www.colapisci.itL'uomo che diventa pesce per necessità o per scelta


Venti di scirocco

Sciroccata ad Itala Marina

Nella mia mente, avanza soffiando e si agita lo stesso violento scirocco a levante che stramazza sullo Jonio con le tempeste di novembre.
E' come se, in questo piccolo infinito di dolore, cominciassero a scatenarsi, annunciati dalla fuga dei gabbiani verso il porto, i tormenti dell'esistenza tutta vestiti dal vento caldo-umido del deserto, che giunge a folate tra le tegole dei tetti, le terrazze e gli alberi affannati.

Percepisco, ora nel sangue, il respiro lungo e profondo del mare, che si infrange sul litorale con grandi onde, mentre l'acqua, rotta dai ciottoli e dispersa in miliardi di minuscole gocce di sale, si diffonde nell'aria, s'inerpica per le strade e avvolge le colline, fino a depositarsi sugli aranci e sulle vigne basse e spoglie.
Da questa colonna a cui sono avvinghiato, vedo le alghe brune e le rare laminarie fluttuare rapite dal flusso del mare e  le finestre del cuore gonfiarsi, aprirsi e chiudersi in nervosi spasmi.

Ritrovo, nei pensieri, le chiome delle palme e i cipressi intensi lungo i cimiteri che vengono scossi nelle profondità delle radici e sento i muri delle case che si lamentano e l'aria che sibila, incupita dai veloci nembi neri carichi d'acqua africana.
E il mare che mi riempie si tinge di verde malachite e le prime violente scariche elettriche sprofondano abbaglianti nei timori.

Avverto la pioggia arrivare improvvisa.
Subito, porta al naso l'odore forte di una terra antica. Terra misteriosa e avvilita, che s'appresta ad affrontare un'altra dura sfida della natura. 
I tuoni, con urla possenti, spezzano il cielo che mi attraversa e, in un diluvio, si perdono rotolando negli echi delle valli, sù fino a Monte Scuderi e Dinnamare, per poi tornare rimbalzati al mare, sordi e perduti nel grido delle nuvole, verso Reggio e l'Aspromonte. 
L'acqua, caduta sui colli, si raccoglie rapida in tumultuose arterie di sassi, che, sfociate nel mio stretto, cangiano il verde in giallo, mentre  il blu viene rapito da onde  furiose e coperto dal fango.

Negli occhi, il vento incalza.
Ribalta le barche che i pescatori non hanno fatto in tempo a portare sulle strade, vicino casa, come se fossero figli da salvare, e strappa violento le ultime foglie ai gelsi rossi e ai tigli lungo i viali.  E il mare diventa furore e litania e, in un'opera purificatrice, spazza la spiaggia, fino a lambire l'uscio delle case, e restituisce all'uomo, lungo la battigia,  gli attrezzi della pesca smarriti, i mille piccoli segnali materiali della sua esistenza banale e, soprattutto, i sogni persi, quelli caduti dalla luna e quelli naufragati.
Lungo la costa, la salsedine si addensa in una sottile nebbiolina che riempie, con l'odore degli anfiossi, i vicoli, le piazze, gli angoli nascosti dei paesi dei pescatori.
Entra nelle case e nelle chiese aperte, dove vecchie madri restano a pregare.

Nei ricordi che mi porto, ascolto la gente calmare, in un afflato comune,  le passioni e ammutolire. Gente che guarda intimorita attraverso i vetri, verso il mare.
Aspetta che fulmini, tuoni e lamenti cessino di ansimare.
Ma, sanno che c'é ancora da aspettare...

Alla fine..
Alla fine, nel ventre, resta il mare a forza nove..
Il suo canto è ritmato da un respiro che si arrota in grandi cavalloni e poi si avvolge  come lisci capelli pettinati e si proietta, rompendosi verso terra con fragore, in una lunghissima spuma bianca distesa sulla sabbia nera. 

Piano piano, rivivo un canto velato, fascinoso e figlio di sirene, che si strugge nell'anima e che travolge in abissi esistenziali, che strazia gli occhi e ammalia il cuore, mentre la gente esce di casa, non importa se sera o notte o giorno o festa, e scende in preda ad un ancestrale richiamo verso il mare.
E resta ferma, lì sul limite dell'onda, a guardare questo gigante offeso che lento, ...lento e lungo, giunge a riva ed esplode.
Stanno tutti zitti. Regna il rumore dell'acqua che s'alza e cade. 

Lungo, lugubre respiro che attanaglia tutti.
Anelito morente che entra nelle ossa.
Ribellione che lotta sapendo di sfinirsi.
E tutti lì.
Bambini infreddoliti, donne mature  in scialli neri, pescatori con le mani in tasca che scrutano i segni di speranza per l'indomani.

Intanto lo sfinimento del mare è lento.
Lento..
Per giorni canta il suo dolore ad una umanità più vera, che offre fraterne attese e consolazione.  

E, poi, resto io con me stesso. Turbato. Follemente geloso del tuo passato. E resti tu, violentata dalla mia ansia d'essere amato. E restano i tuoi occhi, i baci, il coraggio, il tuo tempo per gli altri che non mi appartiene, l'amore per quest'uomo col mare dentro, con le vele latine dei pensieri al vento, con i sogni ancora da sognare, con i sorrisi nascosti, con la sofferenza eterna..
E resta questo bambino che ami, affranta Medea,  che alza gli occhi verso la luna e le stelle e che ti guarda e ti rapisce per portarti in terre assolate e solitarie.

E resta il mio amore per te.
Diverso.
Unico. Atteso. Trovato.
Fuso nell'anima di corpi amanti.

 

Cola

Leggende siciliane

   

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