Forse
l'equivoco nasce solo dalla comune radice di
Gibel e
Gibaldar,
cioè
Gibilterra.
Ad
ogni modo il personaggio nuovo fatato nel Mediterraneo è sempre lei,
Morgana.
Per qualche andare del tempo è la fata Morgana che tiene reggia, ospita
re Artù dentro l'Etna. Dove se non nei boschi, i profumati boschi nelle
vallate del monte?
Dalla cima dell'Etna con magica lestezza e mosse guizzanti gli occhi di
lei passavano dalla sponda calabra a quella messinese dello stretto di
mare, con una fitta di inquieta felicità.
Erano
le prime luci dell'alba, quelle in cui si scatenavano le sue invenzioni
migliori: fece un gesto improvviso e nacque nello stretto di Messina il
celtico mirage, come se le coste dirimpettaie non fossero più
presenti, come se ci fosse un panorama che si specchiasse in un altro, uno
specchio dentro un altro fino a perdersi di vista.
Lo
scrittore A. Kopisch nelle Poesie, uscite a Berlino nel 1833 e
tradotte a Torino da Gustavo Straforello nel 1859, immagina il conte
Ruggero, il Normanno, che da Scilla guarda al di là dello Stretto la
Sicilia ed è visto da Morgana, che lo invita sul carro incantato; ma il
Normanno rifiuta. Allora Morgana gli ammannisce il mirage: l'isola
si accosta, l'Etna si accosta e tutta l'isola gli sta davanti fino a
Trapani, fino al tempio di Citera.
Anche
a Catania qualcosa avvenne: nel 1161 Riccardo Cuor di Leone
consegnò a Tancredi, re di Sicilia, la spada Excalibur di re Artú, forse
un modo di dare prestigio all'ultimo periodo del dominio normanno in
Sicilia, minacciato dall'avvento prossimo degli Svevi.
Excalibur e l'Etna si accostavano disperatamente l'una all'altro, entrambi
partecipi di quel capolavoro che era la leggenda di re Artú, ormai
entrata in orbita nei cieli del pianeta.
Allora
con il secolo XII qualcosa è molto cambiato. C'è uno spostamento
geografico e mitopoietico. Non escono più dai condotti etnei le grandi
seduttrici, le sirene; non vi scendono più le anime che viaggiavano sulla
nave nera e silenziosa, priva di equipaggio.
L'Etna entra in un nuovo soprannaturale, diverso da quello classico,
greco-latino, e da quello cristiano, un soprannaturale che è
nordico-celtico e a noi mediterranei appare meno inquietante, ma più
bizzarro e fabuloso.
Sembra un mondo "altro",
con altri frequentatori.
(..)
L'Etna
assume così la natura ibrida dell'isola di Avalon coi suoi ospiti che
vagano fra l'aldiquà e l'aldilà, responsabili anche i normanni. Se si
perde la memoria dei popoli, le storie narrate vanno intorno errando come
involucri vuoti.
Come nell'isola di Avalon, così anche nell'Etna valgono leggi diverse
riguardo allo spostamento nello spazio e allo scorrere del tempo.
(..)
Virtú
delle fate, compresa Morgana, è la leggerezza dell'essere. Camminano
silenziose, quasi volando sopra la terra come angeli, appaiono e
scompaiono, cinte di un vago alone di luce. Simili all'arcobaleno hanno
natura sospesa e umori variabili, che nel secolo XII le fanno volare dalle
praterie dell'Irlanda alle brughiere della Scozia, alle rocce di
Gibilterra, alle balze dell'Etna; forse è lo stesso arcobaleno a segnare
loro la strada.
Hanno le fate una particolare attrazione per i neonati che esse salvano e
proteggono, perché hanno per gli infanti la reverenza di una madre e
forse anche la voglia.
Esse impregnano di sé lo spirito dei luoghi, Irlanda, Scozia, Etna, che
paiono soggiacere a incantesimi o, per lo meno, a quegli effetti magici
che le connotano.
