Nel piccolo villaggio
di Sugeka viveva un tempo, in una capanna dal tetto di paglia, un giovane pescatore che si
chiamava Taro.
Un giorno, mentre ritornava a, casa, contento perché la pesca era stata
abbondante, vide sulla riva alcuni bambini mezzo nudi che si divertivano a tormentare una
tartaruga.
A Taro non piaceva veder soffrire le bestie, perciò si avvicinò al gruppo,
accarezzò dolcemente le testine graziose dei bimbi e distribuì loro alcune monete,
pretendendo in cambio la tartaruga.
I bambini si
affrettarono a consegnargliela, poi corsero al villaggio a comprare qualche dolciume.
Rimasto solo con la tartaruga, Taro laccarezzò per rassicurarla e la depose sulla
sabbia, lasciandola in libertà.
Poi, godendo di quellintensa soddisfazione che
procura sempre agli animi delicati una buona azione, si diresse fischiettando verso casa.
Il giorno dopo,
alle prime luci dellalba, il giovane pescatore, secondo il suo solito, salì sulla
sua barchetta e vogò verso il largo in cerca di una zona favorevole per la pesca. Ed ecco
che allimprovviso unenorme tartaruga affiorò alla superficie del mare e venne
ad ormeggiarsi presso la barca. Mentre Taro la guardava stupito, essa, gli rivolse la
parola in buon giapponese:
Buongiorno, Taro, disse
mi manda a te la Regina delle acque, la bella Otime. Ieri, mentre secondo il suo solito stava facendo quattro passi sulla riva. sotto le
spoglie di tartaruga; essa fu catturata da alcuni ragazzi e sarebbe certo morta, sotto
atroci tormenti, se tu non fossi sopravvenuto a liberarla. La Regina vuole perciò
dimostrarti la sua profonda riconoscenza e mi ha mandato a prenderti. Sali dunque sulla
mia groppa e io ti condurrò da lei.
Taro, che era
coraggioso e amante delle avventure, non si fece ripetere linvito due volte,
scavalcò il bordo della barca e sedette comodamente sulla groppa della testuggine, che si
tuffò risolutamente nelle onde.
Fendendo le acque a una velocità pazzesca, la bestia
condusse il suo cavaliere nel fondo dellOceano e si fermò dinanzi a un palazzo
doro massiccio, dalle colonne di corallo e dal tetto di gemme: la sabbia dinanzi a
quella, splendida dimora era formata da tutti granini di perle.
Appena Taro fu sceso dalla
tartaruga, uno stuolo di sirene, di pesci, di draghi, di mostri marini uscirono
dallampio portone e vennero a genuflettersi dinanzi a lui; poi un grosso tonno,
vestito da paggio, gli si avvicinò e, con unagilità sorprendente, gli tolse di
dosso i miseri indumenti da pescatore e lo vestì di un abito di seta azzurra, gli
mise ai piedi dei calzari doro e sulla testa gli pose una corona di diamanti. Poi,
presolo per mano, lo introdusse nel palazzo.
Il giovane
pescatore salì per unampia scalinata di marmo e, attraverso una porta di smeraldi,
penetrò in una sala immensa dal soffitto di corallo, sostenuto da cento colonne di marmo
risplendente. In mezzo alla sala, seduta su un altissimo trono di diamanti, vestita
lussuosamente, stava Otime, più bella dellaurora.
Quando vide apparire il suo
giovane salvatore, la Regina gli mosse incontro e, presolo per mano, lo fece sedere
accanto a sé sul trono.
Allora una musica dolcissima risuonò sotto le volte immense,
mentre le sirene, con le loro voci soavi, intonavano un melodioso canto damore e di
gioia. Quella sera stessa furono celebrate le nozze del pescatore con la Regina dei mari,
e ad esse parteciparono tutti gli abitanti del vasto regno, giungendo dai più remoti
abissi.
Taro trascorse tre
anni in quel palazzo incantato, tre anni di felicità piena, accanto alla bellissima
sposa. Ma poi, a poco a poco, il suo pensiero tornò ai vecchi genitori, che aveva lasciati nel villaggio, alla sua casa, alla terra abitata dai suoi simili, e una profonda
nostalgia simpadronì di lui.
Otime se ne accorse e il suo cuore si strinse per
langoscia; tuttavia, soffocando i singhiozzi, gli disse: Taro,
vedo che sei malato di nostalgia, ti stai struggendo dal desiderio di ritornare fra i
tuoi. Non sarò certo io a trattenerti; va dunque, la tartaruga che ti ha condotto
qui, ti riporterà a casa. Porta con te questo scrigno, ma mi raccomando vivamente di non
aprirlo per nessuna ragione al mondo, se non vuoi perdermi per sempre.
Taro promise,
abbracciò la principessa, poi salì sulla groppa della tartaruga che lo riportò
fedelmente alla riva.
Come tutto era
mutato durante la sua assenza!
Grossi alberi crescevano la, dove un tempo si stendeva
libera la spiaggia, il villaggio era diventato molto grande, e non verano più
capanne dal tetto di paglia, ma solo ampi casamenti in muratura.
Gli abitanti, che seduti
sulle soglie lo guardavano passare, avevano volti sconosciuti. Taro non sapeva che cosa
pensare: un senso di freddo e di angoscia lo invase.
Che cosa era dunque
accaduto? Sulle rive di un ruscello, scorse una vecchietta che stava lavando; le si
avvicinò e le chiese notizie della sua famiglia.
- Io ho cento
e sette anni rispose la donna
– e dai miei genitori, che a
loro volta lo avevano sentito raccontare dai loro vecchi, ho saputo che un
certo Taro, vissuto circa tre secoli fa, era un giorno scomparso per non più
ritornare.
A queste parole
Taro rimase pietrificato dallorrore; dunque non tre anni, ma tre secoli aveva
trascorso negli abissi marini. Oh, come il tempo era volato! Ed ora che cosa avrebbe
fatto?
Solo, senza amici, senza parenti, in un villaggio che non era più il suo,
circondato da estranei, senza denaro...
A questo punto la sua attenzione fu attratta dallo
scrigno che gli aveva dato Otime prima di partire.
- Che
contenga un tesoro? pensò.
– Forse per questo la Regina mi
ha raccomandato di non aprirlo.
La tentazione di
compiere lazione proibita simpadronì di lui con tanta violenza che non poté
resisterle; si chinò sullo scrigno, afferrò il coperchio e lo trasse a se.
Questo si
spalancò improvvisamente, lasciando uscire un fumo viola che lo avviluppò tutto dalla
testa ai piedi; allora il suo viso si raggrinzò, i suoi capelli e la sua barba divennero
bianchi, le membra si rattrappirono e, in men di un minuto, egli divenne un vecchio
cadente sullorlo della fossa.
Con un grido di angoscia si trascinò fin sui primi
pendii del monte e sinoltrò nella foresta, dove ben presto scomparve.
Da allora
più nessuno lo vide.
Di quando in
quando, specialmente durante lo notti di luna piena, i pescatori che si spingono nelle
acque di Sugeka, odono, proveniente dal mare, una voce flebile, angosciosa, che chiama,
chiama disperatamente, ed essi, mormorando tra i denti una rapida preghiera a Budda,
dicono: È Otime che chiama Taro, il suo sposo.