Cola PesceColapisci: l'uomo che diventa pesce per necessità o per sceltaI ricordi di Cola: Fatti leggendari


La leggenda di Orione


Orione - Fontana di Orione - Messina

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Il mitico Zanclo o un suo successore dello stesso nome, volendo dare una sistemazione migliore al porto e alla città di Messina, chiamò a sé un grande genio di allora, un certo Orione che aveva fama di essere il migliore architetto del mondo. Per Zanclo, Orione costruì una grande reggia e, nell'odierna zona dei laghi di Ganzirri, uno splendido tempio dedicato a Nettuno, il dio del mare, ricco di opere d'arte e ornato d'imponenti colonne che, centinaia di anni dopo, caduto il tempio, furono recuperate e utilizzate per abbellire l'antico Duomo di Messina.
Orione in Zancle realizzò anche altre mirabili opere, costruì il promontorio del Faro, per avvicinare la costa siciliana a quella calabra e, con l'accumulo dei detriti collinari, formò davanti alla città la penisoletta a forma di falce, da lui detta
Acte, che oggi chiude e delimita l'ampio porto di Messina. Fatte queste cose, Orione se ne tornò tra la sua gente e poi morì, secondo una leggenda, nell'isola di Creta.

Una delle tante versioni racconta che egli nacque nel modo seguente.

Un giorno Zeus, assieme al fratello Ades e al figlio Ares, se ne andava a zonzo per la campagna della Beozia. Accaldati e assetati, i tre divini, d'un tratto, videro una capanna e vi si diressero. Lì viveva un povero contadino senza figli, di nome Irieo. Ricevuta degna ospitalità, gli dei, per compensarlo, gli promisero di esaudire un suo desiderio, e Irieo allora chiese di poter avere un figlio, ma senza prendere moglie.
Zeus, sorridendo per la strana richiesta, gli suggerì di sotterrare nell'orto davanti alla capanna una pelle di giovenca. Dopo alcuni mesi Ireo s'accorse che in quel punto la terra appariva rigonfia e smossa. Estrasse la pelle e dentro vi trovò un bambino che chiamò
Orione.


Orione - Fontana di Orione - Messina

Una seconda versione, invece, lo vuole figlio gigante di Nettuno e di Brilla di Minos (o di Euriale), educato da Atlante che ne fece un formidabile cacciatore. La sua armatura era tutta d'oro e la sua lancia era fatta di un metallo così fine che da lontano luccicava come saettante folgore. Nelle sue prolungate cacce era accompagnato da un vivace cane latrante di nome Sirio e con esso, per balze e per selve, con astuzia e bravura inseguiva, senza mai fermarsi, cervi e caprioli.

Un giorno a Chio conobbe Merope, una graziosa fanciulla figlia di Enopione, figlio di Diòniso. La chiese in moglie, ma per averla gli fu imposto di affrontare una serie di prove molto difficili. Le superò, ma le sue prodezze non gli valsero a nulla perché nel frattempo di Merope si era innamorato il suo stesso padre Enopione.
Orione, per l'amarezza, si ubriacò bevendo un intero otre di vino. Così ridotto, di notte riuscì ad entrare nella stanza di Merope e la sedusse. Enopione, volle vendicarsi e, aiutato da Diòniso, riuscì a farlo addormentare. Poi, quando il seduttore della figlia era profondamente addormentato, di soppiatto gli cavò gli occhi e li gettò in mare.
Per giorni e giorni Orione brancolò cieco, cercandoli ovunque. Stanco di camminare costrinse il gigante
Cedalione a prenderlo a cavalcioni sulle spalle e con esso andò ancora cercando i suoi occhi sino ai confini del mondo. Alla fine, con l'aiuto di un dio, riuscì a trovarli, li rimise nelle cavità orbitali e riacquistò la vista.

Una volta, mentre andava a caccia con il fedele cane Sirio, incontrò la bella Artemide, circondata dalle sue ninfe. La dea era allegra quel giorno e assieme alle sue compagne andava per i campi raccogliendo fiori e cantando. Essendo un'abile cacciatrice aveva con sé l'arco e le frecce e così, di tanto in tanto, si divertiva a colpire gli uccelli in volo o i veloci conigli selvatici che allora abbondavano nelle lussureggianti campagne.

Orione la incontrò sul suo stesso sentiero, ma essendo superbo e orgoglioso non volle cederle il passo, né la salutò. Anzi non si curò affatto di lei e passò oltre, senza degnarla di una sola occhiata. La sua azione suscitò disappunto nelle vergini cacciatrici ma la dea, colpita e conquistata dalla sua personalità, se ne innamorò. Lo fece suo amante e lo nominò custode di un suo tempio che sorgeva in Zancle, lungo la riviera Paradiso, dove ogni mattina si radunavano in preghiera i cacciatori del luogo, prima di andare a caccia sulle ben fornite colline peloritane che i Romani, secoli dopo, indicarono con il nome di Montes Neptunii.