La
vita delle fate è retta da una logica fantastica rassicurante e per noi
tutto quello che fanno ha valore proprio perché non sappiamo che valore
dargli.
Secondo il cappellano scozzese Kirk ci sono molti suoi fedeli che hanno la
"seconda vista", cioè il dono di vederle nell'ambiente
fra gli Highlands e la Bassa Scozia, e non si sa bene come mai ciò
avvenga.
Le fate usavano un linguaggio con parole di diverso significato e
cambiavano i nomi di cose ordinarie in suoni che funzionassero
"in
modo analogo a quello che esse desideravano produrre e cosí formavano uno
stile magico speciale loro proprio"
che modificava la natura
delle cose.
Il buon cappellano scozzese crea una analogia coi Neoplatonici che pure
usavano parole magiche
"di diverso significato, parole che essi
pensavano fossero state escogitate dagli dei che conoscevano la natura
delle cose".
Oltre alle parole naturalmente ci sono filtri ed altri mezzi per produrre
l'amore cosí che le
"persone amate, appena toccate, seguano chi
le tocca perdendo immediatamente ogni dominio di loro stesse, sia per una
simpatia inspiegabile sia per qualche altro impulso invisibile".
Qui,
a ristabilire l'equilibrio fabuloso, tre fate di cui una è nientemeno che
Morgana vengono a passare nei paraggi dell'evento, sentono un neonato
piangere, ne sono attratte ed ecco che Morgana rapisce il figlio del re,
quasi nuova versione del rapimento del bimbo Lancillotto da parte della
Dama del Lago.
Il neonato è condotto nel castello della fata Morgana che naturalmente è
fatato ed è dentro l'Etna, là dove nessun uomo può morire:
Sappiate
in vero e senza mentire
che quel castello era fatato,
e sappiate che ciò corrisponde a verità,
che nessun uomo può colà morire.
Il
fantasma dell'isola di Avalon è ormai sovrano nell'Etna, che ne assorbe
l'incanto atemporale e magico. L'Etna non è fatto per generare un mondo
fatato nordico, può solo per un momento rappresentarlo. Morgana
si fa madre adottiva, fa battezzare il bimbo col nome di Floriant, lo
cresce, lo affida a un maestro, gli fa apprendere tutto ciò che si addice
a un prode.
Morgana non ha ancora i suoi caratteri fatali di predatrice amorosa;
investe Floriant cavaliere, gli offre la spada e gli speroni, lo informa
delle sue origini nobili; indi lo rimanda nel mondo dei viventi e continua
da lontano a sorvegliarlo e proteggerlo.
Particolare curioso: gli dona una nave e gli intima di raggiungere re
Artú, che evidentemente non è ancora giunto nell'Etna.
(...)
La
sposa Florete diviene lei pure ospite con Floriant nel castello fatato e
come nelle belle favole i due vissero felici e contenti. Ma poiché
naturalmente erano in quell'aldilà che si è visto diventare l'Etna su
modello dell'isola di Avalon, non si finisce di venir bene a capo di cosa
fu per loro il trascorrere felice del tempo, non avendo noi esseri reali
nessun potere di giudizio sulle immagini dell'aldilà.
Nessuno ci ha detto che cosa si raccontano gli uni degli altri, Morgana di
Artú, Artú di Morgana, Florete di Floriant. Quando li incontri in un
romanzo o in una chanson sai solo che sono in luoghi aldilà del
tempo e che anche l'Etna è divenuto una delle frontiere dell'altro mondo,
come dire un luogo dell'aldilà che ha la leggerezza delle cose
sognate.
Queste insufficienze dell'aldilà non consentono a noi esseri reali di
descriverlo, raccontarlo; restiamo esitanti e possiamo solo riferirne
l'esistenza indistinta, in modo che ciascuno supplisca con la sua
immaginazione. Ma si tratta sempre di soluzioni di seconda mano. Come dire
che tra Floriant e Florete, tra Morgana e Artú noi siamo sempre degli
intrusi o forse addirittura degli esclusi.
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Catasto
Magico
Maria Corti
Einaudi
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