Cola PesceColapisci: l'uomo che diventa pesce per necessità o per sceltaI ricordi di Colapesce: Fatti e leggende di mare


I pesci scrigni

Paolaccio era un uomo di quelli che imprecano continuamente. Cattivo, ozioso, maligno. Non trovava pace in nessun posto. Non aveva parenti ne amici, non una catapecchia nella quale rifugiarsi. Un disgraziato, a dirla giusta. Ma un disgraziato che si meritava la sua sciagura. Quando un uomo ha salute e forza, e può lavorare, deve lavorare: un pezzo di pane, un po’ di fuoco e qualche straccio da mettersi addosso se li procura sempre.
Ma il nostro uomo aveva, come dicevano i suoi compaesani che lo sfuggivano e lo disprezzavano, la schiena d’acciaio. La fatica lo terrorizzava. Pareva uno sterpo a vederlo: magro, vizzo, pungente. Aveva due occhi diabolici dove ardeva, perenne, un fuoco sinistro.
Una notte, mentre dormiva vicino a una siepe, nella luce blanda delle stelle, un uomo gli si avvicinò, lo scosse chiamandolo per nome. Il vagabondo si svegliò, guardò l’ignoto. Distinse, al lume degli astri, un volto bianco su cui raggiavano due terribili occhi di fiamma.
Maravigliatissimo, mezzo insonnolito, si mise a sedere.
- Chi sei?

- Io sono... Te lo dirò. Stiamo per diventare amici. Si potrebbe fare un contratto vantaggioso. Ti piacerebbe possedere un’enorme strabocchevole ricchezza?


Che domande sciocche! Non aveva il cervello a posto lo sconosciuto?
- Se mi piacerebbe?... Non domanderei di meglio. Sei venuto a svegliarmi per chiedermi delle cose strampalate? Io non tollero che mi si insulti col sarcasmo. Sono povero, ma ho il mio orgogliaccio, caspita...

Non vi dico le imprecazioni.
Ci sarebbe da perdere la dignità per sempre, ripetendole. Il misterioso individuo non s'impressionò. Sedette a fianco del vagabondo e continuò, con molta calma, il discorso.
- Non ho l’abitudine di mentire, amico. A modo mio, sono un galantuomo. Ho le migliori intenzioni a tuo riguardo. Avrai ricchezze, ma è necessario che tu mi faccia un piccolo regalo. Poca cosa...

- Non ho nulla. Che potrei darti?


- La tua anima. È inutile che te lo nasconda: io sono Belzebù, il re delle tenebre.

Un brivido gelido passò nelle membra di Paolaccio. Attimi. Disse subito, guardando il Demonio coi suoi occhi di perdizione:
- Ti regalo l’anima. Donami la ricchezza.

- Abbi pazienza. Le cose bisogna farle regolarmente, per bene.

Fu steso il contratto infernale al lume delle stelle. Subito, sulla palma della mano destra di Paolaccio, apparve una macchia sulfurea. Poi, Belzebù offerse una rete.
- Ecco: vai sugli scogli a pescare. Tirerai su molti pesci bianchi e rosa. Ogni naufragio getta, nelle profondità marine, ricchezze enormi. I pesci di cui parlo inghiottiscono le gemme più splendide, le monete più preziose che trovano nei bastimenti sommersi. Questi tesori restano nel loro stomaco fino a che uno dei miei protetti non se ne impadronisca. Ogni volta che immergi nell’acqua la rete dovrai dire: Fortuna, vieni su te l’ordino nel nome del grande Belzebù.

Paolaccio, ormai, era convinto. L’anima... Roba da ridere. Si può dare importanza a una cosa fatta di nulla? Il bel tomo salutò il diavolo quasi con cordialità, e si diresse verso gli scogli.

Le stelle, in alto, tremavano come fiammelle investite dal vento. Il vagabondo seguì con scrupolo i suggerimenti dell’infernale amico. Subito ebbe la rete colma di pesci bianco-rosei, luminosissimi.
Ne prese uno in mano: pesava come se fosse stato di piombo. Paolaccio trasse dalla tasca rappezzata un vecchio coltello a serramanico e si diede a sventrare, con impazienza, i pesci belli e saettanti. Vennero alla luce gemme sfavillanti: brillavano come astri nella notte d’oro. La pesca eccezionale durò fino all’alba.
Paolaccio gongolava:
- Sono ricco, sono ricco...

Ricchissimo, era. Un creso.
Incominciò, per lui, una vita di cuccagna. Ebbe la possibilità, di soddisfare i desideri più folli. Comprò un palazzo magnifico, si circondò di servi.
Vestiva come un principe. Dava, nelle superbe sale della sua casa, feste splendide, eccezionali. Nessuno si ricordava più dello straccione astioso e insolente ch’egli era stato. I personaggi più insigni gli dimostravano amicizia, lo cercavano, lo adulavano.
Paolaccio finì per credersi un uomo di grandi meriti, un benefattore dell’umanità.

Una volta, mentre si svolgeva, nel palazzo del milionario, uno dei soliti. banchetti, apparve un individuo singolarissimo. Magro, vestito di nero, con occhi di fuoco, si avvicinò, con passo leggiero, al padrone di casa e disse, col sorriso più amabile:
- Il nostro contratto scade oggi, amico...

Paolaccio riconobbe, con terrore, Belzebù.
- Lasciami – implorò battendo i denti. – Lasciami...

- Impossibile. I patti sono patti. Di gioia, con la ricchezza, te ne ho procurata molta. Devi pagarmi, adesso. Voglio la tua anima.

 

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