Era
spaventoso, Landoro. Aveva un corpo viscido, cangiante, e due occhi enormi, gialli come la
luna. Padrone dispotico del mare, affiorava alla superficie dell’acqua ed emetteva,
qualche volta, sibili acuti. A udirli, anche a mille chilometri di distanza, un povero
uomo diventava sordo. Non esistevano navi e barche, in quei tempi. Chi avrebbe osato
avventurarsi nel regno del terribile serpente?
Lada, una giovinetta dalle trecce bionde e dagli occhi scintillanti di sogni,
guardava il mare con nostalgia. Alla sua anima di piccola nomade non bastavano le vie
della terra. Invidiava i gabbiani che portavano sopra le onde la loro gioia randagia.
Diceva, con desiderio:
- Oh, se fossi un uccello anch’io!...
Un giorno, sulla sua schiena rosea, serica, spuntarono due ali candide. Pazza di
gioia, la piccola sognatrice si librò nell’azzurro, cantando.
Il mare, a un tratto,
si sconvolse. Apparvero, sulla superficie frenetica, gli occhi tondi lucidi e gialli del
serpente Landòro. Parve che da ogni onda si elevasse un urlo di raccapriccio. Una stella
di topazio, la prima stelluccia sbocciata in cielo per guarnire il superbo diadema del
vespero, pianse una lacrima di pena.
Lada si sentì perduta, in balia di quegli occhi perversi dove ardeva il fuoco
del male.
Ma Landòro non aveva intenzioni cattive, quel giorno. Guardò la stella pavida
e il viso niveo della fanciulla alata, poi si gettò negli abissi e scomparve.
Lada, colma di terrore, volò verso la costa. Sulla spiaggia ritrovò un poco di
calma. Però, adesso, sentiva il peso delle bianche ali inutili.
Perché, dunque, gli Dei
le avevano fatto il dono mirabile? Volar sulla terra?
La tentava soltanto il mare: il mare
che ride e che singhiozza, il mare splendido. Ripensò al serpente dagli occhi palli e
rabbrividì. Sarebbe morta, se lo avesse rivisto.
Un giovane magnifico contemplava da
lontano la piccola Lada.
Si avvicinò:
- Che hai? Mi sembri triste...
La fanciulla sorrise. L’avvenenza dello sconosciuto aveva acceso una luce
nel suo cuore. Si confidò, parlò dell’avventura terribile.
- Che potrò farmene di queste magnifiche ali, adesso che la paura
del serpente m’impedisce di librarmi a volo sulle onde?
Il giovane chinò la testa stupenda in atto di meditazione. Poi disse:
- Bisogna che il regalo degli Dei non sia, per te, causa di rimpianto ma
motivo di letizia. Ucciderò Landòro perché la tua gioia alata non abbia limiti né
ombre. Renderò sicura la via luminosa del mare.
- Chi sei? Tanto gentile e tanto coraggioso, chi sei?
- Geri sono, il figlio della Quercia tenace e del Vento indomabile.
Lada ammutolì, estatica. Il giovane
bellissimo, impugnando una fulgida spada, mosse verso il mare. Soffiava una brezza lieve.
La rena era tiepida e morbida, e sorridevano tante stelle, in alto. La ragazza si
addormentò e sognò delizie marine, bianchi voli audaci e il volto luminoso di Geri. Si
svegliò all’alba. Nel cielo di madreperla trascorrevano nubi rosse. Anche il mare
era rosso. Rossa era la sabbia, rosse le piccole mani della fanciulla alata.
Si avanzava, pallido ma sorridente, il magnifico Geri. Dalla sua spada vermiglia
stillavano gocce di sangue.
- O Lada, mia bella Lada, ho mantenuto la promessa. Il serpente è morto.
L’ho ucciso io, in tuo nome. Io: perché ti amo.
Geri sedette vicino alla fanciulla: contento del suo eroismo, contento del bel
sogno d’amore. Le onde, ai piedi dei due giovani, in quell’alba tinta di rosso,
cantavano una canzone piana. Di vittoria, forse, di liberazione, di gioia.
Un malessere inesplicabile sconvolse, a poco a poco, la letizia di Geri il
coraggioso, la letizia di Lada. Si spandevano, nell'aria, delle esalazioni mefitiche
suscitate dalla rapida decomposizione del corpo di Landòro.
I due giovani si guardavano,
sempre più sgomenti. La spiaggia si popolò di persone disperate. Incominciava, per
tutti, una tragica agonia.
I gabbiani, con le ali che avevano l’acceso riflesso del
sangue, turbinavano fra cielo e terra, inseguiti dalla Morte.
I pesci venivano ad
abbattersi esausti, boccheggianti, sulla rena. Le strida delle bestie feroci si
confondevano con gli urli terribili degli uomini.
Morte, la tetra amica di Landòro, falciò dalla terra e dal mare ogni essere
vivente. Anche Lada e il suo eroe perdettero la vita.
Per secoli e secoli la Terra,
squallida e triste, restò senza abitatori.
Poi sbocciò, in riva a un fiume, un fiore incantevole, a forma di stella.
Un
petalo di questo fiore si trasformò in uomo, un altro petalo in donna, un altro in
uccelletto...
Nacquero nuove creature. E, con loro, nel mondo, riapparvero la gioia e la
speranza, la bontà e la cattiveria, l’amore e l’odio.
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