Il blennide
con l’occhio finto
Una
decina d’anni fa avevo già messo in archivio una discreta manciata di foto che
ritraevano il comportamento anomalo e sconosciuto di uno dei blennidi più grandi
e belli del Mediterraneo, sempre grazie alle innumerevoli opportunità che il
mare dello stretto continuava ad offrirmi.
Dal profondo sud ero riuscito a partecipare le mie osservazioni alla redazione
della rivista Aqva, a Milano, che a stento a pubblicava ancora qualche articolo
di biologia marina grazie alla penna di Angelo Mojetta.
Ad Aqva ero arrivato tramite Paolo Fossati, già collaboratore della rivista e
diventato nel tempo un caro amico per la condivisione di tutta una serie di
immersioni prima ai tropici e poi in Mediterraneo (in quel tratto di mare che
gli avevo presentato e del quale anche lui si era innamorato e che distava pochi
minuti dalla mia abitazione, sulla sponda calabra dello stretto…). Fatto sta che
i miei incontri ripetuti con Blennius ocellaris,
la seconda bavosa della famiglia per dimensione dopo il
Blennius gattorugine, dovevano necessariamente essere esposti ai
subacquei, ai quali la bavosa non solo è poco nota ma, in alcuni casi,
addirittura sconosciuta.
Gli schemi di una redazione dove, a parte Angelo, erano in pochi a capire
qualcosa di mare, mi imposero di dover passare a lui i miei testi, in quanto
biologo ufficiale; le mie descrizioni venivano puntualmente filtrate,
aggiungendo qualcosa e parlando di esperienze che, in fondo, ero stato io a
vivere.
Anche per la
bavosa occhiuta accadde questa cosa e ne uscì
un breve articolo di due pagine, appena sufficiente a illustrare un pizzico di
novità su questo pesce la cui biologia è praticamente ignota e del cui
comportamento in natura si sa molto poco.
Ma più di due pagine non si poterono spendere: il blennide
non aveva l’erogatore di marca da mostrare in copertina o la muta ultimo grido
da proporre ai lettori…
Ho visto quasi sempre la
bavosa occhiuta ben nascosta in rifugi di ogni tipo, a tutte le
profondità. Potrei stilare un elenco di tane tutte diverse, soddisfacenti
per un pesce stranissimo e dallo sguardo minaccioso, con l’occhio vigile che ti
osserva dall’interno della sua abitazione.
Barattoli di vetro, lattine di pelati, stracci aggrovigliati, pentole, tubi,
bottiglie di vetro o plastica semidistrutte, bicchieri, boccali di birra,
conchiglie vuote e altro ancora sono tra gli oggetti che per fattura e
dimensione sono adeguati alle esigenze di un pesce introverso e scontroso,
regolarmente aggressivo e anche molto coraggioso, territoriale da morire, specie
nel periodo della cova delle uova, momento che vede il maschio particolarmente
impegnato e sempre presente con o senza la sua compagna.
Ho avuto la fortuna di assistere più di una volta alla cova delle uova e alle
cure parentali di questa interessantissima specie.
La scelta del nido, dalle osservazioni in natura e dai documenti raccolti su
pellicola, credo proprio sia ben ponderata: ogni volta ho visto nidi che
nascondevano quasi completamente le uova e che nello stesso tempo offrivano una
certa protezione fisica alla femmina.
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Il
maschio avvolge la compagna sull’uscio di casa, un barattolo in
vetro trasparente coperto di alghe. Il senso di responsabilità del
papà è notevole, tanto da esporsi a tutela della futura prole,
mentre la mamma si limita a restare nascosta confidando sul
compagno. Nella sequenza è
evidente l’atteggiamento nervoso del maschio, che rivolge lo
sguardo verso di me nella speranza di intimorirmi.
La femmina si sporge un po’ più del normale per rendersi
conto di quanto sta accedendo: avvistato il nemico si ritira
nuovamente in casa.
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Un fondo di bottiglia si presta per
il nido di un’altra coppia di bavose |
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Il
maschio (a dx) e la femmina (a sx) posano davanti al loro nido
d’amore per una foto ricordo. Si nota bene la differenza delle
dimensioni tra i due, la mascherina bianca che presenta sul muso la
femmina e l’atteggiamento del maschio, avanzato rispetto alla
compagna e pronto a colpire l’intruso.
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Il maschio,
guardiano e protettore della futura prole, rimane accanto alla
compagna ed esce dal suo rifugio solo per allontanare gli intrusi o
procurare il cibo.
