Sbocciavano
fiori vermigli
Parve a me, dopo l’addio,
che a fiotti mi sgorgasse
il mare dalle vene
come da lama recise.
Mi bagnava,
era acqua placentare
di nascita novella
o fluita da costato
a suggello di morte.
Era mare o sangue
il liquido che m’inzuppava il petto
le mani, l’orlo della veste.
Fiori vermigli sbocciavano
sul mio corpo di terra,
di sabbia, di cielo
e tu, quel velo che a sindone
m’avvolgeva e quale sortilegio
inspiegabile, divenivi me stessa.
Qualcosa di strano accadeva,
forse un germe di pazzia,
o la soglia di una geenna sconosciuta
si spalancava per accogliere le mie spoglie
giacché non avrei più vissuto
pienamente
senza le perle delle tue parole.
Schegge di vetro sui muretti della sera
divenne il sogno adamantino
che rischiarò di fiaccole la notte
quando invidiavo la leggerezza delle nuvole
il fulgore freddo della luna.
Quando scrutavo le linee del mare,
per sapere se quel giorno
avrei vendemmiato grappoli d’amore
per estinguere il desiderio di te
che mi asseta e dissangua.
Annysea
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