Ma non addio
Ed egli la vide porgere le labbra all'uomo che era venuto ad
incontrarla nella barchetta. E nella mente gli passavano delle larve
sinistre, i fantasmi dei personaggi delle sue leggende, col cipiglio
bieco e il coltellaccio in mano.
Il velo azzurro di lei scompariva verso la riva, in mezzo alla folla
delle barche e alle catene delle àncore.
Passarono i mesi.
Finalmente ella gli scrisse che poteva andarla a trovare.
“In una casetta isolata, in mezzo alle vigne - ci sarà una croce
segnata col gesso sull'uscio. Io verrò dal sentiero fra i campi.
Aspettatemi. Non vi fate scorgere, o sono perduta”.
Era d'autunno ancora, ma pioveva e tirava vento come d'inverno.
Egli nascosto dietro l'uscio, ansioso, col cuore che gli martellava,
spiava avidamente se le righe di pioggia che solcavano lo spiraglio
cominciassero a diradarsi. Le foglie secche turbinavano dietro la soglia
come il fruscìo di una veste.
Che faceva essa? Sarebbe venuta? L'orologio rispondeva sempre di no, di
no, ad ogni quarto d'ora, dal paesetto vicino. Finalmente un raggio di
sole penetrò da una tegola smossa. La campagna tutta s'irradiava. I
carrubbi stormivano sul tetto, e in fondo, dietro i viali sgocciolanti,
si apriva il sentieruolo fiorito di margherite gialle e bianche. Di là
sarebbe comparso il suo ombrellino bianco, di là, o al disopra del
muricciuolo a destra.
Una vespa ronzava nel raggio dorato che penetrava dalle commessure, e
urtava contro le imposte, dicendo: -
Viene! viene! -
Tutt'a un tratto qualcuno spinse bruscamente la porticina a
sinistra. - Come un tuffo nel sangue! - Era lei! bianca, tutta bianca,
dalla veste al viso pallido.
Al primo vederlo gli cadde fra le braccia, colla bocca contro la bocca
di lui.
Quante ore passarono in quella povera stanzuccia affumicata? Quante cose
si dissero? Il tarlo impassibile e monotono continuava a rodere i vecchi
travicelli del tetto. L'orologio del paesetto vicino lasciava cadere le
ore ad una ad una.
Da un buco del muro potevano scorgersi i riflessi delle foglie che si
agitavano, e alternavano ombre e luce verde come in fondo a un lago.
Così la vita.
Ad un tratto ella siccome stralunata, passandosi le mani sugli occhi,
aprì l'uscio per vedere il sole che tramontava. Poscia, risolutamente,
gli buttò le braccia al collo, dicendogli: - Non ti lascio più -.
A piedi, tenendosi a braccetto, andarono a raggiungere la piccola
stazione vicina, perduta nella pianura deserta.
Non lasciarsi più! Che gioia sterminata e trepida! Andavano stretti l'un
contro l'altro, taciti, come sbigottiti, per la campagna silenziosa,
nell'ora mesta della sera.Degli insetti
ronzavano sul ciglione del sentiero. Dalla terra screpolata si levava
una nebbia grave e mesta. Non una voce umana, non un abbaiare di cani.
Lontano ammiccava nelle tenebre un lume solitario.
Finalmente arrivò il treno sbuffante e impennacchiato. Partirono
insieme; andarono lontano, lontano, in mezzo a quelle montagne
misteriose di cui egli le aveva parlato, che a lei sembrava di
conoscere.
Per sempre!
Per sempre. Essi si levavano col giorno, scorazzavano pei campi, nelle
prime rugiade, sedevano al meriggio nel folto delle piante, all'ombra
degli abeti, di cui le foglie bianche fremevano senza vento, felici di
sentirsi soli, nel gran silenzio. Indugiavano a tarda sera, per veder
morire il giorno sulle vette dei monti, quando i vetri si accendevano a
un tratto e scoprivano casupole lontane. L'ombra saliva lungo le
viottole della valle che assumevano un aspetto malinconico; poi il
raggio color d'oro si fermava un istante su di un cespuglio in cima al
muricciuolo. Anche quel cespuglio aveva la sua ora, e il suo raggio di
sole. Degli insetti minuscoli vi ronzavano intorno, nella luce tiepida.
Al tornare dell'inverno il cespuglio sarebbe scomparso e il sole e la
notte si sarebbero alternati ancora sui sassi nudi e tristi, umidi di
pioggia.
Così erano scomparsi il casolare del gesso, e l'osteria di
“Ammazzamogli” in cima al monticello deserto. Soltanto le rovine
sbocconcellate si disegnavano nere nella porpora del tramonto. Il
Biviere si stendeva sempre in fondo alla pianura come uno specchio
appannato. Più in qua i vasti campi di Mazzarò, i folti oliveti grigi su
cui il tramonto scendeva più fosco, le vigne verdi, i pascoli sconfinati
che svanivano nella gloria dell'occidente, sul cocuzzolo dei monti; e
dell'altra gente si affacciava ancora agli usci delle fattorie grandi
come villaggi, per veder passare degli altri viandanti.
