L'AMBIENTE SOMMERSO DELLO STRETTO DI MESSINA

 


 

Descrivere in poche righe un ambiente sommerso così incredibilmente vario e straordinario come quello dello Stretto di Messina è un'impresa, a dir poco, impegnativa. Proverò in ogni caso ad illustrarvi, nel miglior modo possibile, le caratteristiche tipiche che sono alla base della vita rigogliosa che prolifera in questo turbolento braccio di mare.
Ed è proprio la turbolenza una delle maggiori fonti di energia di queste acque: impetuosi flussi di corrente, diretta alternativamente da sud a nord e viceversa (la montante e la scendente), trasportano una quantità sproporzionatamente grande di piccolissimi animaletti allo stadio larvale (plancton), una microfauna che costituisce la base della catena alimentare, il nutrimento per moltissime specie viventi nel mare.
Questo massiccio apporto di nutrienti consente ai pesci e agli invertebrati dello Stretto di "mangiar bene e sentirsi in forma" e, di conseguenza, di riprodursi e sopravvivere in modo egregio.
Le forti correnti, inoltre, ripuliscono continuamente queste acque da eventuali fattori inquinanti, anche se nulla possono di fronte alla pressione devastante esercitata dall'uomo con sistemi di inquinamento eccessivi o tipologie di pesca per nulla in equilibrio con il delicato ecosistema di questo ricco mare.
Ma non è questo lo spazio per discutere sui reali problemi di salute del nostro mare, che è in ogni caso tra i più puliti d'Italia, mentre preferirei far conoscere, per sommi capi, quanta ricchezza è nascosta sotto la superficie di quel mare che vediamo ogni giorno dalla finestra, una ricchezza che solo pochi hanno avuto il piacere di osservare.
Per spiegarmi meglio sono costretto ad aprire una parentesi sul mio approccio con il mare dello Stretto.
Verso la seconda metà degli anni ottanta, dopo circa dieci anni passati a contatto col mare come pescatore subacqueo apneista, iniziavo ad immergermi con le bombole. Abbandonata completamente la pesca, mi dedicavo alla ripresa fotografica di quegli animali del mare che, in parte, conoscevo dalle mie sommozzate in apnea.
Presto scoprii l'incredibile fascino di quest'attività che, al tempo stesso, mi dava la possibilità di esprimere la mia vena artistica e di documentare e studiare la vita nel mare. Ma non immaginavo quanto immensa potesse essere la fortuna di poter operare in un mare come quello dello Stretto. Solo dopo alcuni viaggi, alla scoperta di altri paradisi sommersi, incominciavo a capire quanto ricco fosse il mare di casa mia.

Inizialmente uscivo dall'acqua, sotto gli occhi sbigottiti dei pescatori di superficie, poggiando la mia attrezzatura fotografica sul moletto del "Cippo", sul lungomare di Reggio Calabria, anche a tarda notte; mi si chiedeva sempre: "Cosa hai pescato?". Oppure , riferendosi all'attrezzatura fotosub: "Che fucile è questo?".
Cosa avrei dovuto rispondere loro? Col tempo mi abituai alla cosa ed iniziai a spiegare, nei limiti del possibile, ciò che stavo facendo ma, soprattutto, cosa nascondeva quello che per loro era un mare come tanti altri.
Ma solo agli inizi degli anni novanta, con l'arrivo dei primi "turisti subacquei", le cose cominciarono a cambiare. Sono passati quasi otto anni da quando i primi subacquei italiani hanno iniziato ad apprezzare il nostro Mediterraneo; e ancora oggi, ciò nonostante, una gran percentuale di subacquei locali, con le bombole e in apnea, pesca senza il minimo rispetto di quest'incredibile ambiente sommerso.