Da lui dipende un po’ tutto, sembra anche l’ossigenazione delle uova
all’interno del nido.
Una volta incontrai due simpatiche bavose dentro un barattolo di
vetro: mi accorsi della presenza delle uova dalla trasparenza del
contenitore.
Ma non feci in tempo a rendermi conto della situazione che vidi il
maschio venir fuori rapidamente e aggredire a morsi le fodere di
neoprene dei miei lampeggiatori.
Il blennide, in un primo momento, uscì dal suo rifugio e nuotando a
mezz’acqua fronteggiò l’intruso, osservandone l’aspetto e le
intenzioni. |
Anche una conchiglia vuota, come questa Pinna rudis, funge a
meraviglia come nido d’amore.
In questa foto il maschio (sopra) e la femmina (sotto) sono
affacciati alla “finestra” per sorgere eventuali intrusi. Lo scopo è
sempre lo stesso: proteggere le uova. |
Mi sentivo osservato da questo coraggiosissimo pesciolino e quasi lo
temevo, pensando contemporaneamente a quanto “fegato” doveva avere
lui per porsi al cospetto di un essere gigantesco e sconosciuto
quale un subacqueo poteva rappresentare per un piccolo abitante del
mondo sommerso. Attacchi a
sorpresa, con morsi violenti, arrivavano puntuali e ripetuti.
Una cosa analoga mi era capitata con i pesci pagliaccio in Mar
Rosso.
Piccoli e sfegatati, questi blennidi, sono territoriali e
incoscienti come pochi: tra una picchiata e l’altra il maschio
tornava al nido e cingeva la femmina con il corpo e la coda; femmina
pigra e sulle sue, che si affacciava appena dal rifugio solo per
capirci qualcosa.
La bavosa occhiuta è solita
piegarsi a “U”, è un suo modo di essere caratteristico. Anche quando nuota,
assume spesso un atteggiamento a “S”, ha cioè un nuoto serpentiforme, come se
stentasse ad assumere una posizione lineare, che è tipico dei blennidi ma
accentuato in Blennius ocellaris. |
Spettacolare e incantevole
al tempo stesso è ammirare le evoluzioni che il grosso maschio compie lontano
dal fondo quando osserva il nemico e si prepara a sferrare l’attacco.
Lo spettacolo è dato da un lato dal suo atteggiamento e dalle posizioni che
assume a pinne “spiegate”, dall’altro dal tipo di pinne, ampie e disegnate da
raggi evidenti come bassorilievi, con una dorsale che è unica, alta
come una vela e scolpita da un finto occhio nero bordato
di bianco (da cui il nome del pesce); una dorsale i cui primi raggi
sono lunghi e con le estremità libere, come filamenti fluttuanti, una dorsale
grande nata dalla fusione delle due pinne del dorso in una sola, altra
caratteristica comune alle bavose.
Nuoto libero di un grosso
maschio, sospeso e pronto a sferrare un attacco a sorpresa e una
serie di morsi violenti. Trovarsi faccia a faccia con il blennide in
questa fase è emozionante.
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Ancora il blennide mentre si libra in acqua libera ondeggiando il
corpo
e stendendo le grandi pinne per mostrarsi in tutta la sua mole.
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Per
apparire più grande e temibile la bavosa sventola la sua enorme pinna
sollevandola, mettendo in evidenza la macchia ocellate e ingannando il nemico o
il probabile predatore.
Così fa anche col subacqueo curioso e invadente, quale devo essere io quando,
nelle vicinanze di un nido, mi soffermo molti minuti e scatto molte fotografie,
aspettando i momenti migliori per cogliere la coppia negli atteggiamenti più
intimi o il maschio sospeso nel blu durante le sue acrobazie a pinne tese.
Ho dedicato intere immersioni all’osservazione di questi blennidi
particolarmente intriganti.
Lo sguardo cattivo di quegli occhi arancioni, sovrastati da pallide corna
ramificate, le tondeggianti guance maculate, con quella grande e muscolosa
bocca, sempre pronta a mordere quel che capita a tiro, mi hanno stregato e
turbato sin dal primo momento, tanto che ancora oggi, quando incontro la bavosa
occhiuta, mi soffermo molto e, quando posso, rompo le scatole al punto da farle
aprire la pinna dorsale ed assistere almeno a una sintetica serie di evoluzioni,
tanto per gradire…
La
cura del nido e delle uova dura all’incirca una o due settimane, al termine
delle quali nascono larve di circa 4 millimetri.
