Se considero il mio tempo, allora immagino una recisione di futuro,
una smorfia che allude alla scadenza.
È un tempo di cellule che non
possono aspettare, un corpo che inciampa sulla soglia
dell'incognito.
Se considero il mio incedere, innesco il conto alla rovescia e sfido
un'immagine capovolta che sputa sulla mia presunzione di immortale
κόρη.
Ma, se oltrepasso il segno del visibile e
divento inaccessibile al ritmo dell'imminenza, allora trovo
l'alchemica risoluzione. Riesco a sfidare le umane certezze e faccio
giravolte di pensieri che si incrociano col volo delle parole degli
uccelli.
Vibro di fantasia e ho potenza di immortale libertà.
Accolgo la freccia avvelenata del dolore seguendo il sentiero sulla
rupe sacerdotale di un luogo magico, sacrifico un pezzo di corpo e
poi mi allineo col cielo e sconfino lo spazio, escludendo
l'attaccamento al passo cronologico.
E come un incanto, rinasco stupita dall'odore delle foglie e del
mare.