Castore
Una torpediniera in un deserto di
sabbia
Il due giugno del 1943 il
Cacciatorpediniere Italiano Castore, mentre scortava un convoglio di navi da
trasporto dirette da Taranto a Messina, venne affondato durante un combattimento.
La Marina Militare riferisce che fu un sommergibile inglese ad affondare la
nave, mentre altre fonti parlano di una battaglia navale notturna con altri
caccia, il Britannico HMS Jarvis ed il Greco
Vassilissa Olga; comunque sia andata, certo è che
la nave fu colpita nella parte centrale e affondò rapidamente nelle acque
antistanti Palizzi Marina, in prossimità di Capo
Spartivento Calabro (ma non di fronte al capo, come molti riferiscono).
La Marina dichiara inoltre la morte di circa metà dell'equipaggio (sessanta
uomini su centoventi), compreso il capitano della nave. Una vera sciagura
di guerra. La nave era stata costruita nel 1937.
Giacente
su un fondale costituito da un sterminata pianura di sabbia e fango, tra i 27 e
i 29 metri di profondità, il relitto della nave, lunga 81,40 metri, è in
posizione capovolta (la stessa assunta sul fondo dopo l’affondamento),
spezzata in due tronconi principali, con vari pezzi
sparsi sul fondo nei dintorni.
Siamo a circa un miglio dalla costa, di fronte alla punta di Palizzi dove
trovano ricovero i gozzi in legno degli ultimi pescatori attivi in paese.
Il relitto versa oggi in condizioni precarie, sia per lo smantellamento
avvenuto dopo la fine della guerra ad opera di palombari, che hanno effettuato
numerosi recuperi aprendo il ponte con la dinamite, sia per mano di alcuni
subacquei, cacciatori di reperti, che ancora oggi stanno spogliando il relitto
dagli ultimi pezzi rimasti.
I fondali qui sono lenti a guadagnare la profondità, e il litorale è
caratterizzato da pietraie notevoli, con splendidi ciottoli anche molto grandi e
rotondeggianti, sia emersi che sommersi. Alle pietre si alterna una vasta
prateria di posidonia. Ma la sabbia, a pochi metri dalla battigia, prende il
sopravvento e domina incontrastata man mano che ci si sposta verso il mare
aperto. E' su questo deserto di sabbia che è necessario
conoscere bene il punto preciso per immergersi sulla verticale di questo bel
relitto; il luogo è oggi reperibile facilmente da chi possiede coordinate e gps,
ma un tempo lo frequentavo solo grazie alla
disponibilità di uno dei pescatori del luogo, chiamato Siso, che con il suo
gozzo e tanta passione, ci accompagnava a visitare il Castore senza voler nulla
in cambio.
Quando ci si immerge sul relitto del Castore non
ci sono mai grandi problemi: la profondità è infatti modesta, la corrente non
particolarmente pericolosa poiché occasionale e forte solo in superficie e nei
primissimi metri di profondità, e la visibilità è quasi sempre discreta, anche
se difficilmente ottimale a causa dell’ambiente di sabbia e fango circostante.
Tuttavia questo potrebbe essere il punto di vista di un sub esperto: la
corrente di superficie, quando si scende in acqua da un natante e in fase di
decompressione, potrebbe infatti essere causa di stress e ansia per coloro che
non sono abituati a tollerare tali situazioni. Come anche l’immersione nel
blu, nonostante l’esigua profondità, potrebbe essere mal affrontata in caso di
scarsa visibilità.
Ma con un barcaiolo come Siso, sempre vigile e che non ci faceva immergere se
l’ancoraggio non era più che sicuro e il mare calmo o quasi, tutto è andato
sempre a meraviglia.
Quando scendi su questo
relitto i colori sono sempre smorzati: tutto è grigio e celeste.