Lo sviluppo del pesciolino è piuttosto rapido e quando raggiunge i due
centimetri si nota già l’inconfondibile pinna del dorso.
Mi è capitato di vedere esemplari di ogni dimensione in natura, ma mai
abbastanza piccoli per analizzarne i caratteri in quella fase.
Ho anche assistito ad azioni di caccia da parte di questa specie, svoltesi
soprattutto durante le ore notturne.
Vermi, piccoli crostacei e qualche pesciolino sono vittima delle sue passeggiate
nel buio; e anche di notte eccomi ad intromettermi nel normale svolgimento dei
ritmi della natura e a fendere l’oscurità con un bel fascio di luce accecante,
che disturba non poco la bavosa. Irrequieta e nervosa, cerca di scappare per sfuggire alla luce, ma io la inseguo
e fotografo, scatto e riscatto, aggiungendo luce su luce, questa volta
lampeggiante e più intensa.
Mi son sempre chiesto quanto incide l’azione di un fotografo in natura, quando
invade un territorio, un angolo di mondo sommerso, dove ogni cosa si svolge in
armonia secondo leggi precise, dove di notte tutto è silenzio, è quiete. Almeno
in apparenza.
Oramai
conosco bene la bavosa occhiuta. Non esiterei a definirla una delle più belle di
tutte le bavose del Mediterraneo.
Il suo corpo, alto e compresso
fortemente ai lati, sfoggia una livrea striata di un colorito
bianco-grigiastro o bruno-rosaceo di fondo con fasce più scure verticali.
La testa è sempre più scura,
specie sulle guance, direi quasi marrone, ed è caratterizzata da una evidente
macchiettatura, con sfumature arancioni sotto la bocca e le guance che sfumano
nel bianco del ventre.
Tutti questi colori sono messi in risalto dalla mucosa che ricopre la pelle
priva di squame, che fa apparire il pesce quasi verniciato, lucido e brillante.
La peculiarità del capo di questo pesce è la sua struttura tozza e robusta: il
profilo quasi verticale e gli occhi, ovali e inclinati, posti in alto, con la
bocca carnosa e poco sporgente, sembrano fatti apposta per aumentare l’aspetto
burbero di un pesce “forzuto”, reso ancora più minaccioso dagli splendidi
tentacoli sfrangiati posti sugli occhi, che ne incattiviscono lo sguardo.
La
bocca,
notevole arma di difesa per questa specie che ne fa largo e frequente uso, ha
una serie di piccoli denti con punte arrotondate, non visibili a occhio nudo.
La presa delle mascelle sul nemico e formidabile: ho potuto constatarlo di
persona, sulla mia pelle, e vi garantisco è formidabile.
Ma gli occhi, quegli occhi arancioni e quella pupilla nera che rotea e che ti
guarda e ti studia, sono e dir poco affascinanti; quando mi fermo e la osservo,
la bavosa occhiuta mantiene inizialmente la calma e comincia a osservarti per
capirti.
Allora ecco iniziare un movimento continuo degli occhi: lo sguardo, e
l’occhio con esso, si sposta da un lato, poi in alto, poi di nuovo in basso.
Tutta una sequenza di rotazioni sul proprio asse, come solo i blennidi sanno
fare, che in questa specie di grandi dimensioni (nello stretto la bavosa può
superare i venti centimetri di lunghezza), rende questi occhi a dir poco
interessanti.
Occhi che sanno anche muoversi indipendentemente l’uno dall’altro…
Leggo
sui libri che la riproduzione va da febbraio a settembre, ma non saprei
confermare dati simili perché l’incontro col nido è sempre stato per me casuale
e tutto è accaduto sempre in primavera o inizio estate.
Per quanto riguarda l’habitat, si ritiene che questo pesce può trovarsi
prevalentemente su fondi sabbiosi e fangosi e in questo caso credo di poter
confermare non avendo mai incontrato una bavosa occhiuta in un ambiante di
scogliera.
I pendii di sabbia, fango e detrito delle due sponde dello stretto rappresentano
l’habitat ideale per questa specie che predilige i fondi mobili, dove
generalmente trova rifugio sotto un sasso o dentro una conchiglia, ma che
apprezza molto i relitti degli oggetti più strani introdotti dall’uomo in
ambiente sommerso.
La si può trovare da una quindicina di metri di
profondità (anche meno ma di rado) fino a 300-400 metri, praticamente in acque
abissali.
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