Nessuno sapeva più di Cirino, di compare Carmine, o di altri. Le larve
erano passate. Solo rimaneva solenne e immutabile il paesaggio, colle
larghe linee orientali, dai toni caldi e robusti. Sfinge misteriosa, che
rappresentava i fantasmi passeggieri, con un carattere di necessità
fatale.
Nel paesello i figli delle vittime avevano fatto pace cogli strumenti
ciechi e sanguinari della libertà; curatolo Arcangelo strascinava la
tarda vecchiaia a spese del signorino; una figlia di compare Santo era
andata sposa nella casa di mastro Cola. All'osteria del Biviere un cane
spelato e mezzo cieco, che i diversi padroni nel succedersi l'uno
all'altro avevano dimenticato sulla porta, abbaiava tristamente ai rari
viandanti che passavano.
Poi il cespuglio si faceva smorto anch'esso a poco a poco, e l'assiolo
si metteva a cantare nel bosco lontano.
Addio, tramonti del paese lontano! Addio abeti solitari alla cui ombra
ella aveva tante volte ascoltato le storie che egli le narrava, che
stormivate al loro passaggio, e avete visto passare tanta gente, e
sorgere e tramontare il sole tante volte laggiù! Addio! Anch'essa è
lontana.
Un giorno venne dalla
città una cattiva notizia.
Era bastata una parola, di un uomo lontano, di cui ella non poteva
parlare senza impallidire e piegare il capo. Innamorati, giovani, ricchi
tutti e due, tutti e due che s'erano detti di voler restare uniti per
sempre, era bastata una parola di quell'uomo per separarli. Non era il
bisogno del pane, com'era accaduto a Pino il Tomo, né il coltellaccio
del geloso che li divideva. Era qualcosa di più sottile e di più forte
che li separava.
Era la vita in cui vivevano e di cui erano fatti. Gli amanti
ammutolivano e chinavano il capo dinanzi alla volontà del marito. Ora
ella sembrava che temesse e sfuggisse l'altro.
Al momento di lasciarlo pianse tutte le sue lagrime che egli bevve
avidamente; ma partì. Chissà quante volte si rammentavano ancora di quel
tempo, in mezzo alle ebbrezze diverse, alle feste febbrili, al turbinoso
avvicendarsi degli eventi, alle aspre bisogne della vita? Quante volte
ella si sarà ricordata del paesetto lontano, del deserto in cui erano
stati soli col loro amore, della ceppaia al cui rezzo ella aveva
reclinato il capo sulla spalla di lui, e gli aveva detto sorridendo: -
L'uggia per le camelie! -.
Delle camelie ce n'erano
tante e superbe, nella splendida serra in cui giungevano soffocati gli
allegri rumori della festa, molto tempo dopo, quando un altro ne aveva
spiccata per lei una purpurea come di sangue, e gliela aveva messa nei
capelli.
Addio, tramonti lontani del paese lontano! Anche lui, allorché levava il
capo stanco a fissare nell'aureola della lampada solitaria le larve del
passato, quante immagini e quanti ricordi! di qua e di là pel mondo,
nella solitudine dei campi, e nel turbinìo delle grandi città! Quante
cose erano trascorse! e quanto avevano vissuto quei due cuori lontano
l'uno dall'altro!
Infine si rivedevano nella
vertigine del carnevale. Egli era andato alla festa per veder lei,
coll'anima stanca e il cuore serrato d'angoscia. Ella era lì difatti,
splendente, circondata e lusingata in cento modi. Pure aveva il viso
stanco anch'essa, e il sorriso triste e distratto. I loro occhi
s'incontrarono e scintillarono. Nulla più.
Sul tardi si trovarono accanto come per caso, nell'ombra dei grandi
palmizi immobili. -
Domani!
- gli disse. -
Domani, alla tal'ora e nel tal luogo.
Avvenga che può! voglio vedervi!
-
Il seno bianco e delicato le tempestava dentro il merletto trasparente,
e il ventaglio le tremava fra le mani. Poi chinò il capo, cogli occhi
fissi ed astratti; lievi e fugaci rossori le passavano sulla nuca del
color della magnolia.
Come batteva forte il cuore a lui! come era squisita e trepidante la
gioia di quel momento! Ma allorché si rividero l'indomani non era più la
stessa cosa. Chissà perché
...
Essi avevano assaporato il frutto velenoso della scienza mondana; il
piacere raffinato dello sguardo e della parola scambiati di nascosto in
mezzo a duecento persone, di una promessa che val più della realtà,
perché è mormorata dietro il ventaglio e in mezzo al profumo dei fiori,
allo scintillìo delle gemme e all'eccitamento della musica.
