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Mi piace mordere polline di zagara e granita di mandorle; è arte divinatoria, intrigo di mistici retaggi e sensualità isolana. Mi piace mordere aliti di grecale e spicchi di arance; è calore di voci antiche che passeggiano nell’anima, vuoti che si riempiono e cantilene che risanano. Mi piace ingoiare avida pezzi di cielo di giugno traboccante di fili di nuvole ballerine; è fiume di respiro estivo che stuzzica il buio degli angoli del cuore. Per questo tramortisco i miei gesti con l’infantile passo che regalo al mio cammino avvilito dall’oggi e scarto il contatto con gli altri, rinuncio al dire, rinnego la relatività delle parole, mi infatuo del sogno. Per questo scateno il tuono e il fulmine della poesia, che non è libro o verso, non è dottrina, non è incidenza. E’ solco di terra, strazio di consapevolezza, deserto di luce, lama d’amore. E’ salvifica tenaglia che si aggrappa alla dolcezza e alla litania di un canto, che incide i passi di musica e a valanghe si dondola nei pensieri del mistero e dell’inquieto…
Daniela
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