|
Nella foresta, tra gli alberi forti e maestosi, cera un alberello stento, di cui i vegetali suoi compagni si vergognavano molto. - Ma chi sei, tu? disse un giorno, al misero, il larice superbo. Chi sei? Nessuno, guardando il tuo tronco squallido che finisce con due rametti tisicuzzi, riuscirebbe a darti un nome. Non conosci lorgoglio delle gemme, la grazia delle foglie. Tu partecipi allesistenza, da mendico. Tra di noi, che siamo belli e robusti, sei una stonatura, unombra. Perché non domandi al tagliaboschi due provvidi colpi dascia, che spezzino lincubo della tua vita inutile?
Il piccolo albero
non rispose. Spiò, guardando il vasto cielo, larrivo della notte. Solo a notte, nel
buio misericordioso, concesse alla sua tristezza il sollievo delle lagrime.
La notte ebbe pietà del piccolo implorante e posò sul suo tronco una
gran chioma di luce. Lalbero si sentì subito forte e giocondo, più bello dei
compagni. Lorgoglio lo spinse in alto, in alto. Il tronco esile si levò
nellombra, la corolla luminosa toccò il nero velluto del cielo notturno.
Era nata la Luna, poesia della notte. Ma la Luna aveva freddo, molto
freddo. Babbo Cielo, allora, afferrò il lungo tronco dellalbero, lo estirpò dalla
terra e fece, con esso, nella sua casa vasta e buia, un gran fuoco per riscaldar la Luna.
|