Tra i rottami del “Città di
Bergamo”
labirinto di ferro
Fondale di sabbia bianca o grigia,
lamiere colonizzate da un fitto mantello di alghe, pesci grigi come la sabbia,
ben mimetizzati: questo il quadro di un relitto che solo con una buona dose di
fantasia e immaginazione si può ricostruire nella sua forma originaria,
considerate le condizioni attuali date da “ferri” diversi, sparpagliati sul
fondo un po’ come pezzi di un puzzle rovesciati su un piano a casaccio…
La caldaia è uno dei principali riferimenti, anche
perché nelle giornate migliori, vista la scarsa profondità, è l’unica cosa che
si riesce a intravedere dalla superficie.
L’immersione è facile, divertente e
consente di fare incontri interessanti, specie di notte.
Era il 14 marzo del 1943,
ore 12.08, quando la nave da carico, in navigazione da Crotone verso Messina,
viene silurata dal sommergibile britannico Unbending, nelle acque antistanti
Capo Spartivento Calabro a circa tre miglia dalla
costa.
Costruita nel 1914 dall’armatore G.Angeloni in Gran Bretagna e varata come
Imber, il piroscafo da carico “Città
di Bergamo”, con le sue due grandi caldaie a carbone, finiva di
navigare mentre veniva trasportato verso costa prima dell’affondamento, avvenuto
nei pressi di Brancaleone, poco a nord del luogo
dove era stato silurato. Il relitto della nave, lunga in origine 94,63 metri,
giace da allora su un fondo sabbioso, dove per la scarsa profondità è stato più
volte oggetto di recuperi e smantellamenti.
Ma gettiamo l’ancora tra le intricate
lamiere e tuffiamoci alla scoperta della vita in questo labirinto di ferro,
dove pesci e invertebrati sfruttano gli interstizi e le cavità che si sono
create per ripararsi e scampare ai pericoli che il mare deve affrontare tutti i
giorni, quando l’uomo penetra nell’elemento liquido con i suoi attrezzi
micidiali o, indirettamente, scarica e inquina rendendo l’acqua … irrespirabile
(per i pesci, intendo…).
Un relitto sconquassato come questo è un
rifugio ideale per la fauna marina, dove le reti da
pesca non possono pescare, dove le lenze si imbrogliano e dove i subacquei che
ancora pescano troveranno filo da torcere. Certo, è così un po’ per tutti i
relitti, ma per quelli in condizioni peggiori la protezione è maggiore.
I pezzi più grandi, riconoscibili, a parte la
grande caldaia, sono diversi: paratie divelte adagiate al fondo, poggiate
su altri pezzi irriconoscibili, creano zone d’ombra sulla sabbia, come
tettoie, dove cernie bianche e altri pesci amano ripararsi; fumaioli
coricati, un albero da carico poggiato al fondo e inclinato, gli ingranagi
dell’albero motore, parte dello scheletro, e pezzi piccoli sparsi tutt’intorno,
offrono rifugio a polpi, labridi, serranidi, murene e gronghi. Si individuano
ancora due tronconi distinti, separati da un breve intervallo di sabbia,
sedimento che ha avvolto molte parti dello scafo ormai sprofondato per sempre o
che, periodicamente, tornano alla luce in base al mare e alla potenza delle
onde, che coprono e scoprono parti del relitto periodicamente.
Il ferro è coperto a tappeto da numerose specie
di alghe, che lasciano poco spazio a invertebrati incrostanti tra i quali
abbonda una madrepora “doc” del Mediterraneo, la Cladocora caespitosa, è
molte colonie di piccoli idrozoi che invece, a loro volta, offrono in pasto i
loro piccolissimi polipi a splendidi e comuni molluschi nudibranchi come le
flabelline.
Anche questa volta, come
accade sovente sui relitti dello Jonio calabrese, sono le cernie bianche le
protagoniste indiscusse,
specie in primavera e inizio estate, quando nuovi gruppi di questi pesci si
avvicinano a terra e si impossessano delle cavità disponibili. La cernia bianca
(Epinephelus aeneus) ospite del “Città di Bergamo” si lascia osservare
più o meno bene secondo il tipo di anfratto scelto a dimora. Quando ci si tuffa
in acqua dal natante, vista la modesta profondità, già l’impatto del nostro
corpo con l’acqua può causare un primo inizio di fuga dei pesci verso i meandri
del labirinto di ferro. Starà a noi decidere se essere cauti sin dall’inizio per
avere maggiori possibilità di incontri, anche in acqua libera. Incontrare una
cernia bianca a candela o in prossimità del fondo è esperienza da segnalare:
solo così è possibile apprezzarne l’elegante livrea grigio-azzurra, cangiante
secondo lo stato emotivo quasi come quella di un polpo.
Larghe bande verticali e
diagonali scorrono sui fianchi di questi pesci più snelli delle goffe cernie
brune, a volte tranquilli di fronte al sub attento che si è fermato a osservarle
a distanza ragionevole;
ogni nostro movimento può causare lo scatto fulmineo della cernia, che cambia
colore assumendo un carico grigio plumbeo battendo in ritirata verso il suo
angolo di relitto in affitto.
Non capita spesso, a meno che
non ci si immerga di notte, di osservare i disegni tipici di questa insolita
livrea, simile a quelle di alcune cernie tropicali; e ancora, come le cernie
dei tropici, questa specie dimora all’ombra delle tettoie di ferro come fossero
acropore di mari del sud, somigliando quindi alle cugine dei mari caldi anche
negli atteggiamenti.
Che magiche visioni, mai concesse a gruppi di sub gestiti
dai diving ma solo a pochi e scrupolosi osservatori subacquei, silenziosi e
rispettosi di un mare particolare, ricco di una vita che spesso non si vede…
E il relitto di questa nave
d’altri tempi custodisce con cura una biodiversità ancora discreta.
Perchie e sciarrani son sempre attivi in ogni dove, triglie d’ogni taglia
smuovono il fondo nelle radure sabbiose tra un “quartiere” e l’altro del
relitto, scorfanetti si nascondono tra le alghe brune e gli occhi sorpresi di
giovani polpi si sollevano dal fondo per vedere cosa accade.
La cernia bruna, nei primi
anni di vita, ama anch’essa questo sito: non è raro imbattersi in giovani
esemplari con la classica livrea maculata: simpatica come sempre, la cernia ti
osserva a candela in atteggiamento ambiguo, pronta alla fuga repentina. Le pinna
pettorali si muovono avanti e indietro alternandosi, aiutando il movimento a
ritroso. Poi, di colpo, la giravolta su un fianco, e la ritirata in tana. Che
bello! L’avrò visto mille volte, ma è sempre bello il momento in cui una cernia
ti lascia così! Specie se tutto ciò accade nella cornice di un relitto che, per
quanto ammasso di lamiere, sempre relitto è; e, come tale, ambiente sommerso
importante e densamente popolato.
In una sola immersione si
può vedere tutto il relitto:
è difficile infatti superare i 15 metri di profondità. Restando praticamente in
curva di sicurezza, con molta calma si avrà modo si muoversi un po’ ovunque,
dedicandosi alla fotografia naturalistica più o meno ravvicinata, alla foto
storico documentaristica di ciò che resta di un vecchio naufragio o
semplicemente alla contemplazione, vissuta intensamente, che ogni sub che si
rispetti deve in un certo modo vivere sempre, ammirando quanto lo circonda e
ricordandosi di essere uno dei pochi fortunati a vedere alcune aspetti di un
mare sconosciuto (spesso lo dimentichiamo…).
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