Ma cosa c'è di tanto speciale nel mare di casa nostra?
Tanti bei pesci, sicuramente, ma anche tantissimi invertebrati, alghe e piante marine, il tutto incredibilmente concentrato ed eccezionalmente supernutrito.
Come accennavo inizialmente, le correnti portano cibo abbondante e i nostri animali marini hanno la fortuna di godere di ottima salute.
Tra gli invertebrati, ad esempio, è doveroso sottolineare l'abbondanza di celenterati (attinie, madrepore e coralli, per intenderci), con forme talmente vistose e spettacolari da colorare il fondale al punto da non temere alcun confronto con un variopinto ambiente tropicale.
E' il caso della foresta di gorgonie gialle e rosse (Paramuricea clavata) dei fondali di Scilla, ineguagliabile in tutto il Mediterraneo, gorgonie che creano, aderendo alle rocce del fondo, un vero e proprio bosco, un ambiente adatto ad ospitare molteplici specie di altri celenterati, echinodermi, crostacei, tunicati, poriferi e, non ultimi, i pesci.
Il rarissimo echinoderma Astrospartus mediterraneus è presente, sulle gorgonie di Scilla, a profondità comprese tra -35 e - 55 m; si tratta di un particolarissimo tipo di ofiura (una specie di stella) che vive attaccata a un ramo di gorgonia in posizione pressoché stabile. Le sua braccia sono lunghe e sottili, provviste di numerosissime appendici; di giorno l'animale è rannicchiato su se stesso, mentre di notte srotola le lunghe braccia per la cattura del plancton.
E che dire degli splendidi bouquet di fiori bianchi che adornano alcune gorgonie? In realtà si tratta di tunicati o ascidie (Clavelina lepadiformis), animali primitivi che vivono filtrando l'acqua. Le loro colonie, costituite da una molteplicità di individui, arricchiscono l'ambiente con un'ulteriore nota di colore.
Sparpagliati qua e là, grossi celenterati, somiglianti a una fontana, si alzano dal fondale nel quale vivono infissi; sono i Cerianti, invertebrati nascosti all'interno di un tubo semisepolto nel sedimento di cui è visibile solo la parte apicale e la corona di carnosi e colorati tentacoli. Sono animali di notevoli dimensioni, per essere dei celenterati, anche la mole raggiunta in queste acque costituisce un'eccezione: gli esemplari che vivono sui fondali della zona nord dello Stretto sono probabilmente secolari; il Cerianto può, infatti, vivere quanto e più di un essere umano. E nel nostro mare questa possibilità non è remota, viste le condizioni ideali per la loro vita.
E i signori del mare, i pesci, sono molto ben rappresentati da cernie, saraghi, dentici, castagnole, ricciole e dagli spettacolari e stagionali Zeus faber (pesce San Pietro), visibili in queste acque, e nelle acque del lido di Reggio Calabria, tra gennaio ed aprile, quando la temperatura si mantiene sui 14°C.
Come il San Pietro, la Rana Pescatrice si rinviene nello stesso periodo e negli stessi luoghi. Questi pesci sono molto facili da avvicinare ma è molto difficile individuarli, per via del loro mimetismo. In ogni caso rappresentano un incontro eccezionale per il subacqueo, poiché sono ben disposti a posare per delle fotografie, oltre ad avere una conformazione del tutto particolare, unica nel mondo dei pesci.

L'immersione notturna su gli apparentemente insignificanti fondali sabbiosi del litorale centrale e meridionale dell'area dello Stretto (tra i paesi di Gallico e Pellaro) regala poi sorprese che rasentano l'incredibile.
Una fitta popolazioni di invertebrati e piccoli pesci esce allo scoperto per dedicarsi alla predazione: molluschi, crostacei, echinodermi, si muovono animati da una frenesia alimentare che talvolta li porta ad ignorare persino quella luce abbagliante che il subacqueo, per osservarlo o fotografarlo, è costretto, ahimè, ad usare! Uno spettacolo emozionante, un circo naturale che il mare ci regala anche a pochi metri di profondità.
Un pesce che, ad esempio, possiamo osservare in natura solo in queste acque, è il piccolo Pesce Trombetta. Abituato a starsene al di sotto dei 100 m di profondità, trova qui l'habitat ideale per vivere e riprodursi anche a pochi metri.
Nei fondali prospicienti le mura greche, sul lungomare di Reggio, nuvole danzanti di migliaia di questi pesci si muovono, nuotando a testa in giù, sotto la luce del faro che li illumina, cercando di evitarla. Mi è capitato solo recentemente, dopo migliaia di ore passate sott'acqua, di osservare due esemplari durante l'accoppiamento, a soli 50 cm di profondità. Avevo esaurito la pellicola e non ho potuto far altro che osservarli. Probabilmente sarei stato il primo a fotografare una simile scena.

