Mentre mamma Kitza, nel suo palazzo di nuvole, preparava gli
abiti d'oro per i suoi figli astri, un gruppo di stelle si recò da lei, e tutte le stelle
si lagnavano.
- La mia veste è troppo larga.
- La mia
veste non risplende abbastanza.
- La mia veste non è guarnita di gemme.
Erano petulanti, le
stellucce. E capricciose, e testarde.
- Io voglio una
veste attillata
- Io voglio
una veste molto fulgida.
- Io
voglio una veste con guarnizioni di smeraldi.
Strepitavano,
facevano impazzire la povera mamma Kitza.
- Bimbe mie, non
fate chiasso,
- si raccomandava la buona
donna -
molte vostre sorelle sono
ancora nude, patiscono il freddo e potrebbero ammalarsi.
Ma le stellucce egoiste non si commuovevano.
- Io voglio una
veste attillata.
- Io voglio
una veste molto fulgida.
Presso il palazzo di nuvole passò Micar, il re degli spazi. Udì lo
strepito, ed entrò da mamma Kitza. - Che accade qui dentro? - domandò con voce di tuono.
Le stelle, di colpo, diventarono umili e sottomesse. Ma la verità
dovettero dirla. La collera gonfiò il cuore di Micar.
- Poiché siete egoiste e pretenziose, io vi scaccio dal firmamento.
Il re degli spazi, con malagrazia, tolse alle stellucce gli abiti d'oro e
le scagliò, come ciottoli, tra il fango della terra.
Kitza piangeva. Si
sa, le mamme sono sempre indulgenti e amano anche le figlie cattive.
Piangeva, si
lagnava:
- Mi hai tolto dalle vene molte gocce di sangue, o inflessibile Micar. Che
faranno le mie piccoline laggiù, tra la mota? Gli uomini e le bestie le calpesteranno, le
umilieranno.
Bersto, la dama dei giardini, ebbe pietà della povera madre.
- O Kitza,
- disse -
qualche cosa per le tue figlie
posso farla io. Le trarrò dal fango che le avvilisce, le trasformerò in
fiorellini bianchi, profumatissimi.
Bersto mantenne la promessa e nacquero così i gelsomini, le stellucce
della terra.