Cola PesceColapisci: l'uomo che diventa pesce per necessità o per sceltaI ricordi di Colapesce: Fatti e leggende di mare


La sirena e lo sparviero

 

 

Il pescatore di San Michele, Erven Abgrall, aveva sei figli e una miseria nera.
Quando arrivò il settimo figlio, in quella casa ci fu la disperazione. Il pesce che egli riusciva a racimolare con le reti non bastava a sfamare tutti, e c’erano sempre da fare i conti col vento, con le tempeste, col gelo! Sua moglie, a furia di stenti, da gioviale e allegra che era un tempo, s’era fatta una vipera e, ogni volta che egli tornava con le reti quasi vuote, lo accoglieva con un torrente di rimproveri.

Immaginate quindi il suo stupore e la sua allegrezza, quando un giorno tirò su una rete cosi pesante che temeva si rompesse.
Chissà che formidabile pesce v’era incappato! Invece si trattava di una sirena: grazioso visetto, lunghi capelli biondi, larghi occhi sbarrati, belle braccia, mani palmate.
Il resto del corpo era coperto di scaglie dorate e terminava in una coda di pesce.
- Ti supplico, pescatore
, – disse quella - liberami dalle maglie della tua rete. Non avrai ’a pentirtene!

- E che mi darai in cambio?

- Ti farò prendere quanto pesce vorrai. Prova a gettare le reti in mare.

Infatti le reti vennero su traboccanti pesce, come se in quel punto si fossero miracolosamente adunate colonie di branzini, di triglie, di naselli.
- E poi – aggiunse con un bel sorriso la sirena – io ti farò un regalo assai più bello: una moneta d’oro che poserai sulla pietra del focolare e che da domani, al levar del sole, farà cadere dal camino quante monete d’oro vorrai. Tu in cambio devi portarmi qui il tuo settimo figlio da baciare.

- Non gli getterai addosso per caso la mala sorte?

- E che ragione ne avrei? Voglio solo baciarlo.

Il pescatore liberò la sirena, e via a casa con le reti gonfie di bel pesce guizzante.
- Che bella accoglienza mi farà mia moglie, oggi!
– pensava.

Infatti la donna non finiva più di abbracciarlo e i figli gettavano piccole grida di gioia. Il giorno dopo però, senza dir nulla a nessuno, il pescatore si prese il figlio appena nato fra le braccia e lo portò alla sirena, che lo aspettava distesa sulla riva.
- Dammi la moneta miracolosa. Ecco mio figlio.

Con la destra prese la moneta, mentre stringeva forte fra le braccia il piccolino. Inutilmente la sirena cercò con un guizzo della coda e con tutte le sue forze di strapparglielo via. Il furbo pescatore riuscì a fuggire con la moneta e col bambino sano e salvo.

La sirena, furiosa perché non poteva seguirlo sulla terra ferma, gli gridò dietro:
- Vai! vai pure! Corri quanto puoi! Prima o dopo il tuo bambino mi apparterrà!

E si tuffò in mare cosi impetuosamente, che alte onde spumose invasero per un buon tratto la riva.

Passarono gli anni; e la moneta sulla pietra del focolare generò infinite altre monete d’oro. Intanto il settimo figlio di Erven Abgrall, che era il più bello e il più intelligente di tutti, cresceva sempre più florido nella casa del pescatore, divenuta ora una casa ricca, ove non c’era mendicante che non trovasse da sfamarsi, né bisognoso che non ricevesse aiuto e conforto. Ma quando il settimo figlio, che si chiamava Franco, ebbe diciotto anni, desiderò di girare il mondo: possedeva doti eccezionali e uno spirito avventuroso, e lo stretto orizzonte del suo paese lo soffocava. Preso con sé un servitore e abbracciati sua madre e suo padre, egli dunque partì.

Sul limitare della soglia, il padre gli fece un’ultima raccomandazione:
- Te ne scongiuro, figliolo mio, vai dove vuoi, purché tu ti tenga lontano dal mare.

- E perché dunque? Hai paura forse ch’io anneghi?

- Non è questo. Sul mare io so che ti metti in pericolo. Promettimi che ne starai distante! Fallo per me, fallo per tua madre. Mi ti raccomando.

