Viva
macchia di colore
E’
notte.
La temperatura del mare è vicina a quella corporea.
Frotte
di calamari vanno a dormire sotto i margini degli scogli, disseminati poco
lontano, al riparo dalle visceri infuocate sulle quali poggia il destino della
tua terra.
Il colore della mia pelle trasparente muta, passando da un verde azzurro a un
verde giallo, screziato da strisce delicate, è come se avessi indossato il
brioso respiro dell’arcobaleno.
Mi
allontano con una spinta dal bordo del mio giaciglio e guardo in alto.
Attraverso la superficie calma dell’acqua vedo il disco bianco della luna.
E’ notte, e questo è sempre il mio paradiso.
Ma per quanto tempo ancora?
Ricordo
di essere stata costretta spesso a ricavare una nicchia nella selva di aculei
avvelenati dei ricci, per ripararmi dai predatori e di aver brucato in pascoli
di cellule morte e detriti.
Mentre
nuoto al largo vedo la mia ombra proiettata su una roccia ricoperta di alghe
piantata sul fondo: sembra una foglia morta che ondeggia assecondando la
corrente, ma quando un raggio lunare la illumina, svanisce come se non fosse mai
esistita.
Un
guizzo verso l’alto e assisto al passaggio dei polpi alati, come una bambina
guarda volare i piccioni nella piazza di una città.
Nuoto abbandonata al fruscio delle timide onde, mi lascio andare e mi sdraio
sulla scura sabbia. Un gambero avanza sul raggio di una stella marina, staccando
dal suo corpo pezzetti di alga e parassiti. Lì vicino una conchiglia tiene in
ordine la sua casa togliendo un piccolo granello di roccia dal cunicolo. Un
anemone, grande come un ombrello, è disteso sul fondo come un tappeto, sa che i
suoi tentacoli, richiusi su se stessi, anche questa notte daranno rifugio a
qualcuno.
Sono
affascinata dai semplici movimenti di queste creature, sempre precisi e mai
scontati, dalla loro dedizione a una vita regolata, costellata di certezze
immediate, dal loro assoluto, racchiuso in poche manciate di sabbia.
Come vorrei sciogliermi in questo piccolissimo spazio di mare...
Riprendo
a nuotare.
Mi imbatto in una colonia di spugne che mi sfiorano il volto.
Sulla
superficie rugosa della più grossa, intravedo un granchio rosa ricoperto di
peli bianchi, grande come un bottone. Corre avanti e indietro sul suo paesaggio
lunare in miniatura, infinito quanto il mio universo.
Sorpresa da una corrente discendente, vengo trascinata verso il fondo lungo il
buio pendio.
Sono priva di forze e scivolo sulla sabbia.
Poi la corrente si attenua, risalendo, vicino all’ombra di una vecchia murena,
incontro il tuo sguardo, una viva macchia di colore nel mare scuro dei miei
sentimenti spenti.
Medusa
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