Il pesce
balestra e l’unicorno
Uno dei pesci mediterranei
che da sempre mi ha incuriosito e attratto per la sua forma bizzarra e per il
suo nuoto “diverso” dagli altri pesci è il balestra.
Il nome di questo pesce è certo troppo generico detto così, visto che di
balestra ce ne sono tanti nei mari del mondo, ma nel Mediterraneo vive una sola
specie, unico rappresentante nostrano della famiglia. Non si tratta, è bene
dirlo, di un pesce tropicale immigrato, bensì di un pesce diffuso e tipico solo
dell’Atlantico e del Mediterraneo.
Spesso, quando si parla di specie esotiche, si fa confusione e si scambia il
balestra con un pesce tropicale (anche perché da noi una sola specie, tra
l’altro non comune, risulta poco conosciuta), e si inizia a parlare di
“tropicalizzazione” del Mediterraneo dovuta ai cambiamenti climatici globali…
In realtà non è affatto così, anche se oggi i pesci balestra, fino a poco tempo
fa più frequenti nel Mediterraneo meridionale, cominciano a vedersi
occasionalmente anche a nord, persino in Adriatico dove un tempo erano
considerati rari, creando inizialmente stupore e confusione.
La presenza di
Balistes carolinensis (Gmelin, 1789) in
Mediterraneo è documentata da tempi remoti, addirittura dal Neolitico, con
riferimento alle coste mediterranee di Israele. Il limite termico di questo
pesce oscilla tra un minimo di 18°C e un massimo di 24 °C (Whintehead & al.,
1984), non tollerando, questa specie, generalmente acque al di sotto dei 12°C.
Il nome “pesce balestra” nasce da una
caratteristica tipica della prima pinna dorsale che, dotata di robusti raggi
spinosi, può essere sollevata o abbassata a piacimento con un movimento a
scatto; a riposo, la pinna e i suoi robusti raggi alloggiano in un’apposita
scanalatura presente sul dorso, scomparendo quasi alla vista.
Il movimento a scatto, simile a quello effettuato per armare il grilletto nelle
antiche armi da fuoco a pietra focaia (e forse, precedentemente, anche delle
balestre), ha ispirato il singolare appellativo, che deriva dalla traduzione del
termine anglosassone “trigger fish”, che
letteralmente significa poi “pesce grilletto”.
Mi son sempre avvicinato al
mare passando dalle pagine dei libri agli ambienti sommersi, giungendo preparato
e con un minimo di nozioni per capire e conoscere meglio quanto, di volta in
volta, mi si presentava davanti agli occhi.
La prima volta che incontrai il balestra era notte, ero già fotosub da qualche
tempo (non molto), e mi trovavo a pochi metri di profondità (una decina) su un
fondo di sabbia e pietre sparse.
Ricordo un bell'’esemplare, conservo ancora quelle prime foto, e ricordo i suoi
colori, accesi come sovente accade di notte per molte specie di pesci quando,
colti nel sonno, restano fermi, offrendosi inermi a qualche lampo di luce
accecante nell’oscurità, come può essere il flash di un fotografo subacqueo.
Pochi, nel tempo, sono stati gli incontri con questo strano animale, e sono,
ancora oggi, sempre desideroso di nuovi incontri, sott’acqua, per il piacere di
osservarlo e, se possibile, fotografarlo.
Il suo corpo è alto,
compresso lateralmente, ed ha una forma romboidale; si distingue bene,
anteriormente all’occhio ed inferiormente ai fori nasali, uno stretto solco
obliquo, privo di squame. Dopo la prima dorsale, la cosiddetta pinna “a
scatto”, si torva un’elegante pinna dorsale a cui è si oppone,
ventralmente, un’altrettanto bella pinna anale (l’unica ventrale che possiede);
le due pinne, contrapposte, vengono ondulate a un ritmo cangiante in perfetta
sincronia, da risultarne un nuoto strano, diverso dal solito, forse paragonabile
solo al nuoto del pesce San Pietro, anche se il balestra risulta essere molto
più veloce del San Pietro.
La coda del balestra è infatti grande e arrotondata, potente, capace di fornire
la forza per scatti veloci in avanti. Negli esemplari più grandi la coda, dal
profilo inizialmente convesso, diviene lunata, con raggi superiori ed inferiori
assai prolungati, filamentosi. Poco avanti alle piccole e ovoidali pinne
pettorali si trovano le branchie, appena visibili, che hanno una struttura a
fessura.
