Il castello
delle stelle
Non
ho dovuto fare un grande sforzo per definire “castello delle stelle”
l’insieme di quelle grandi rocce che formano una vera e propria fortezza,
isolata su un fondale di ghiaia chiara, dove le stelle, ovviamente marine, hanno
deciso di vivere aderendo alle pareti delle diverse “torri” di pietra.
Ci troviamo al centro di una baia dove si trova l’unica spiaggia presente lungo
il tratto di costa compreso tra Torre Cavallo e
Punta Pacì; un lembo di litorale calabro dello
stretto dove le pendici del cosiddetto Monte Scrisi,
montagna che ospita il caro vecchio “Pilone” (traliccio un tempo utile per il
passaggio di cavi elettrici tra Calabria e Sicilia), si tuffano negli abissi con
fare franoso e accidentato.
Proprio al centro di questa splendida baia, a due passi da riva, ecco il
castello sommerso, fatto di scogli che salgono verso la superficie emergendo da
essa per un metro circa, e che sott’acqua presentano antri, cunicoli, passaggi e
piccole grotte dove numerosi animali del mare hanno scelto di vivere.
Una semplice e rilassante immersione, tra gli otto e i diciotto metri, ci offre
l’opportunità di osservare da vicino un incredibile e affascinante ambiente
sommerso; un habitat concentrato fatto di “camere” buie e anguste che ospitano
curiose creature, che solo la luce artificiale potrà riaccendere degli originali
colori nascosti nell’oscurità.
Trascurato dalla maggior
parte dei subacquei per la limitata estensione e per l’assenza di pesce di un
certo tipo, questo sito rappresenta per me un luogo importante, dove è bello
iniziare ad immergersi quando ancora si è alle prime armi ma dove da esperti si
torna e si trova ben altro e di più di quanto in realtà, in un primo tempo, si
riesce a vedere.
Ci vogliono gli occhi giusti per saper guardare dove gli altri non vedono, e
tutto può cambiare aspetto, rapidamente e in modo imprevisto.
Gli scogli di
San Grioli, che è forma dialettale di San
Gregorio (nome che sta ad indicare uno dei tanti torrenti minori che si fanno
strada alla base del Monte Scrisi), sono le torri di un castello le cui camere
sono molto numerose.
Navigando in senso orario alla base del castello, tenendo le pareti di roccia
alla nostra sinistra, troviamo subito una prima apertura, dove è difficile
penetrare senza urtare le delicate forme viventi di un benthos straordinario;
il consiglio è di usare bombole di piccole dimensioni e di accedere in modo
accorto e solo dove si è certi di non andare a sbattere a destra e a manca.
L’accesso alle “camere” è consigliato a un solo subacqueo,
non a gruppi (che devasterebbero tutto con urti e cortine di bolle), ed è da
considerarsi comunque cosa delicata e di breve durata.
L’azione di disturbo di un esploratore subacqueo non deve durare mai a lungo: la
permanenza all’interno di una cavità va mantenuta entro pochi minuti. Anche la
respirazione andrebbe controllata, con pochi atti profondi e scarico direzionato
in modo da evitare l’accumulo di bolle sui soffitti di roccia.
Qui le grotte e i passaggi sono piccoli e angusti, ma c’è tanto da vedere.
Il
buio sfondato dalla luce artificiale apre le porte di una dimensione dove
oltoturie marroni a pois, eleganti ricci neri con sfumature viola e dai lunghi
aculei, guardinghi e solitari gamberetti meccanici, piccoli scorfanetti di
specie diverse, re di triglie, perchie, sciarrani e minuscoli nudibranchi si
contendono, centimetro per centimetro, gli spazi disponibili nelle asperità
delle stanze in ombra o penombra, dove la poche luce filtra dagli ingressi o
dalle finestre naturali, riflettendosi sul fondo di sabbia chiara di questi
bellissimi ambienti.
La superficie della roccia non è mai nuda, ma densamente ricoperta da una
fittissima popolazione di madrepore coloniali e non, da spugne dalle forme
bizzarre, da tunicati, briozoi e policheti. Un miscuglio di sgargianti
colori, mai confusi ma sempre ordinati e disposti con un armonia senza pari,
l’armonia della Natura.
Le pareti interne di questi passaggi segreti, nascosti alla base
dell’agglomerato di roccia che forma questa scogliera, sono pertanto tutte da
scoprire; un patrimonio infinito di soggetti da fotografare in macro, da molto
vicino: il giallo intenso dei polipi di
Leptosammia pruvoti (madrepora gialla) è
affiancato all’arancio della diffusissima Miryapora
truncata (falso corallo), e lo stesso giallo si presenta più intenso
quando è vicino alle grandi e morbide forme delle spugne nere (…),
abbondantissime su questi fondali.
La
prima grotta già possiede tutte queste caratteristiche: la camera principale è
stretta e accessibile a stento, e presenta, ai lati opposti, una finestra sul
tetto e l’uscita all’interno della scogliera, ampia quanto basta al passaggio di
un solo sub.
