Cola PesceColapisci: l'uomo che diventa pesce per necessità o per sceltaI Ricordi di Cola: Fatti di Luna, miti e leggende della luna


Il sole e la luna

Giovanna e Nicola

Wainamoinen, il poeta sublime, il soave musico, sedette sulla cima del colle e, accompagnandosi col kantele, si diede a cantare.
Cantava le bellezze dell’universo, la bontà, la speranza: tutto ciò che rende dolce la vita. Il sole, per udirlo, scese sul culmine di un abete; la luna andò a posarsi tra i verdi rami di una betulla.
Louhi, la vecchia dama di Pohjola, s’impadronì del sole e andò a chiuderlo nel suo castello di rame, nel formidabile castello che sorgeva sopra la Montagna Rossa; s’impadronì poi della luna e la nascose nella grotta verde.
Disse al sole:
- Non potrai muoverti di quì fino a quando verrò a prenderti, accompagnata da nove puledri, figli di un’unica cavalla.

Parlò in modo identico alla luna: poi, per dare al mondo un poco di luce, accese, sulla piazza di Pohjola, un gran fuoco e comandò a due piccoli diavoli, suoi servi, di alimentarlo, gettando tra le fiamme tronchi di larice, di pino e rami di ginepro. Il fuoco della vecchia non poteva sostituire le due lampade celesti.

Gli uomini e le donne perdettero la gioia, lo slancio del lavoro, diventarono tristi e pigri.
Anche Wainamoinen si senti depresso; si spense in lui il fuoco sacro della poesia, gli venne meno il desiderio del canto.
Si domandava:
- Come si può vivere in queste tenebre rossicce , in questo mondo senza luce?

Si recò da Ilmarinen, il maraviglioso fabbro.
- Amico mio, eroe dell’opera ardua, modellami un sole d’oro e una luna d’argento.

Ilmarinen foggiò un sole d’oro e una luna d’argento. Poggiò il primo sulla cima di un abete e la seconda tra i rami di una quercia, ma restò deluso. Il suo sole, la sua luna, benché fossero belli, non diffondevano luce.
Wainamoinen decise di recarsi a Pohjola per convincere Louhi di liberare dalla prigionia il vero sole, la vera luna.
Ma Louhi l’accolse sgarbatamente. E quando egli rivelò il motivo della sua visita, scattò:
- Le lampade celesti, adesso, mi appartengono. Gli uomini devono accontentarsi del fuoco che ho acceso sulla piazza.

- O donna, – rimproverò il vecchio vegliardo - credi che tutti si pieghino alla tua prepotenza? Le creature viventi hanno bisogno di luce. Restituisci ciò che hai rubato.

Louhi gridò un comando, e subito gli uomini di Pohjola, armati d’archi e di frecce, di clave e di spade, scattarono dalle case, scesero dalle montagne, sbucarono dalle strade, si riunirono terribili nella piazza, attorno al gran fuoco.
Wainimoinen aveva la clava fiammante, l’infallibile clava magica. Si gettò tra i guerrieri, roteando l’arma da cui sprizzavano scintille; colpì a destra, colpì a sinistra.
Le teste cadevano come gocce d’acqua, e in breve il sangue allagò la piazza, spense il fuoco.
Pohjola e il mondo caddero nelle tenebre più fitte. Ma il vecchio poeta riusciva a vedere anche al buio. Si diresse verso la Montagna Rossa, dove sorgeva il castello di rame, la prigione del sole. Colpì con la clava di fuoco la porta di smeraldo del castello; ma non riuscì ad aprirla. Non riuscì ad aprirla neanche con le parole, con i canti magici.

Pensò allora che Ilmarinen, il gran fabbro, avrebbe potuto costruire una chiave prodigiosa atta a vincere la resistenza della serratura più complicata. Si recò subito dall’arnico e lo pregò di preparargli l’oggetto che desiderava. Ilmarinen si mise subito all’opera.
- La chiave – disse al poeta – riuscirà benissimo. Ti avverto però che il sole e la luna non usciranno dai propri nascondigli, fino a quando la stessa Louhi, accompagnata da nove puledri figli di un’unica cavalla, non andrà a prenderli, non darà loro la libertà.

