Colapisci
L'uomo che diventa pesce per scelta  o  per  necessità
Il tuffatore dello Stretto
 

Francesco Turano ci narra le meraviglie dello stretto


Cernie

 

Ai tempi del liceo si era soliti imbrattare i banchi disegnandoci sopra le cose più strane. La superficie del banco ben si prestava al contatto con le penne a sfera: scriverci sopra era un vero divertimento.
Ricordo il disegno che avevo fatto con la penna nera, curato nel dettaglio: ritraeva proprio una cernia, pesce di cui già all’epoca conoscevo a memoria l’aspetto.  A scuola sognavo, appoggiato coi gomiti al banco, tuffandomi con la fantasia in quei magici istanti di mare che potevo concedermi da studente liceale, fissando la mia cernia disegnata e ritoccandola un po’ tutti i giorni.
Praticando il mare in apnea e raccogliendo gli articoli delle riviste che parlavano di tecniche di pesca subacquea, simultaneamente studiavo su carta e osservavo in natura il comportamento dei serranidi, la famiglia a cui appartengono le cernie, più che altro per sferrare l’insidia più adatta una volta sott’acqua.
Il mio primo approccio con le cernie è legato difatti alla pesca.

La cernia ha subito per anni una pesca eccessiva, senza criteri, ed ha mutato radicalmente le sue abitudini nel tempo. Basta guardare le immagini dei libri degli anni 60 o 70, e vedere che a volte si riusciva a fotografare tranquillamente cacciatore e preda, con la cernia che si lasciava ingenuamente puntare l’arpione in mezzo agli occhi da distanza ravvicinata.
Cose d’altri tempi, si potrebbe dire. Oggi è ancora possibile avvicinarsi alle cernie e persino toccarle in diversi luoghi del Mediterraneo, come accade presso i famosi siti di Lavezzi, in Corsica, e le Isole Medas, in Spagna.
Alcuni dicono che trattasi di situazioni innaturali, vista la confidenza dei pesci con i subacquei. Io sono d’accordo soltanto in parte: non approvo che si dia loro del cibo, pena l’instaurarsi di cattive abitudini alimentari da parte dei pesci e l’assunzione di comportamenti eccessivamente fiduciosi e talvolta aggressivi verso l’uomo.
Ma non concordo col fatto che una cernia che si lascia avvicinare sia innaturale; lo è forse di più quando scappa.
Un tempo, nello stretto, le cernie non fuggivano al cospetto dei sub: pesci di indole curiosa, si lasciavano osservare nella posizione a candela e all’interno delle loro tane, fuggendo con relativa calma ...
I subacquei dello stretto hanno però approfittato di tale situazione e negli anni le cose sono cambiate, tanto che oggi le cernie di questo mare, la cui popolazione si è fortemente ridotta, ha cambiato le sue abitudini e non si lascia guardare facilmente.
Tralasciando le considerazioni personali, frutto di esperienze vissute sulle quali ognuno di noi costruisce le proprie idee, e volendo descrivere questo bel serranide, lo si potrebbe presentare come specie eccezionalmente robusta e possente, con corpo ovale compresso ai lati e testa imponente, quasi un terzo dell’intera corporatura.

La cernia bruna, il cui nome latino è recentemente variato da Epinephelus guaza in Epinephelus marginatus, presenta la mascella inferiore leggermente prominente rispetto a quella superiore; ciò conferisce alla cernia uno sguardo insolito e bonario, rafforzato da labbra carnose e molto evidenti.
Tale caratteristica è comune anche alle altre specie, con alcune sottili differenze. I denti sono lunghi e aguzzi, disposti su entrambe le mascelle a appena visibili a causa delle dimensioni contenute rispetto alla grande bocca.
Il preopercolo ha il margine posteriore dentellato e l'opercolo tre spine corte e robuste. Le squame sono anch’esse piccole e sono presenti anche sul capo.
La pinna dorsale si snoda lungo tutta la schiena ed è divisa in due parti: la parte anteriore è caratterizzata da spine robuste ed acuminate, la posteriore ha invece raggi molli.
Le pinne pettorali sono ampie come anche la caudale, ed hanno margini arrotondati che, negli esemplari adulti, presentano una bordatura bianca (da cui il nome della specie: marginatus).
La pinna anale è poco evidente ed è simile alla seconda parte della pinna dorsale. La cernia bruna, ovviamente, ha una livrea “bruna”, con dorso scuro e fianchi leggermente più chiari; il ventre è arancio o giallastro, come la parte esterna delle labbra. Capo, dorso e fianchi sono marezzati di giallo, di bianco o di arancione, a seconda degli esemplari e dell’età del pesce. Ma la livrea della cernia varia molto in funzione dell’habitat; dotata di eccezionale mimetismo, il suo colore può assumere tonalità verdastre se il fondale ha molte alghe, oppure quasi nere se frequenta grandi antri e zone in penombra o addirittura sfumature di bianco se si trova su fondi sabbiosi o fangosi.

La cernia bruna può raramente superare il metro di lunghezza e a una sessantina di chilogrammi di peso.
Si riproduce in estate, quando abbandona le acque profonde per risalire verso la costa, e a fine stagione è possibile vedere i piccoli in pochissimi metri d’acqua. Prettamente carnivora, si nutre di molluschi, crostacei e pesci.
Il suo boccone prediletto è comunque rappresentato dal polpo, che cerca e cattura con ferocia e accanimento. Individuata la preda, la cernia attacca e a morsicate tenta di strappare uno ad uno i tentacoli, fino a quando il malcapitato polpo non può più aggrapparsi alle rocce e viene inghiottito in un solo boccone. Per catturare i pesci, invece, la cernia usa un sistema abbastanza singolare, ma molto comodo per un pesce pigro e sornione qual è.