Il giovane promise e se ne andò.
In una landa scorse, intorno al cadavere di un cavallo, un lupo, uno sparviero e un calabrone, che stavano litigando per disputarsi le spoglie dell’animale morto. E inferociti si gettavano l’uno addosso all’altro, mentre il calabrone punzecchiava lo sparviero e il lupo senza pietà.

- Mie povere bestie, – disse Franco avvicinandosi – piuttosto che dilaniarvi a vicenda, volete ch’io vi metta d’accordo?

- Ebbene prova – disse lo sparviero.

- Ascoltatemi. La carne del cavallo sarà per il lupo, gli intestini per lo sparviero e il sangue finalmente toccherà al calabrone. Siete soddisfatti cosi?

- Si – disse ancora per tutti lo sparviero.

- Anzi, per darti una prova della nostra riconoscenza, ti faremo un dono ciascuno. Siete d’accordo, amici?

- Certamente.

- Per conto mio – riprese lo sparviero – io ti concedo che tu possa cambiarti a volontà in sparviero.

- E io che tu possa cambiarti in lupo – aggiunse il lupo.

- In quanto a me, in qualunque circostanza tu abbia bisogno del mio aiuto, chiamami, e io accorrerò – disse il calabrone.

- Grazie, buone bestie. Arrivederci!

E Franco riprese la sua strada. Il sole si drappeggiava, per coricarsi, in un lussuoso mantello di porpora, quando egli giunse davanti ad alte mura in cui era praticata una porta. Vi picchiò con le nocche, ed essa. si apri. Il giovane entrò nella corte, nelle scuderie, nel castello. Nessuno.
Nella sala principale, davanti a un fuoco magnifico, si arrostiva un montone. Una tavola apparecchiata invitava a sedersi. Affamato e assetato, il giovane mangiò e bevve fin che n’ebbe voglia. Poi una mano invisibile prese il candelabro che era sulla tavola e lo scortò di sopra. Qui una ricca stanza lo attendeva, e, nel soffice letto, Franco prese subito sonno. Era tanto stanco di camminare. Ma che risveglio orribile il giorno dopo!

Davanti al suo capezzale tre vecchie megere stavano a guardarlo. Piccole, rugose, gialle, dal naso adunco, dal mento a ciabatta, dai denti lunghi e scuri: una più brutta e più cadente dell’altra
- Hai ben mangiato e ben dormito?
– chiesero. – E adesso paga dunque.

Il giovane stava per aprire la borsa piena di monete d’oro.
- Oh! Non si tratta di questo
– disse una. – Siamo più ricche di te, noi! Si tratta di dire quale tra noi tre sia la più bella e la più giovane. Ora noi ci metteremo in una stanza scura: se indovini, sei salvo; se sbagli, perdi la vita.

Dio mio! Come fare fra quelle tre megere a capire quale fosse la meno vecchia e la meno orrenda? Mentalmente Franco chiamò in aiuto il calabrone, il solo che potesse entrare nella buia stanza chiusa. E il calabrone, ronzando, venne e gli disse in un orecchio:
- Io so ciò che mi chiedi. Stai attento. Tu indicherai come la più bella la vecchia intorno alla quale mi vedrai ronzare.

Nell’oscurità il giovane tese le mani e, quando udì che, toccando una delle megere, il calabrone ronzava, disse:
- Ecco la più giovane e la più bella

La stanza si illuminò di luce sfolgorante e tre graziose fresche principesse apparvero dinanzi agli occhi stupiti di Franco.
- Grazie, bel cavaliere,
disse una di loro di averci liberato dall’incanto in cui ci aveva gettato un mago crudele per vendicarsi, su di noi di nostro padre. In compenso vieni nel nostro regno e sposa quella di noi che preferisci.

Ma il giovane voleva continuare il suo viaggio e, ringraziando a sua volta le graziose principessine, si inchinò e proseguì per la sua strada, tutto soddisfatto di aver potuto far loro del bene.

