La leggenda di Glauco
Glauco e Scilla - Agostino Carracci - 1597 - Farnese Gallery - Rome
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Glauco, figlio di Nettuno, venne nella
preistoria a
Capo Peloro, proveniente dalla Beozia.
Costruitasi una barca con legno di pino, dopo averla dipinta di verde e di
azzurro, si mise a fare il mestiere di pescatore con buoni risultati.
Egli tratteneva per se quanto gli bastava e il resto del
pescato lo dava ai suoi amici.
Glauco era un bel ragazzo dagli occhi azzurri e dai
capelli biondo rame lunghi e fluenti.
Le nereidi
Tetide, Anfitride, Panope e
Galatea, in
compagnia di sirenette e ninfe, venivano nei pressi di Capo Peloro per
conoscerlo e parlargli. Glauco, giocava e scherzava con
tutte, ma non mostrava interesse per alcuna.
Un giorno passò da quelle parti Scilla, figlia
bellissima di Forco. Quando la ragazza vide
Glauco, se ne innamorò perdutamente, ma non osò
manifestarsi, accontentandosi di guardarlo e aspettarlo.
Glauco le sorrideva con simpatia e affetto e
Scilla
si infiammava sempre più di passione.
Un giorno giunse in quei luoghi la maga Circe,
sempre pronta ad innamorarsi di qualcuno, divenne amica di
Scilla. Le due spesso andavano a fare il bagno nei
laghetti o passeggiare lungo le spiagge. Un giorno Scilla raccontò del suo
amore per Glauco, sperando, forse, che la maga
potesse aiutarla. Circe chiese di conoscerlo e per
questo Scilla la portò sulla spiaggia all'alba, quando Glauco si preparava
per andare a pescare.
Quando la maga vide il giovane ne restò colpita e si innamorò di lui a tal
punto che disse a Scilla di cercarsi un altro uomo, perché Glauco faceva al
caso suo.
Scilla si sentì morire e
supplicò più volte la maga. Alle insistenza di Scilla, Circe si indispose
talmente da avvelenare le acque dove la ragazza faceva il bagno e da
colpirla con una bacchetta magica su una spalla.
Circe trasorma scilla
- Neer, Eglon van der
Tradita dalla maga, Scilla cominciò a trasformarsi
in un mostro marino, con sei teste latranti e dodici
gambe deforme. La sua pelle si coprì di squame ruvide e lucenti, e la sua voce divenne rauca e
abbaiante. Poi, non reggendo alla disperazione si gettò in
mare.
Il suo cuore
si trasformò in roccia e il suo animo divenne crudele e
cominciò a fare strage dei
naviganti che passavano dalle parti della sua caverna.
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Scilla - Fontana di Nettuno
del Montorsoli - Museo Messina
Scilla - Fontana di Nettuno del Montorsoli - Messina
"Intanto la perfida
Circe se la spassava con Glauco.
Ma quando venne la primavera, volubile com'era, si
stancò del suo amore e lo lasciò. Prima voleva tramutarlo in un animale, come aveva
fatto con i suoi passati amanti, ma non poté farlo perché Glauco era figlio di Nettuno.
Perciò lo lasciò senza neanche dirgli addio e se ne tornò nella sua isola di Eea.
Quando Glauco s'accorse d'essere stato abbandonato, cadde in una tristezza profonda. Ma la
sua amarezza divenne sofferenza quando seppe della brutta fine di Scilla, di quella
piccola creatura dalla voce melodiosa che tutte le mattine, per tanto tempo, lo aveva
atteso sulle rive del Peloro e che la perfida Circe, per gelosia e con l'inganno, aveva
cambiato in un orrido mostro marino.
- Oh grandi dei!
-
inveì in cuor suo -
Perché mi dannaste a così crudele destino?
Ora, ogni giorno,
Glauco aveva preso l'abitudine di uscire con la barca fuori dalle acque dello Stretto e di
avvicinarsi all'antro di Scilla. Quando giungeva nei pressi, la chiamava per nome e
cominciava a rammentarle il tempo felice dei loro primi incontri.
