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Aci e Galatea
I poeti credono ancora che nel mare siciliano,
perché è generalmente fulgido e sereno, viva Galatea la quale, nei tempi in cui il tempo
non era tempo come narrano i vecchi in campagna vale a dire tanti e tanti
anni addietro da non poterli contare, col padre Nereo, la madre Doris e quarantanove
sorelle abitava nelle profondità, marine, tra lEgeo e lJonio, con questo
compito: confortare i naviganti e agevolarne i viaggi rendendo il mare splendente come
gemma e placido come il candido latte.
Uno dei
ciclopi che aiutavano colà Vulcano nellofficina a fabbricare i fulmini di Giove,
Polifemo, fìglio del potente Poseidone, scendendo un giorno con le sue bianche agnelle
verso il mare, la vide e se ne invaghì pazzamente. Galatea lo sfuggiva quanto più egli mostrava di cercarla ingegnandosi perfino a farsi caro e grazioso mediante un'insolita cura della barba che aveva tenuta prima sempre ispida e intricata come un roveto, e dei capelli che non aveva mai ravviato. Lo vedeva, anzi, con orrore e non provava, neppure un tantino di commozione a udire i patetici canti che egli modulava per lei sulla sua prodigiosa zampogna dalle cento canne, invidia di tutti i ciclopi.
Solo una volta Galatea ebbe per lui nel cuore di pietra un palpito che vi lasciò
un ricordo per cui mai più, d'allora, si divertì a deriderne l'amore e i goffi sospiri:
una volta che lo vide lottare col mostro della montagna. Le parve perfino bello,
quand'ebbe abbattuto il bestione; bello come Ercole. E, lo ascoltò volentieri allorché
egli le disse d'aver vinto per lei, per il gran flotto di vigore nuovo che gli si
sprigionò dal cuore al pensiero di non doverla più rivedere, mentre il mostro lo
schiacciava sotto la sua zampa di ferro.
Perché non veniva? Tutte le sue agnelle bianche egli le avrebbe donate e
caprettini innumerevoli con la stella sulla fronte.. Non pareva più lui, povero Polifemo,
mentre teneva quel discorso che Galatea non ascoltava più. Il cuore di lei s'era rifatto
duro che non sembrava della stessa pasta di quel suo morbido petto splendente, dal colore
del latte.
Da quando lo udì la prima volta era sempre venuta ad attendere che egli passasse
dietro al suo gregge, e nessuna festa le era parsa più bella della gioia che provava
vedendolo. Mai, tuttavia, ella seppe parlargli prima che egli di lei s'accorgesse. E ciò
accadde allorchè un'agnella indugiando sul greto, ghermita da un'onda cadde nel mare e fu
per morire, portata dalla corrente. Se Aci si fosse tuffato per salvarla, tutto il branco
seguendolo avrebbe corso lo stesso pericolo: egli guardava angosciato ora il mare ora il
branco ed ella che allora soltanto si accorse del povero vello confuso tra le spume,
emerse e raggiunse l'agnella per raccoglierla tra le braccia e portarla ancor viva al
padrone.
Galatea era dunque
di Aci e a Polifemo ella lo disse perchè egli desistesse dal proporle di farla sua sposa.
Se lo aveva ammirato nel vederlo strenuamente lottare, e del rischio di lui aveva tremato,
solo di rispetto si era riempito il suo cuore per lui che aveva affrontato il mostro
crudele di cui tutta tremava la gente della montagna.
Un giorno,
però, che mentre così gemeva sul clivo selvoso a specchio del mare, vide Galatea
emergere tra le spume dell'onda, tutta rorida e lucente, sorridendo ad Aci che le tendeva
le braccia a pie' del monte, Polifemo non resse allo schianto del cuore che parve
scrollarsi avvampato e, staccata una rupe, con mira infallibile e tremenda la scaraventò
contro Aci, che, sorpreso, venne schiacciato miseramente.
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