Camminò per tante città e visitò innumerevoli paesi, finché giunse a Parigi e prese alloggio nel miglior albergo, che dava proprio nella piazza dove si ergeva il palazzo reale. Scorgere la principessa che stava affacciata e innamorarsene fu tutt’uno. Ma come fare a salire fino a lei? Non c’era che trasformarsi in sparviero! E Franco in un attimo, presa la forma del possente uccello, si posò sul davanzale e sfiorò con le ali le guance di lei. La principessa lo accarezzò, per nulla impaurita, poi, prendendolo fra le braccia, lo portò in casa e gli fece costruire una splendida gabbia d’oro.

Naturalmente Franco non rimase molto nella forma di sparviero. Quando la principessa fu sola, riprese il suo vero essere e le rivelò il suo amore. La fanciulla ne fu tanto commossa, che andò dal Re suo padre e gli disse:
- Padre mio, se vuoi ch’io sia felice, lasciami sposare il giovane che può mutarsi in sparviero.

Il Re rifiutò dapprima: gli doleva unire la sua unica splendida figliuola a un avventuriero sconosciuto; ma, poiché vide che la faccenda si faceva seria e la principessa deperiva a vista d’occhio, diede il suo consenso e, se pure non sontuose, le nozze non di meno furono liete.
Figuratevi la rabbia che ne ebbe il figlio del Re di Polonia, che da tempo era invaghito della principessa e avrebbe voluto sposarla lui! Nascondendo il suo profondo rancore, pensò di diventare amico di Franco e un giorno in cui, loro due soli, vagavano per mare in un panfilo. Il Cattivo principe di Polonia diede a tradimento uno spintone a Franco e lo mandò a finire in mezzo alle onde.

Vi ricordate, ragazzi, di quella sirena che voleva impadronirsi di Franco quando era ancora un neonato? Essa da allora stava sempre in agguato nel mare per acciuffarlo e, appena il povero giovane toccò le onde, lo ghermì e se lo portò nel suo buio regno sott’acqua.

Due anni passarono in quella prigionia. E Franco moriva di dolore e di disperazione.
- Lasciami almeno per un attimo – implorava – lasciami rivedere la dolce luce del sole! Come posso sfuggirti? Mi basta che tu mi porti un momento solo sulla superficie delle acque!

La sirena acconsentì, perché temeva che il giovane morisse da un giorno all’altro; ma Franco, appena al disopra delle onde, desiderò di essere uno sparviero e, via, a grandi colpi di ala, fuggì alto verso il cielo.
Furente, la sirena alzò enormi spumeggianti ondate, ma ci voleva altro per fermare il volo di uno sparviero!

Giunto nella città della sua principessa, Franco riprese forma umana. C’era aria di festa in città. Perché gli dissero che la principessa, da due anni vedova di un avventuriero, si sposava col principe di Polonia. Allora Franco si vestì con le più lussuose vesti, montò su una carrozza dorata e si fece annunziare alla reggia come un principe di passaggio.
- Voglio parlare subito con la principessa – disse. – Ho cose urgenti da dirle.

Vedendolo così riccamente vestito, lo fecero passare, e quando la fanciulla gli andò incontro, subito lo riconobbe e, piangendo, lo abbracciò. Poi entrò nel salone dove erano riuniti gli invitati e annunciò che non avrebbe più sposato il principe di Polonia, perché aveva ritrovato il suo vero marito.
Oh, il turbamento e lo stupore che questa rivelazione gettò in tutti i presenti!

- Principe di Polonia, – disse a sua volta Franco – vi ricordate quando mi avete gettato in mare due anni fa? Non sono annegato, ma sono rimasto prigioniero di una sirena, ed ora, liberatomi, sono venuto a riprendere il posto che volevate usurparmi.

Nello stesso istante egli si trasformò in un grosso lupo e si lanciò sul principe malvagio: e lo avrebbe certo sbranato, se questi non fosse morto prima di paura.
Ripresa, fra la stupefatta ammirazione dei presenti, le sue vere sembianze, Franco si sedette al posto d’onore alla destra della principessa e le feste si protrassero liete per non so quanti giorni!

Il settimo figlio del pescatore di San Michele aveva finalmente compiuto con fortuna il suo viaggio avventuroso.

   

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