Una volta scelto un anfratto, affacciato magari su uno strapiombo frequentato da piccoli pesci di passo, si sofferma e aspetta acquattata nell'ombra. Quando un pesce sprovveduto le passa nelle vicinanze, ignaro del pericolo, spalanca le fauci ed aspira l'acqua come un'idrovora, succhiando letteralmente la preda che non ha scampo.
La Cernia è la regina delle scogliere sommerse, sovrana indiscussa delle ciclopiche franate di massi che si accatastano verso le profondità, scaltra abitante dei meandri più inaccessibili di una parete rocciosa. Vive quasi sempre in prossimità del fondo, tra i dieci e i quattrocento metri di profondità, ovunque ci siano validi nascondigli e una certa tranquillità, cosa che oggi si verifica in luoghi sempre più inaccessibili al subacqueo.
Comune in tutto il Mediterraneo, si trova solo occasionalmente anche in Atlantico orientale.
E’ inoltre un pesce stanziale, che ama cioè frequentare abitualmente gli stessi luoghi; una volta scelta una zona di caccia, vi pone al centro una dimora fissa e non se ne allontana quasi mai.
Anche se la cernia è un animale per lo più solitario, vi sono zone particolarmente tranquille dove è possibile vederne parecchi esemplari riuniti in gruppo. Ciò significa che il luogo è particolarmente ricco di cibo e che i pesci non si infastidiscono tra loro.
Gli incontri che ogni subacqueo ha avuto con le cernie sicuramente non si contano ed ognuno è probabilmente degno di essere raccontato. 

 

Per quel che mi riguarda, avrei bisogno di molto, moltissimo tempo per raccontare o spazio per scrivere, qualora dovessi raccontare di cernie in esperienze vissute. Anche se alcuni momenti ritornano in mente più spesso di altri, sono più impressi e quasi indelebili.
Come la cernia che per sei o sette anni si fece osservare tantissime volte poco sotto “la montagna” di Scilla. Conoscendo “la bestia”, ogni volta che tornavo sul posto mi avvicinavo pian piano e iniziavo l’immersione osservando la cernia da dietro uno scoglio, per quei pochi secondi che mi concedeva mantenendo le distanze. Lei era spesso poggiata sul fondo con la sua gonfia pancia, magari per digerire l’ultimo pasto, e lentamente si girava e si ritirava nel suo maniero di roccia inespugnabile non appena lo riteneva opportuno.
Diversi furono gli incontri ravvicinati e una volta, indimenticabile, mi ci ritrovai per caso faccia a faccia, poco sotto i 50 metri di profondità. Naturalmente non riuscii mai a fotografarla…

 

Ma di cernie, in Mediterraneo, non c’è solo la “bruna”!
Sono ben sei le specie di cernie che si conoscono in questo mare
e negli ultimi tempi sono aumentate per via di nuovi ingressi da Suez e Gibilterra. Limitando la nostra attenzione alle cernie tipiche del Mediterraneo possiamo elencare i diversi membri della famiglia cominciando dalle cernie che si possono osservare sott’acqua con una certa frequenza oltre la cernia bruna; queste sono la cernia dorata (Epinephelus alexandrinus), la cernia bianca (Epinephelus aeneus) e la cernia rossa (Mycteroperca rubra).
Più rari gli incontri con la cernia di fondale (Polyprion americanum) e la cernia nera (Epinephelus caninus), pesci che il subacqueo può incontrare quasi esclusivamente nelle forme giovanili.
I giovani della cernia di fondale frequentano le zone d’ombra sotto gli oggetti galleggianti in mare aperto mentre i giovani di cernia nera si possono trovare all’interno di relitti o in anfratti comunque profondi e ambienti poco luminosi.

 

La cernia dorata e la rossa sono le cernie più snelle e dal comportamento particolare. La prima ama l’acqua libera ma si muove sempre in prossimità del fondo, usando come rifugio tane sovente provvisorie.
La seconda preferisce nuotare come fosse un pesce pelagico, in gruppi di diversi individui. La cernia bianca ama vivere invece ai margini delle scogliere, al confine tra roccia e sabbia; qui di solito riposa con la pancia sul fondo, pronta ad intanarsi al minimo segnale di pericolo.
Ma la tana della cernia bianca è sovente una tana banale, che facilmente ci consentirà di osservarla da molto vicino, a meno che il pesce non abbia a disposizione una franata con dedali e labirinti o il relitto di una nave.
Azzarderei persino a definire questa specie come “cernia dei relitti”, forse perché molto spesso la trovo nei relitti affondati su fondali sabbiosi o fangosi, all’ombra di tettoie di ferro contorte o infilate negli angoli più angusti.
Ma anche la cernia rossa e la cernia bruna prediligono i relitti, per non parlare dei giovani di cernia nera, che ho incontrato, anche se raramente, proprio nelle zone più buie all’interno di queste intriganti strutture di ferro che riposano in mare.
A tal proposito, è facile concludere che le cernie si trovano un po’ ovunque, purchè ci siano validi rifugi e qualcosa di interessante da mangiare.
L’esperienza insegna e solo immergendosi di continuo si riescono a capire le abitudini di questi pesci giganti, drasticamente cambiate nel tempo ma anche diverse in funzione dei luoghi.


 

 

Francesco Turano

 

 

 

 

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