Lo sguardo del balestra, per la posizione degli occhi piccoli, molto mobili e
dislocati in alto, appare curioso, quasi furbo.
Tipici della famiglia sono
poi i denti, molto robusti (specie gli incisivi), che denotano abitudini
alimentari legate ad una dieta costituita da organismi bentonici dotati di
guscio solido, come anellidi tubicoli, molluschi ed altre specie abbondanti e
reperibili in prossimità di fondali sia rocciosi che sabbiosi o detritici.
I denti sono nascosti in una bocca appuntita piuttosto piccola e con labbra
carnose. Ciò che è più sorprendente è la sua incantevole livrea, generalmente
grigio-azzurra con bande irregolari brune sui fianchi e puntinatura blu sparsa
sui fianchi; altre volte la livrea può presentarsi invece bruno-cinerea, con
sfumature violacee.
Sulle pinne si possono notare anche delle linee ondulate con diverse sfumature
di giallo.
La pelle è coriacea, spessa, quasi cuoiosa e armata interamente di placchette a
losanga, che formano una specie di corazza; come per tutti gli altri membri
della famiglia, il risultato finale è un pesce forte, robusto, territoriale,
temibile da altri pesci e, in alcuni casi, anche dal subacqueo (che non poche
volte è stato attaccato senza il minimo indugio).
Sembra che il pesce
balestra del Mediterraneo possa raggiungere i 50-60 cm di lunghezza, ma gli
esemplari che si incontrano generalmente non superano i 30/40 cm o poco più. I
giovani sono più portati a riunirsi in gruppi molto numerosi mentre gli adulti,
in genere, sono orientati a una vita poco sociale.
I pesci balestra si riproducono verso la fine di giugno o al principio di
luglio. La femmina prepara un bellissimo nido, soffiando con la bocca sulla
sabbia del fondo e asportando boccate di sabbia e ciottoli in modo da creare una
buca ampia e profonda, in cui depositare poi le uova. Durante l'incubazione, che
in media dura 3 giorni, il maschio fa la guardia poco distante. Le uova si
schiudono durante la notte e le larve sono plantoniche. Una raccomandazione: se
vi capita di incontrare un balestra in prossimità del suo nido prestate
attenzione. Se si tratta del maschio a guardia delle uova, è possibile essere
aggrediti. La difesa del nido è prioritaria e, vi assicuro, un morso ben
assestato di balestra non è tanto trascurabile.
Ma riprendiamo un attimo
il discorso degli immigrati in Mediterraneo, per quelle specie dette lessepsiane
(ormai molte) che attraversano il Canale di Suez e giungono, piano piano, fino
alle coste italiane.
Quando parlo del
Balistes carolinensis non posso non parlare
di un suo simile, un monacantide questa volta veramente “infiltrato”, che ho
avuto il piacere di incontrare nelle acque del lido della mia città, Reggio
Calabria.
Si tratta dello
Stephanolepsis diaspros (Fraser - Brünner,
1940) o pesce unicorno. La parola “unicorno” stimola inevitabilmente la
fantasia e ci conduce diritti nel mondo di fiabe e leggende, dove cavalli
bianchi assumono strane sembianze per la presenza di un lungo corno al centro
del capo. Ma nel caso specifico, tra gli animali del mare è stato
provvisoriamente battezzato unicorno un piccolo
pesciolino tropicale della famiglia dei monacantidi, recentemente introdottosi
in Mediterraneo.
“Unicorno” perché anche lui, come il balestra, è provvisto di una sorta di corno
o aculeo o ancora spina (come si preferisce) proprio sul capo, anche se in
realtà siamo di fronte a una modifica strutturale del primo raggio della pinna
dorsale.
Con corpo alto, assai
compresso lateralmente, e con profilo ventrale decisamente arrotondato, ha una
bocca molto piccola e prominente. Il 2° raggio della seconda pinna dorsale, nei
maschi adulti, è piuttosto prolungato, filamentoso e conferisce all’animale un
aspetto, complessivamente, molto elegante.
La "taglia massima non supera i 25 cm e la colorazione è
grigio – brunastra o giallastra, con riflessi verdastri; presenta sul corpo una
serie di macchie e linee orizzontali più scure e una rete di linee sinuose più
chiare che possono formare dei rombi allungati. Nel Mediterraneo è presente
lungo le coste meridionali del bacino centrale e di quello orientale; nei nostri
mari è presente nel Golfo di Taranto e nelle acque della Sicilia orientale. La
specie è però tipica del Mar Rosso.