Orione non fu un modello di fedeltà verso la dea e, sfacciatamente, si mise a corteggiare anche altre belle ragazze.
Un giorno, mentre andava a caccia, s'imbatté nelle sette sorelle Pleiadi, figlie deliziose di Pleiona e di Atlante, suo vecchio tutore, che se ne andavano tranquille e felici per i campi, cantando e raccogliendo fiori. Tra esse la più bella era Merope. Orione se ne innamorò e incominciò ad inseguirle. Le
Pleiadi corsero per sfuggirgli ma, viste le sue insistenza e molestate dai suoi infallibili dardi, chiesero a Zeus di aiutarle, e Zeus le trasformò in stelle.
L'ira di Atlante fu allora tremenda, ma invano egli chiese al padre degli dei la testa di Orione. Costui, infatti, vistosi a mal partito, fuggì lontano, errando per il mondo.
Dopo aver visitato quasi tutte le terre del Mediterraneo, andò esule in Libia e in Ellade dove studiò le leggi della fisica e apprese le regole che governano i movimenti celesti.
Il comportamento di Orione non piacque ad Artemide che, arsa di sdegno e punta dalla gelosia, pensò di vendicarsi. Questa sua ostilità divenne addirittura odio quando seppe che l'altezzoso e fedifrago Orione si era invaghito di una dea dolce e solitaria, la bella
Eos dai colori rosati, ossia l'Aurora, che aveva dimora ai confini dell'orizzonte, dove il mare e il cielo s'abbracciano e si fondono in un'unica linea.

Tutte le mattine Orione, sul far dell'alba, s'immergeva in mare e nuotava con vigore per raggiungere la sua Eos che, a detta dei soliti pettegoli dell'Olimpo, non era insensibile alle sue profferte amorose.
Artemide, informata dagli dei, anch'essi molto adirati per la sfrontatezza di Orione, sentì qualcosa lacerarle il cuore. Forse era una punta di gelosia, forse solo desiderio di vendetta. Un giorno, mentre passeggiava sulla spiaggia assieme al fratello Apollo, vide lontano, sul mare, verso
Ortigia, un puntino nero. Apollo, quasi scherzando, la punse nell'orgoglio e la invitò a dargli prova della sua infallibile mira, colpendo con una freccia quel piccolo puntino che galleggiava solitario all'orizzonte. La dea, rapidamente, tese l'arco e scoccò un dardo. Il micidiale strale percorse velocemente l'arco del cielo e raggiunse il bersaglio.
Poco dopo le onde del mare sospingevano alla riva il corpo esanime di Orione, trafitto in mezzo alle spalle dalla freccia di Artemide.
Quando la dea riconobbe in quel corpo l'amato-odiato Orione, fu presa da pentimento e, afflitta, pregò il padre Zeus di rimediare al suo errore, accogliendolo in cielo. Zeus l'esaudì, ma non potendolo ammettere agli onori dell'Olimpo, lo pose come stella nella costellazione dello Scorpione, e vicino gli mise il fedele cane Sirio, anch'esso mutato in stella.

In autunno l'apparire della prima stella annuncia piogge e bufere, mentre la seconda brilla nitida e fulgente nella calura delle notti estive. Nelle notti serene, quando nessuna nube offusca il cielo del nostro emisfero, noi vediamo il gigante Orione e il cane Sirio ancora inseguire e incalzare con la loro vivida luce le timide Pleiadi che, per sfuggirgli, in morte come in vita, si tuffano al di la dell'orizzonte, determinando il sorgere del giorno.

Ma qualunque siano la nascita e la fine di questo personaggio-eroe, la leggenda lo vuole costruttore nella primitiva Zancle.
A lui, perciò, l'antico Senato messinese volle dedicare un monumento che tramandasse ai posteri la loro origine e la loro discendenza semidivina.
Chiamarono per questo fra Giovanni Angelo da Montorsoli, scultore ed architetto tra i più manieristici di quel tempo, discepolo e allievo di Michelangelo, nato nel 1507 e morto a Firenze nel 1563. Costui, ricevuto il mandato del Senato messinese, nel 1547 venne in Messina e, dopo essersi consultato con il grande scienziato messinese Francesco Maurolico, immaginò la costruzione di una grande fontana monumentale che sapesse
"riflettere il desiderato dívísamento" e cioè la rappresentazione marmorea del fondatore mitologico di Zancle.
L'opera fu portata a compimento in soli quattro anni di lavoro e fu inaugurata nel 1553.

I quattro fiumi della Fontana di Orione del Montorsoli - Messina

La fontana di Orione del Montorsoli - Messina

La fontana di Orione del Montorsoli - Messina

La fontana di Orione del Montorsoli - Messina

Leggi per intero in
Miti e leggende di Sicilia
Salvino Greco

   

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