C’era una volta… la bettolina
tedesca
Si sta insabbiando sempre di
più, anno dopo anno, il relitto di quella piccola nave di cui ancora si ignora
il nome, nota ai subacquei e alla popolazione locale come bettolina tedesca.
Perché di bettolina si tratta e la nazionalità è certa grazie ai testimoni
oculari che ancora raccontano del suo affondamento alla fine dell’ultima guerra.
Ricordo le prime immersioni su questo relitto, poggiato sul fondo sabbioso tra i
38 e i 45 metri di profondità e posto parallelo alla riva sui fondali subito
profondi antistanti la spiaggia di Lazzaro
(paese al confine meridionale dello Stretto di Messina, a pochi chilometri da
Reggio Calabria).
Le strutture dello scafo, fino a pochi anni fa, erano completamente colonizzate
da tunicati, spugne,
medrepore e anellidi
policheti:
tantissimi limoni di mare ricoprivano la prua e le fiancate esposte verso la
profondità; e nelle zone d’ombra, create dall’inclinazione dello scafo verso il
fondo, nutrite colonie di madrepore svelavano i loro colori solo sotto la luce
del faro, aprendo i loro polipi per la cattura di piccoli animaletti del
plancton.
Variopinti
“piumini” di policheti sedentari creavano un
turbinio di colori: tanti piccoli ciuffi di vermiciattoli colonizzavano le
lamiere in modo così intenso da creare una sorta di “tappeto colorato”, una
distesa fiorita di diversi colori.
Rosei anthias rendevano magica l’atmosfera di un
relitto vivo e particolarmente interessante per la sua spiccata offerta di
biodiversità in poco spazio.
Nelle stive poste a centro nave spesso si potevano osservare
gronghi e murene di
notevoli dimensioni, per non parlare delle grandi cernie,
guardinghe ma disponibili sovente per un approccio a distanza.
Il relitto rappresentava un piacevole punto di riferimento per le mie
appassionate ricerche di biologia marina, poiché era qui che trovavo a colpo
sicuro stelle pentagonali come la Ceramaster placenta
o molluschi gasteropodi come il raro
Cymatium partenopus.
Lo spettacolo era assicurato
anche di notte, quando mi immergevo per fotografare quei pesci che di giorno non
consentivano di accorciare troppo le distanze; i lunghi tentacoli di splendidi
esemplari di Alicia mirabilis non tardavano
a tagliarti la strada lungo l’itinerario subacqueo, in un percorso che in una
sola immersione consentiva di spostarsi da prua a poppa, andata e ritorno, salvo
imprevisti legati alla forza delle occasionali correnti.
Ricordo bene che non era raro imbattersi anche in grossi
polpi e notevoli paguri, con le loro grandi
attinie da portare in giro sul fondale…
E poi saraghi fasciati in gruppi numerosi, qualche sarago maggiore che, specie
di notte, riposava tra le lamiere insieme a boghe, zerri, tordi, e tanti grossi
sciarrani; questi ultimi, con le cugine perchie, erano ospiti fissi di
quest’oasi di ferro giacente su un fondo quasi completamente fangoso.
La
prua del relitto, con ancora in bella vista la catena dell’ancora, era uno degli
scorci preferiti per le mie foto in bianco e nero; sotto la catena c’era anche
una bellissima madrepora, una colonia di Phyllangia
mouchezii, che però meritava di essere ripresa a colori ed osservata
poi in diapositiva, nel buio del salotto di casa dove poi si rivivono sempre
quei magici momenti, dopo lo sviluppo della pellicola invertibile.
Che bello che era il relitto di Lazzaro! Che incontri e che emozioni!
Ma oggi cosa è accaduto?
Nulla di anomalo, o forse si.
In parte si è instaurato un fenomeno di regressione della biodiversità senza
capire per quali precisi motivi.
In parte è subentrata l’ultima fase della vita di un relitto:
quella della sua inesorabile e progressiva scomparsa nel sedimento mobile e del
suo contestuale disfacimento; in pratica quella che possiamo definire “morte
naturale” di un relitto sommerso.
Le due cose hanno trasformato il luogo, tanto che
ormai fare una bella immersione sulla bettolina è diventato difficile.
O forse lo è per coloro che, come me, hanno vissuto e documentato i momenti
magici di questo relitto.
La vita nel mare ha il suo corso, anche se forse l’uomo ne sta alterando le
fasi. Forse, nonostante l’insabbiamento, la fauna e la flora avrebbero potuto
resistere meglio, cambiare, ma non regredire.
Forse invisibili forme d’inquinamento e mutate condizioni ambientali stanno
trasformando molti ambienti e i relitti sommersi, vere e proprie oasi di vita,
non sono esenti da questa triste sorte.
Proverò ad immergermi ancora alla bettolina,
nonostante tutto!
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