La famiglia monacantidi
comprende un centinaio di specie, in prevalenza tropicali, purtroppo non molto
conosciute. Alcune specie hanno colorazioni che le rendono inconfondibili, ma
molte sono ben camuffate e hanno una colorazione molto variabile a seconda
dell'ambiente, essendo in grado di cambiare colore velocemente per mimetizzarsi.
Diverse specie, tra l’altro, non amano interagire con i subacquei e si
nascondono con cura in presenza di osservatori umani, il che rende ulteriormente
difficile osservarli.
Provvisti di scaglie piccole, ciascuna con un filamento, hanno la pelle di
aspetto vellutato o ruvido (da cui deriva anche il nome di pesci lima).
Ma quali e quante sono le prove e le testimonianze dell’introduzione di questo
piccolo pesce in Mediterraneo? E soprattutto: siamo certi che il pesciolino
abbia trovato le condizioni ideali per riprodursi nei mari italiani,
considerando la rarità delle segnalazioni? A questi quesiti posso rispondere
solo parzialmente. E già questo rappresenta un traguardo.
Le prove dell’introduzione
di S. diaspros nel nostro mare sono sostanzialmente poche, ma sufficienti
a confermarne la sua presenza. La prima segnalazione relativa al suo avvicinarsi
al Mediterraneo risale al 1966 ed è legata alla sua individuazione, per la prima
volta, nel Canale di Suez; risale invece al 1967 la cattura di un esemplare nel
Golfo di Taranto, prima testimonianza del suo avvicinarsi alle acque italiane.
Da quel giorno, il pesce è riportato come abbastanza comune lungo le coste
tunisine e nel Mar di Levante, dall’Egitto fino a Rodi. Ma dalla segnalazione di
Taranto fino ad oggi, ogni traccia della sua presenza lungo le nostre coste era
svanita definitivamente. Almeno fin quando non mi accadde l’inimmaginabile.
Era il mese di aprile del
1996 e durante alcune immersioni a poca profondità sui fondali antistanti il
lungomare della mia città, Reggio Calabria, mi trovai ripetutamente al cospetto
di quello che a prima vista mi sembrò un giovane esemplare di pesce balestra.
Guardandolo meglio e fotografando a dovere il primo esemplare incontrato, mi
resi presto conto delle peculiarità di un pesce che balestra non era; si
trattava di un piccolo pesce lima, un rappresentante dei monacantidi,
assolutamente non vivente in Mediterraneo. Pensai subito a una nuova migrazione
lessepsiana e le ricerche me ne diedero atto.
Subito non mi resi conto
dell’importanza della scoperta e della sua valenza scientifica; solo quando
scoprii di essere stato l’unico a fotografare tale specie nei mari italiani
cominciai a cogliere l’importanza della segnalazione e dell’evento. Presto,
immergendomi di nuovo nello stesso luogo, incontrai altri esemplari, di cui due
adulti splendidi. Ma poi gli incontri finirono e non si son più ripetuti.
All’epoca collaboravo con la rivista Aqua e venne fuori un articolo firmato da
Angelo Moretta, quasi incredulo alla mia testimonianza, rafforzata da un certo
numero di immagini di estrema chiarezza. Il titolo del pezzo fu “Quel balestra
mai visto”, articolo che fu poi inserito in una serie di “scoop” che Angelo ed
io portammo avanti per un pò, lui con l’abilità nella precisa descrizione e
documentazione scientifica ed io con le mie rare immagini di strane creature e
con le mie puntuali osservazioni in natura.
La prova che il
monacantide fosse giunto in Italia era ormai tangibile; ma nuovi avvistamenti, a
sostegno del suo eventuale ambientamento in queste acque, non ce ne furono. La
sua presenza rimane oggi un mistero e ogni segnalazione in altri lidi d’Italia
potrebbe essere importante per capire se lo Stephanolepsis diaspros stia
ancora cercando una nuova casa o se, non trovandosi, abbia invece rinunciato a
cercare.
Per non dimenticare e
continuare a sperare che un giorno qualcuno dall’occhio acuto scovi qualcosa del
genere da qualche altra parte, sott’acqua o sul banco del pesce, ho ritenuto
doveroso pubblicare queste righe e queste immagini su internet.
Balestra ed unicorno,
seppur con esigenze diverse, condividono adesso lo stesso mare… sarà colpa della
globalizzazione?
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