La sagoma dello scafo si materializza presto, appena inizi la discesa; a volte,
quando l’acqua è limpida (nel periodo estivo), vedi la sagoma longilinea del
caccia già dalla superficie o quasi. Poi decidi se iniziare il giro subacqueo da
prua o da poppa. Se dirigi a poppa, una volta sul fondo vedi subito l’unica
elica rimasta (delle due in dotazione al caccia) e la pala del timone; il
troncone di poppa appare lievemente inclinato su un fianco e non presenta
particolari aperture per l’accesso verso l’interno.
Tuttavia è possibile visionare una fiancata, notevolmente danneggiata e rifugio
per tutta una serie di pesci stanziali e di passaggio. Si tratta del fianco
opposto al lato dell’inclinazione, più alto e facilmente perlustrabile. Alla
vista del subacqueo, cerniotte brune scappano tra le lamiere dove trovano sicura
dimora, mentre qualche cernia bianca è più curiosa e aspetta qualche istante in
più prima di ripararsi sotto qualche squarcio dello scafo.
Le cernie bianche, abituali qui a Palizzi
perché amanti di questo tipo di sedimento fine e spesso concentrate intorno al
relitto del caccia, si intanano in modo maldestro, senza le dovute
precauzioni adottate dalla cugina cernia bruna. Ciò le rende più vulnerabili e
facile preda di coloro che pescano in apnea (vista la profondità) o ancora oggi
con le bombole in spalla, in barba ai divieti e ai controlli, da queste parti
spesso carenti.
Con un pò di fortuna ci si può soffermare a
osservare, quindi, qualche simpatica cernia bianca
che si fa tranquillamente illuminare nel suo buio ma facile antro, dove sicura
di sé quasi non si muove. Anche se c’è da dire che anche questa specie, ogni
tanto, tende a scegliere caverne impossibili e inaccessibili, riuscendo a vivere
certamente più a lungo.
Nei dintorni, occhi puntati addosso dai serranidi più piccoli e curiosi:
perchie e sciarrani,
come sbalorditi dalla presenza dell’intruso o abituati ai subacquei e in posa
per i convenevoli, son sempre una costante!
Baffute triglie, adagiate sulla sabbia tutt’intorno,
riposano tranquille o smuovono i sedimenti coi grandi e candidi barbigli,
sollevando cortine di sabbia e formando caratteristiche nuvolette evanescenti. A
volte vedi tante di quelle triglie, grandi e piccole, che ti domandi se son lì
per non incappare tra le maglie di quelli reti che in questo caso non possono
essere calate per via del relitto, sul quale, inesorabilmente, si
impiglierebbero.
Di lembi di rete, d’ogni tipo, ce ne sono in ogni caso tanti, penzolanti e
devastanti, ma fortunatamente coperti, col tempo, da alghe e incrostazioni che
gli impediscono di continuare a pescare. Ma le reti sono parte integrante del
paesaggio tipico del relitto sommerso, volente o nolente. A volte diventano
come la tenda di un teatro, sempre chiusa però per nascondere alla vista ciò che
vive al di là, dentro le camere buie del relitto, ove regna l’ignoto e dove è
sconsigliabile accedere.
Spostandoci verso il centro
del caccia,
dove l’esplosione ha creato lo sconquasso, numerose munizioni sono ancora
accatastate e in bella vista, coperte di un fine sedimento che si solleva al
primo irrompere di una pinna maldestra o al passaggio di un pesce di mole che
fugge veloce e impaurito. Siamo tra i 24 e i 25 metri di profondità.
L’accumulo e il disordine dei pezzi sparpagliati sul fondale crea le quinte per
foto d’effetto o foto documento, ma son sempre pesci, molluschi e crostacei i
veri protagonisti. Qui vivono grossi polpi, alcuni
tipi di granchi e molti
paguri. Di tanto in tanto fa la sua comparsa il
pesce balestra, chiamato "pisci porcu”
in gergo calabrese per via del grugnito che emette una volta pescato e tirato
fuor d’acqua (i calabresi mangiano il balestra, sostenendo che sia prelibato e
migliore di un sarago). Quando, avvolto dall’atmosfera magica del relitto,
incontri un balestra, non puoi restare indifferente al suo fascino. Può anche
capitare di imbattersi in greggi di piccoli balestra, anche se trattasi
di evento raro e stagionale, ma l’esperienza è molto interessante e
difficile da dimenticare per la scena che ti si presenta davanti agli occhi
quando i balestra nuotano frenetici e in direzioni diverse, tutti insieme,
appassionatamente.