Ma in questo mare ho avuto la gran fortuna di fotografare pesci unici e altrove non a portata di uomo immerso con l'autorespiratore ad aria.
Come il buffo Squalo Porco, un piccolo squaliforme che frequenta le orlate rocciose che corrono parallele al lungomare di Lazzaro a profondità che oscillano tra 40 e 80 m.
O ancora il raro Pesce Palla, trovato per caso una sola volta.
E perfino pesci mai visti prima, giunti dal mar Rosso attraverso il canale di Suez sui fondali di Reggio Calabria; è il caso dello Stephanolepsis diaspros, un monacantide che ho documentato fotograficamente sia nella sua forma giovanile sia allo stadio adulto (ben tre sono stati gli avvistamenti).
Non sembra vero eppure, proprio in quelle acque dove spesso sono scaricati rifiuti d'ogni genere (vedi le foci dei torrenti Calopinace, Annunziata e altri), dove la spiaggia è ridotta a una grande pattumiera, vivono e si riproducono in condizioni privilegiate una vasta comunità di pesci e invertebrati Mediterranei, qui in soprannumero e con una concentrazione insolita per metro quadro di fondale.
Per tutelare questo mare è necessario, prima di tutto, conoscerlo. Sicuramente questa poche righe possono servire a "smuovere un po' le acque", poiché molti non sono neanche consapevoli di possedere un tale patrimonio.
Basti pensare che il parco naturale sommerso nelle acque dello Stretto potrebbe diventare un'immensa fonte di reddito per quanti, ancora oggi, sono senza lavoro: sarebbe sufficiente trasformarlo in parco marino effettivo, nonostante la strada per il raggiungimento di tale obiettivo non sia delle più semplici.

Tornando al nostro mare, vorrei concludere evidenziando la sorprendente varietà che si riscontra sui nostri fondali, dal punto di vista della loro conformazione e della flora e fauna in essi presente, procedendo da sud verso nord. Dai fondali di sabbia e fango, alternati a nuda roccia con grandi orlate e scogliere sommerse, del confine meridionale (Leucopetra promontorium), si passa a detrito con piantagioni di Caulerpa racemosa e Cymodocea nodosa (piccole piante verdi che creano una specie di prato inglese sui fondi sabbiosi) nella zona di Pellaro S.Gregorio.
Più o meno analoga è la situazione di Reggio ed Archi, dove prevale il detrito di diverso tipo, con scogliere artificiali che hanno portato alla nascita di vere e proprie oasi di vita.
La situazione muta notevolmente procedendo verso Catona, dove il detrito si trasforma in sabbia fine e bianca simile a quella delle isole Maldive; e così rimane fino a Villa S.Giovanni, dove iniziamo a trovare ampi tavolati di roccia e una visibilità eccezionale. La notevole trasparenza dell'acqua è, chiaramente, dovuta alle correnti; il loro impeto, in questa zona, rende sconsigliabile l'immersione sportiva, quasi sempre molto pericolosa.
Giungiamo quindi a Cannitello e, quindi, alle scogliere della Costa Viola; la corrente, nei momenti di stanca, ci consente adesso delle piacevoli immersioni alla scoperta di favolose rocce sommerse, con la possibilità di incontrare anche le grandi Laminarie, piante oceaniche che ritrovano qui le stesse condizioni dell'Atlantico.
Procedendo verso il confine settentrionale dello Stretto (Scilla) la roccia sommersa forma delle secche maestose, vere e proprie montagne sommerse, decorate dalle tinte sgargianti dei celenterati.
Un paradiso sommerso, quello dello Stretto, non solo sul versante della Calabria (quello che ho descritto) ma anche su quello della Sicilia, anche se la costa tra Taormina e Punta Faro si presenta generalmente più bassa e meno varia.

 

 
Francesco Turano
Helios
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