Allorché si buttarono nelle braccia l'uno dell'altro, quando si dissero
che si amavano nella bocca, entrambi pensavano con desiderio molle ed
acuto al rapido momento della sera innanzi, in cui sottovoce, senza
guardarsi, quasi senza parole, si erano detto che il cuore turbinava
loro in petto ad entrambi nel trovarsi accanto.
Quando si lasciarono, e si strinsero la mano, sulla soglia, erano tristi
tutti e due, e non tristi soltanto perché dovevano dirsi addio - quasi
mancasse loro qualche cosa. Pure si tenevano sempre per mano, ad
entrambi veniva per istinto la domanda. -
Ti rammenti? -
E non
osavano. Ella aveva detto che partiva l'indomani col primo treno, ed
egli la lasciava partire.
L'aveva vista allontanarsi pel viale deserto, e rimaneva là, colla
fronte contro le stecche di quella persiana.
La sera calava. Un organino
suonava in lontananza alla porta di un'osteria.
Ella partiva l'indomani col primo treno. Gli aveva detto: - Bisogna che vada con lui!
-
Anch'egli aveva ricevuto un telegramma che lo chiamava lontano. Su quel
foglio ella aveva scritto
Per sempre, e una data. La vita li ripigliava
entrambi, l'una di qua e l'altro di là, inesorabilmente.
La sera dopo anch'esso era alla stazione, triste e solo. Della gente si
abbracciava e diceva addio; degli sposi partivano sorridenti; una mamma,
povera vecchierella del contado, si strascinava lagrimosa dietro il suo
ragazzo, robusto giovanotto in uniforme da bersagliere, col sacco in
spalla, che cercava l'uscita di porta in porta.
Il treno si mosse. Prima scomparve la città, le vie formicolanti di
lumi, il sobborgo festante di brigatelle allegre. Poi cominciò a passare
come un lampo la campagna solitaria, i prati aperti, i fiumicelli che
luccicavano nell'ombra. Di tanto in tanto un casolare che fumava, della
gente raccolta dinanzi a un uscio. Sul muricciuolo di una piccola
stazione, dove il convoglio si era arrestato un momento sbuffante, due
innamorati avevano lasciato scritto a gran lettere di carbone i loro
nomi oscuri. Egli pensava che anch'essa era passata di là il mattino, e
aveva visto quei nomi.
Lontano lontano, molto
tempo dopo, nella immensa città nebbiosa e triste, egli si ricordava
ancora qualche volta di quei due nomi umili e sconosciuti, in mezzo al
via vai affollato e frettoloso, al frastuono incessante, alla febbre
dell'immensa attività generale, affannosa e inesorabile, ai cocchi
sfarzosi, agli uomini che passavano nel fango, fra due assi coperte
d'affissi, dinanzi alle splendide vetrine scintillanti di gemme, accanto
alle stamberghe che schieravano in fila teschi umani e scarpe vecchie.
Di tratto in tratto si udiva il sibilo di un treno che passava sotterra
o per aria, e si perdeva in lontananza, verso gli orizzonti pallidi,
quasi con un desiderio dei paesi del sole. Allora gli tornava in mente
il nome di quei due sconosciuti che avevano scritto la storia delle loro
umili gioie sul muro di una casa davanti alla quale tanta gente passava.
Due giovanetti biondi e calmi passeggiavano lentamente pei larghi viali
del giardino tenendosi per mano; il giovane aveva regalato alla ragazza
un mazzolino di rose purpuree che aveva mercanteggiato ansiosamente un
quarto d'ora da una vecchierella cenciosa e triste; la giovinetta, colle
sue rose in seno, come una regina, dileguavasi seco lui lontano dalla
folla delle amazzoni e dei cocchi superbi. Quando furono soli sotto i
grandi alberi della riviera, sedettero accanto, parlandosi sottovoce
colla calma espansione del loro affetto.
Il sole tramontava nell'occidente smorto; e anche là, nei viali
solitari, giungeva il suono di un organino, con cui un mendicante dei
paesi lontani andava cercando il pane in una lingua sconosciuta.
Addio, dolce melanconia del tramonto, ombre discrete e larghi orizzonti
solitari del noto paese. Addio, viottole profumate dove era così bello
passeggiare tenendosi abbracciati. Addio, povera gente ignota che
sgranavate gli occhi al veder passare i due felici.
Alle volte, quando lo assaliva la dolce mestizia di quelle memorie, egli
ripensava agli umili attori degli umili drammi con un'aspirazione vaga e
incosciente di pace e d'obblio, a quella data e a quelle due parole -
per sempre - che ella gli aveva lasciato in un momento d'angoscia,
rimasto vivo più d'ogni gioia febbrile nella sua memoria e nel suo
cuore.
E allora avrebbe voluto
mettere il nome di lei su di una pagina o su di un sasso, al pari di
quei due sconosciuti che avevano scritto il ricordo del loro amore sul
muro di una stazione lontana.