Il corallo
nero di Scilla
Questa la notizia diffusa
dalla stampa e apparsa sui tg nazionali:
Trovata la più grande foresta di corallo nero del mondo -
19 marzo 2009
Trentamila colonie adagiate tra i 50 e i 110 metri di profondità sui fondali
rocciosi della mitica Scilla: è nel mare di Calabria che si staglia la più
grande foresta di corallo nero del mondo.
Apre scenari del tutto inediti la
scoperta fatta dagli studiosi marini dell'Istituto superiore per la protezione e
la ricerca ambientale Ispra (ex Icram) impegnati in un progetto di monitoraggio
della biodiversità marina in Calabria.
A documentare la presenza della foresta di corallo nero (che di nero, però, ha
solo lo scheletro) più estesa del mondo è stato "Rov", un robot sottomarino
utilizzato per le analisi e per osservare, filmare e fotografare.
"Rov", comandato dalla superficie, si è immerso con il suo occhio elettronico
nei fondali del Tirreno calabrese per catturare e restituire immagini mozzafiato
di specie di coralli, gorgonie, alcionari, pennatulacei e pesci rarissimi, molti
dei quali mai osservati nel loro ambiente naturale.
Equipaggiato anche per acquisire campioni fino a 400 metri di profondità, il
robot subacqueo, che è in grado di comunicare in ogni istante la propria
posizione all'operatore, è stato utilizzato dagli studiosi nell'ambito di del
progetto partito nel 2005 e finanziato dall'Assessorato all'Ambiente della
Regione Calabria. Un lavoro che proseguirà fino a tutto il 2010 e dai risultati
del quale gli esperti dell'Ispra si attendono di individuare, sui fondali
calabresi, numerose altre specie rare, anche di invertebrati marini.
Ma
in Calabria non è solo il mare di Scilla a riservare sorprese agli scienziati
marini che parlano di "rara ricchezza da salvaguardare".
Nel Golfo di Lamezia, zona ritenuta di grande interesse sia dal punto di vista
fisico che da quello biologico, sono state osservate, a circa 150 metri di
profondità, per la prima volta nel loro ambiente naturale, cinque altre colonie
di un'altra specie di corallo nero, il rarissimo "Antipathes dicotoma".
Risultato non da poco se si pensa che, a livello mondiale, sono stati raccolti e
studiati solo cinque esemplari di questo coralligeno, l'ultimo dei quali,
individuato nel 1946 nel Golfo di Napoli, venne donato al Museo dell'Università
di Harvard.
"Comprendere
il funzionamento dell'ecosistema marino, la sua risposta ai cambiamenti naturali
e a quelli indotti dalle attività umane - afferma l'assessore
all'Ambiente della Regione Calabria, Silvio Greco, già ricercatore e commissario
straordinario dell'Icram - è di importanza centrale per
una corretta gestione di questo complesso territorio".
I fondali marini rocciosi, che si trovano a profondità comprese tra i 50 e i 450
metri, rappresentano, per gli studiosi di biologia marina, delle vere e proprie
miniere in materia di biologia e ecologia.
"Le analisi genetiche e istologiche che i ricercatori
del Dipartimento di Scienze del mare dell' Università Politecnica delle Marche
stanno eseguendo sui frammenti dei coralli raccolti
- spiega
Simonepietro Canese, responsabile del progetto
- stanno aprendo numerosi interrogativi su queste
specie rare e protette, per la prima volta osservate e studiate nel loro
ambiente naturale".
Il corallo nero,
Antipathes subpinnata, appartiene alla classe dei coralli, o Antozoi, che
consistono di piccoli 'polipi', grandi qualche millimetro, radunati in colonie
di individui simili che, producendo carbonato di calcio, formano lo scheletro
che li fa somigliare ad un albero. Il più conosciuto è il corallo rosso, ma
esistono anche le specie gialla e bianca.
I polipi del corallo nero hanno sei
tentacoli piuttosto piccoli, al contrario del corallo rosso in cui si contano
otto tentacoli.
L’ex
Icram, oggi Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale, afferma di aver scoperto – e pubblica la notizia sui quotidiani
come fosse uno scoop - la più grande colonia di corallo nero al mondo; nel mare
di Scilla, tra i 50 e i 110 m di profondità.
Ma tra alcuni subacquei, pochi purtroppo, è noto da tempo che su quei fondali
rocciosi, i cui sommi (secche) sfiorano appena i cinquanta metri di profondità,
vivono grandi colonie di Antipates subpinnata, il
corallo nero del
Mediterraneo.
Su quelle secche, fatte di alte e imponenti guglie di roccia, ci
siamo immersi in tanti (personalmente conosco quei rami da quasi vent’anni).
Sono dette “Secche dei Francesci” e si snodano a grandi profondità, subito a
nord del promontorio di Scilla, confine settentrionale dello
Stretto di Messina.
Qui il corallo nero ricopre a tappeto vaste superfici di substrato roccioso che
è possibile osservare in immersione dai 58 metri di profondità in poi.
Che dire: ancora una volta si scopre quel che si era già scoperto, ma che si era
poi dimenticato, non si sa come.
L’Ispra si sbilancia affermando tra l’altro di aver scoperto la più grande
colonia al mondo di questa specie.