L'orrido mostro, più di
una volta, fu sul punto d'avventarsi contro con le sue bocche latranti ed inghiottirlo.
Ma, pur se soggetta alla demenza canina, forse, nel cuore, manteneva ancora qualcosa del
suo amore di donna. Così, dopo aver latrato minacciosa, finiva per acquietarsi e
rientrava nelle buie caverne marine mentre Glauco, afflitto e disperato, tornava alla
spiaggia dello Stretto.
I cani di Scilla - Fontana di Nettuno del Montorsoli -
Messina
E intanto passarono gli
anni.
Glauco, sempre più malinconico, divenne un vecchio curvo, pieno di ricordi e di
rimorsi. Egli, non si allontanò mai più dalle rive dello Stretto e continuò a vivere
solitario ed eremita, vivendo solo del prodotto della sua pesca, per fortuna, sempre
abbondante. I capelli e la barba gli erano incanutiti, ma gli occhi erano rimasti vivi e
lucenti, forse un poco tristi a causa del tenero e mai scomparso ricordo di Scilla quando,
ancora giovinetta, dolce e bellissima, si era perdutamente innamorata di lui.
Glauco, ora, era anche
stanco. Ogni giorno, tornando dal mare, remava sempre più lentamente e con più fatica.
Una volta, mentre tornava da una pesca lontana, vide in mezzo al mare un'isola bellissima,
piena d'alberi e di fiori. Persino sul bagnasciuga vi cresceva un'erbetta verde e
argentata, soffice e molle come un bellissimo tappeto di Persia.
Glauco,
improvvisamente, si sentì stanco e triste.
Accostò con la barca a quell'isola
sconosciuta, tirò a secco le reti e sedette sulla soffice erbetta, cominciando a
selezionare i pesci pescati.
E allora egli vide una cosa incredibile, meravigliosa. Quei
pesci, appena toccavano quell'erba, tornavano a vivere, e a piccoli balzi saltellavano
verso il mare, e vi si tuffavano dentro riacquistando vita e vigore.
Glauco restò
sbalordito. Mai, in vita sua, aveva visto o sentito parlare di cose simili. Ora era
vecchio e stanco, e anche un tantino miope. Ma quello che vedeva era realtà e non sogno.
Colse un ciuffo di quell'erba e lo mangiò.
Oh, che sapore bellissimo aveva quell'alga!
Nella sua mente tornò il ricordo degli aromi dei cibi mangiati nella prima fanciullezza,
e gli parve d'avere in bocca zucchero e miele ed elisir, e tutte le leccornie che aveva
mangiato da bambino.
E allora colse altri ciuffi di quell'erba e li mangiò, e così di
seguito, con ingordigia, fino a divenire sazio.
E allora in lui
s'avverò il miracolo. D'un tratto il suo corpo ebbe un fremito. I suoi piedi cominciarono
a colorarsi di verde e poi le gambe, le braccia, il busto e la faccia, divennero verdi
come il colore di quell'alga che aveva mangiato.
La sua barba cominciò
ad assumere un bel colore verde e su tutto il corpo gli spuntarono peli verdi e lunghi,
sottili e fini come fili di seta.
Il cuore di Glauco s'empì di gioia, mentre una forza
incontenibile, più grande della sua stessa volontà, lo fece alzare da terra e correre
verso il mare, dentro al quale s'immerse con un gran salto.
Oh, il grande dolce
sapore del mare, l'estasi sublime in cui ogni sentimento s'annulla e la pace si confonde
con la gioia! Lievi le onde lo accarezzarono sfiorandolo e Glauco, il biondo ceruleo
Glauco, divenne un tritone del mare, immortale e profetico.
Sul fondo egli vide una
casa attorniata da un giardino bellissimo, pieno di alghe e di coralli, un caleidoscopio
di colori stupendi, mentre attorno si udiva una musica dolcissima e allettante. Vi entrò
e ne fece la sua reggia."
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Leggi per intero in
Miti e leggende di Sicilia
di Salvino
Greco
Dario Flaccovio Editore
www.colapisci.it
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