Calamari,
fantasmi notturni
L’aria umida di questo
quindici gennaio mi ricorda che ancora una volta i venti da sud hanno preso il
sopravvento, interrompendo i rigori di un inverno che aveva solo accennato a
iniziare con una bella nevicata. Sono le sedici e quaranta e sono appena
arrivato nei pressi del centro Okeanos di Reggio
Calabria, dove mi aspetta un amico per un tuffo nello Stretto con il favore
delle tenebre.
I fondali della città, antistanti quel tratto di mare compreso tra il Circolo
Velico e il laboratorio universitario sul mare, sono uno dei luoghi che ho
sempre frequentato per incontrare soggetti a dir poco entusiasmanti per le mie
fotografie.
Fabio, mio compagno d’immersione di questa sera, è un subacqueo in gamba ma non
ha esperienza di osservazione e ricerca sulla biodiversità dello Stretto e mi
immergo con lui per illustrargli le meraviglie di un mare che una volta era un
paradiso e che oggi conserva solo il ricordo di quella straordinaria bellezza.
Speriamo tuttavia che questi ambienti siano ancora prodighi di sorprese e che
l’incanto del tramonto, infuocato e caldo, sia di buon auspicio. Aspettando che
avanzi il crepuscolo iniziamo la lunga vestizione.
Nei momenti che precedono l’immersione discutiamo a tratti sulle esperienze di
mare vissute; condividere un'immersione significa anche conoscere il proprio
compagno e cercare di capire come vivere insieme l’esperienza nella dimensione
liquida.
La notte giunge rapidamente e
siamo pronti ad entrare in acqua: una volta a galla, dopo le verifiche finali
dell’attrezzatura personale, c’è tempo ancora per un ultimo cenno di intesa
reciproca e si inizia la discesa nell’acqua già nera come la pece.
Quattordici sono i gradi segnati dagli strumenti: l’acqua quest’anno sembra
essersi raffreddata con notevole anticipo.
Una lieve corrente, diretta da nord verso sud (scendente), lambisce il mondo
sommerso che questa sera ci ospita, garantendo un’invitante acqua limpida;
sembra ci siano le condizioni giuste per questa nuova avventura.
Ma all’improvviso l’imprevisto: Fabio non riesce a compensare la pressione su un
orecchio e per un attimo siamo costretti a risalire. Proviamo a scendere
nuovamente e lentamente e, dopo alcune manovre e con un po’ di pazienza, tutto
sembra sbloccarsi e si procede verso la profondità massima stabilita, circa
quaranta metri.
Lungo la discesa faccio una
prima breve sosta per fotografare una simpatica gallinella, circondato dai
soliti rosei pesci trombetta, spaesati dai bagliori dei nostri fari, e da una
moltitudine di zerri e qualche mennola, pesci argentati quasi sempre presenti
sui fondali dello Stretto di qualsiasi natura.
Ripresa la discesa la mia
attenzione è rapita da un incontro inconsueto: sette o otto grossi e veloci
pesci serra fanno irruzione nel cono di luce proiettato dalle nostre fonti di
luce artificiale, lasciandosi osservare solo alcuni instanti e solo a debita
distanza. Lo spettacolo è forte e credo sia difficile percepire l’intensità di
quel momento, apprezzandolo pienamente consapevoli della rarità di un simile
evento. Fabio, sempre al mio fianco, si gode il momento come può, non conoscendo
ciò che osserva. Ma solo osservando più e più volte è possibile, alla fine,
comprendere e godere pienamente degli spettacoli che la natura ci offre
gratuitamente. Dimentichiamo i grossi pesci e procediamo cauti nel buio, tra
pietre isolate sul fondo detritico e relitti di copertoni che ospitano molta
vita.
Finalmente le emozioni
crescono adesso d’intensità: come un fantasma, ecco d’incanto materializzarsi
dal nulla un calamaro; sperando di riuscire a mostrarlo a Fabio, mi giro un
attimo per fare un segnale luminoso, ma quando mi rigiro verso il calamaro
faccio appena in tempo a percepire il suo andirivieni scattante e, in un
secondo, mi resta da mostrare solo una nuvola di nero; il calamaro è svanito nel
nulla.
Fortuna
che posso raggiungere facilmente un giovane pesce San Pietro, con una splendida
pinna dorsale esile ed allungata, e fotografarlo sotto gli occhi del mio
compagno, al quale tento di fare uno scatto insieme al pesce.
Gli eventi promettono bene e, abbandonato il San Pietro, fotografo ancora
qualche bella gallinella e osservo l’abbondante presenza di piccoli pesci, come
scorfanetti, pagelli e saraghi fasciati.
Mi dedico quindi alla ripresa dei piccoli pagri azzurri, rosei, puntinati di
blu, dalle morbide forme. Pesci attraenti e tra i più bei rappresentanti della
nobile famiglia degli sparidi.
Al volo riesco appena a vedere ancora un calamaro, ma Fabio è qualche metro alle
mie spalle e non ne percepisce la presenza.
Il tempo di fondo comincia ad
accumularsi e, dovendo rientrare con la corrente contro, per quanto leggera,
decido di tornare sui miei passi, guadagnando lentamente la superficie, metro
dopo metro.
Ma la nostra risalita è ulteriormente rallentata da un altro calamaro: questa
volta riesco a bloccarlo con la luce, intuisco una sua momentanea disponibilità
all’approccio.
Mi avvicino, lo fisso attraverso il mirino della mia fotocamera, lo fotografo
una, due, tre volte, poi lo scatto. Lo seguo, cerco di mostrarlo a Fabio. Poi il
calamaro diventa nervoso, sale vero la superficie, si ferma a mezz’acqua: lo
tengo nel fascio di luce concentrata della mia torcia per alcuni istanti, prima
della sua fuga definitiva.
Ritorno a guardare il fondo e riprendo la risalita, ma un pesce civetta,
ennesimo incontro della serata, posa per alcune foto che devo fare per motivi di
forza maggiore, quasi per dovere di cronaca.
Bella notturna, penso mentre sono quasi tornato al punto di partenza di questo
itinerario, anche nel senso squisitamente tecnico: Fabio si è dimostrato
all’altezza della situazione, non ha mai compromesso l’esito delle mie riprese e
si è goduto la cosa con discrezione, mi auguro condividendo le mie
gioie e le mie emozioni di osservatore della natura.
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