Distratto da tutte queste forme di vita invisibile, il cui colore si apprezza
solo con una buona torcia, non puoi dimenticare la nave e il suo momento più
triste: i pezzi residui dell’esplosione che ha seguito il colpo, adagiati sul
fondo davanti ai tuoi occhi, ne sono ancora una testimonianza tangibile e ogni
volta, quando passi di lì, non puoi evitare di ricordare che molte persone sono
morte e che quel luogo è sacro…
Il rispetto per un relitto che
riposa sul fondo e che rivive nel mare diventa ancora maggiore se col naufragio
sono morti degli uomini.
L’immersione cambia così significato continuamente, mentre nuoti sott’acqua e ti
sposti con calma, passando con la mente dal passato al presente, dalla morte
alla vita.
Il troncone di prua non
sembra avere inclinazioni eccessive, anche se comunque un’inclinazione ce l’ha!
Basta
osservare frontalmente lo splendido tagliamare per coglierla in una
visione insolita, perché capovolta, fuor d’acqua, vi assicuro che una nave non è
facile da vedere!
Sulla prua è visibile ancora la stella della Marina Militare, in rilievo,
caratteristica delle navi da guerra.
Sulla paratia di dritta si apre un’ampia falla, dalla quale penzola un lembo di
rete dalla maglia larga, abbondantemente colonizzata (probabile pezzo di rete a
strascico).
Si
tratta di una di quelle “tende” di cui parlavo, a lato della quale c’è un
passaggio libero che consente l’accesso ai locali di prua.
La penetrazione in questi locali non è difficile ma pericolosa per i numerosi
appigli presenti e per il possibile crollo di eventuali parti di strutture, in
linea di massima già precipitate. Guardandosi intorno con attenzione si
comprende che molti degli oblò sono stati asportati, anche se qualcuno, ben
celato, è scampato al prelievo.
Affacciandosi alle fenditure orizzontali, dove lo scafo aderisce non
perfettamente alla sabbia del fondo, una fonte di luce, sempre al nostro seguito
specialmente quando andiamo per relitti, può svelarci ancora la presenza di
cernie bianche, disposte su un fianco, tranquille nel loro angusto rifugio.
Le abitazioni dal “tetto basso”, estese in lunghezza, sono buone tane anche per
gronghi e murene,
anche se quando non sono occupate dalle cernie, solitamente sono abitate da
polpi di grosse dimensioni, che qui si riuniscono
dalla primavera all’estate per riprodursi, depositando le loro uova e
attaccandole al ferro del relitto in appositi cordoni pensili, in punti nascosti
e riparati dove, da brave mamme, le femmine rimarranno a far guardia alla prole
e ad ossigenare le uova.
Il relitto del Castore fa
parte di un gruppo di relitti importanti, affondati nella seconda guerra
mondiale, dello Jonio reggino
(insieme alla bettolina tedesca di Lazzaro, al relitto della Laura C di Saline,
al Marzamemi e Colomba Lo Faro di Melito Porto Salvo, all’Emergellina di Palizzi
Marina, al Carlo Martinolich di Capo Spartivento calabro e al Città di Bergamo
di Brancaleone).
Questa nave, affondata da 64 anni, è tra le più interessanti. Mi preme
sottolineare, ancora una volta, la notevole biodiversità, forse percepibile
meglio di notte; un’immersione, la notturna, da programmare con scrupolo ma che
potrebbe offrire incontri con notevoli esemplari di sparidi (saraghi,
dentici e orate),
fermi sul fondo per il riposo notturno o in caccia tra le lamiere. Emozioni nel
blu, che non si dimenticano! |