La camera grande, larga circa tre metri per cinque, ha tetto basso e vede al suo
interno molte presenze animali. Si intuisce facilmente che la maggior parte
delle alghe, bisognose di luce, arresta la sua crescita in questi spazi
cavernosi, ma ricopre a tappeto la superficie esterna delle stesse rocce, grazie
all’acqua molto limpida e alla grande disponibilità di luce.
Lasciata la prima grotta si torna ai margini della roccia con la sabbia, e ci si
lascia ammaliare dei raggi del sole che arrivano inalterati fino sul fondo,
carezzando a volte le dorate livree delle numerose salpe che si spostano lente a
mezz’acqua.
I pesci riflettono alcuni raggi sparando dei lampi quando si piegano di fianco,
mentre l’onda si frange in cima al “castello” che emerge dalla superficie,
generando cortine di bolle spumeggianti dove i muggini amano giocare a
nascondino.
Lasciarsi andare e farsi prendere da questi incontri in un senso banali, ma in
un altro eccezionali, colma lo spirito del vero subacqueo, quello che non si
stanca di rivedere gli stessi posti dieci, cento o mille volte, quello che ogni
volta vede cose nuove sulle stesse identiche pareti o ancora quello capace di
vedere la stessa, identica cosa, più volte e cogliendone sempre un aspetto
diverso.
Ma
tornando al nostro percorso, si entra nel cuore del bastione sommerso
attraversando un passaggio tra due grandi pareti, sul lato esterno della torre
centrale, la più grande.
Qui le spugne raggiungono concentrazioni e dimensioni talora notevoli, le
madrepore arancio (Asteroides calycularis)
iniziano a decorare la volta di pareti in penombra, rientranti ad ansa, formando
cuscini dai caldi colori, belli come pochi in Mediterraneo.
Tra bozze madreporiche e agglomerati di falso corallo, cambiano le forme e le
sfumature di arancione, sempre accostato a spugne grigie e, questa volta, anche
celesti.
Non posso dire cosa significa osservare i cuscini di madrepore alternate alle
spugne incrostanti turchesi: è necessario vedere dal vivo, sempre con la giusta
luce e nei momenti adatti, le accese tinte e il loro accostarsi casuale e
perfetto.
Tutti gli invertebrati incrostanti di queste superfici creano una infinita
possibilità di rifugi ai piccoli pesci, ai crostacei, ai molluschi (come
cipree che si annidano tra le sporgenze accoglienti delle spugne o bivalvi che
si incastrano nelle più strette fessure che il coralligeno forma) e, su tutto
ciò, ecco le protagoniste: le stelle!
Il
castello di roccia di questo angolo di Costa Viola, al centro dello stretto, è
il “castello delle stelle”.
Sono loro le protagoniste di questa bella
passeggiata nel blu, grandi e dai colori caldi, colori che solo le stelle dei
tropici possono eguagliare.
Sono le stelle del tipo Ophidiaster ophidianus
e Hacelia attenuata, le cui tinte variano
dal viola, al rosso, all’arancio, al giallo in un modo così interessante e
stupefacente che osservarle diventa motivo di curiosità e di studio, per forza
di cose.
Sarà la mia passione fuori misura, sarà lo smisurato amore per il mare in
generale e per lo stretto in particolare, ma quando guardo una stella marina,
nonostante l’assenza degli occhi, punto di forza di un animale, vedo la stella
vitale e attiva, formosa e bella.
La specie del genere Ophidiaster poi, per la
sua rotondità e sinuosità delle braccia, aggiunge fascino al suo bell’aspetto.
Il suo modo di aderire alla roccia, di piegarsi ed infilarsi tra le asperità del
substrato, di mostrarsi solo con discrezione grazie a uno spiccato mimetismo
apparentemente involontario (ma in cui Madre Natura ci ha messo lo zampino non a
caso), la rendono attraente e degna di essere fotografata e osservata più e più
volte.
E siamo giunti alla grotta
più grande, quella dove tutto è colore, dove le diverse madrepore si confondono
miscelando i loro colori con quelli di altre specie di invertebrati, dove un
ampio ingresso tagliato orizzontalmente lascia passare comunque e sempre un
subacqueo per volta.
Doppiato l’ingresso, posto a pochi metri di profondità, si scende verso il basso
coprendo un lieve dislivello e trovandosi al centro d una stanza quadrangolare,
dove la luce arriva da più lati ma dove in ogni caso solo una torcia può
aiutarci a scovare i misteri del mondo incrostante, quel piccolo mondo fatto di
forme di vita più o meno piccole e sempre cangianti per forma e colore.
Una madrepora risalta tra tutte: la Cladopsammia
rolandi, gialla come la Leptosammia ma coloniale come l’Astroides.
Poco nota e non frequente,
presenta splendidi polipi sfavillanti nel buio se colpiti da luce intensa.
La gente, quando osserva le fotografie subacquee, chiede spesso se i colori che
vede sono naturali e artefatti.
Tanto sono intensi i cromatismi del mare e delle sue creature: intensi al punto
che l’uomo che ignora stenta a credere che si tratti di realtà.
Il castello delle stelle
esiste davvero e i colori del mare dello stretto non finiranno mai di
sorprendere. Immergersi in queste acque è bello anche in pochi metri, anche solo sotto il
pelo dell’acqua. |