- Esiste dunque un malvagio incantesimo?

- Appunto. Ma io creerò per te un’arma più terribile della clava, un’arma con la quale ti sarà possibile rendere schiavi il popolo di Pohjola e la violenta vegliarda. Costei, allora, diventerà mansueta, e potrai imporle di restituire alla volta celeste la lampada del giorno, la lampada della notte.

Il fabbro incominciò subito la sua opera difficile.
Louhi, sospettando gravi pericoli per se e per la sua gente, si trasformò in avvoltoio e si recò, con fracasso di ali, dinanzi alla casa del gran fabbro.

- Che avviene? – pensò Ilmarinen – Si è scatenata forse la tempesta? O marciano in vicinanza gli eserciti nemici?

Aperse la finestra, e l’uccellaccio entrò a precipizio nella stanza.

- Che vuoi? – domandò l’uomo. – Che vuoi? Non sono abituata ad aver visitatori del tuo stampo.

- So che sei molto abile – lodò Louhi sotto specie di falco – Nel mondo che io di continuo percorro a volo tutti cantano le tue lodi. Io, perciò, ho voluto conoscerti. Vorrei vedere qualche tua opera.

- Lo splendido coperchio dell’aria, il cielo immenso, è opera mia.

- Ma si, ne sono informata! E, dimmi, che vai facendo adesso?

- Adesso preparo un’arma terribile, un’arma che dovrà distruggere tutto il popolo di Pohjola.

Louhi, colma di sgomento, si affrettò a raggiungere la sua terra.

Pensava:
- Il gran fabbro, certo, lavora per ordine di Wainamoinen. Il vegliardo, dopo essersi persuaso che, senza il mio intervento, il sole e la luna non possono uscir dai loro nascondigli, vuol uccidermi e uccider il popolo che amo, consapevole del fatto che la potenza magica di cui godo, si dissiperà dopo la mia morte. E' meglio, dunque, che io salvi me stessa e la mia gente, restituendo agli uomini le lampade dei cieli.

La vecchia, corse a prendere il sole e la luna, salì sulla cima di una montagna e lanciò in alto, fino al cielo, l’immensa palla d’oro, l’immensa, palla d’argento.

Poi, trasformata in colomba, ritornò a volo da Ilmarinen.

- Che vuoi? – domandò il fabbro – che vuoi da me, uccello gentile?

- Vengo ad annunciarti che il sole e la luna hanno fatto ritorno nella loro casa eccelsa. Rallegrati, o uomo giusto: la luce di nuovo risplende sopra le strade della terra.

Ilmarinen uscì dalla fucina nera e rossa, si guardò attorno. Vide la lampada del sole, vide i campi e i giardini, vide i boschi e il mare e, in fondo in fondo, sopra un pino, scorse il volto ridente della luna.

- E' inutile – pensò. – E' inutile che io porti a termine l’arma terribile. Quello che Wainamoinen desiderava è realtà, non bisogna più combattere per ottenerlo.

Corse dal vecchio poeta, che dormiva nel suo letto d’oro e d’argento.

- O eroe, o amico, – gridò con gioia. – Il sole e la luna hanno ripreso a camminare nelle strade celesti, l’ombra che avviliva gli uomini, che li rendeva pigri e tristi, è stata debellata.

Wainimoinen gettò in mare la sua clava di fuoco, prese il kantele e, col cuore gonfio di commozione dolcissima, andò a sedersi ai piedi di un ontano. Cantò, accompagnandosi col soave strumento, le lodi alla luce, le lodi alla bontà, e alla bellezza.

Tutti, vedendolo, dimenticarono il dolore, dimenticarono il male e si sentirono l’animo limpido e giocondo.

 

Leggenda Indiana

   

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