Su
questo punto, da professionista del mare e fotografo subacqueo esperto di
biologia marina pratica (non solo libri), assiduo frequentatore dei fondali
dello Stretto da 25 anni (vedi
www.sublandia.it) inviterei a riflettere sul fatto che,
probabilmente, si può parlare forse di alta concentrazione di ramificazioni,
addossate le une alle altre in modo insolito, caratteristica questa di molti
tipi di celenterati del mare dello Stretto (basta osservare le gorgonie della
specie Paramuricea clavata e notare come la specie, sui fondali di
Scilla, sia distribuita con ramificazioni non molto grandi ma particolarmente
fitte, con alta concentrazione di ramificazioni per metro quadro di substrato),
ma da qui a dire che si tratta della colonia più grande al mondo forse il passo
è azzardato, anche se nulla toglie che potrebbe anche essere vero; e poi
comunque una simile affermazione fa notizia e poiché sono in pochi a poter
smentire (pochissimi, visto che anche tra i subacquei sono veramente pochi
quelli che conoscono il posto) lo scoop torna utile per giustificare l’ennesimo
finanziamento di una campagna oceanografica che non sappiamo quali risultati
possa portare.
Il dubbio nasce spontaneo avendo osservato molti fondali del Mediterraneo e
avendo trovato altri ambienti profondi colonizzati da questa specie, molti in
Sicilia, soprattutto in provincia di Trapani e sui fondali di qualche isola.
Comunque sia, ben venga un progetto sulla biodiversità marina dei fondali
calabresi, condotto con l’aiuto di strumenti come il Rov che si immerge alla
scoperta della vita, ma ricordiamoci sempre che il più alto numero di specie
viventi si concentra nella fascia compresa tra la superficie e i 60 m di
profondità e che invece di fare l’ennesimo inutile e dispendioso censimento di
specie (tra le altre cose di profondità), sarebbe il caso di monitorare le fasce
meno profonde, per capire quali sono i fattori che incidono sul progressivo
regredire della biodiversità lungo i fondali costieri (vedi i numerosissimi
scarichi abusivi, la speculazione edilizia e tutta una serie di altre
problematiche che non è il caso analizzare nel dettaglio per non perdersi…);
quei fondali dove inquinamento e pesca incidono giornalmente senza alcuna
vigilanza, quei fondali dove la biodiversità dello Stretto e della Calabria
tutta, con le sue peculiarità, dovrebbe essere oggetto di indagini serie e
tutelata come si deve, poiché, quando parliamo di Stretto, parliamo di luogo
unico al mondo (e questo è detto con cognizione di causa); un luogo unico in
Mediterraneo, ma totalmente trascurato.
Un’area che meriterebbe a pieno titolo
di diventare, a zone, Parco Marino e insieme
Patrimonio dell’Umanità, proprio
per la biodiversità eccezionale.
Una biodiversità che va certamente studiata e
monitorata, ma che va prima di tutto protetta e conservata; per non lasciare ai
posteri solo scartoffie di progetti, che conserveranno soltanto il ricordo del
mare dello Stretto. Perché tutti gli studi fatti finora da campagne
oceanografiche d’ogni tipo non hanno portato ancora in luce i problemi reali del
mare calabrese e le sofferenze della flora e della fauna, che i subacquei di una
certa esperienza seguono costantemente gridando aiuto a una politica sorda e
cieca?
Tornando al corallo nero,
le fotografie di questo articolo dimostrano che ci siamo immersi sulla secca e
abbiamo già documentato l’abbondante presenza di questa specie, senza però mai
sbandierare la notizia della sensazionale scoperta, ritenendola cosa del tutto
normale in un mare come questo.
Piuttosto c’è dell’altro, da anni sotto gli
occhi di tutti, che non è neanche preso in considerazione nonostante l’unicità,
la particolarità, l’eccezionalità.
Come dai 60 ai 100 metri abbonda il corallo
nero, dai 35 ai 65 metri, sempre nel mare di Scilla, abbonda la gorgonia
Paramuricea clavata.
Non è forse interessante e degno di nota il fatto che
l’abbondanza di questo celenterato, parente del corallo nero, è straordinaria e
unica in Mediterraneo in quanto a concentrazione di individui per metro quadro e
che le gorgonie di questo mare siano insolitamente di un colore diverso rispetto
al resto del Mediterraneo?
Quando anni or sono Paolo Barone appoggiò l’unico
studio su queste gorgonie mai realizzato, condotto nel mare di Scilla, nessuno
ebbe orecchie per ascoltare.
Tutto ciò, evidente da molti anni, è stato sempre
ignorato e si è continuato a ignorare le peculiarità dello Stretto e la sua biodiversità anche di fronte e simili evidenze, più volte documentate sul web e
sulle riviste dai fotosub di tutta l’Italia.
Nulla si è fatto per far conoscere
e conservare la foresta di gorgonie mediterranee probabilmente più bella del
mondo, nulla si è fatto per tutelare un ambiente incredibilmente ricco e vitale.
Ma trovandomi a parlare di corallo nero e poiché sicuramente il lato positivo
della faccenda è che in un modo o nell’altro viene alla luce una questione
importante, ovvero la segnalazione delle meraviglie viventi nel mare dello
Stretto di Messina, mi tuffo nell’argomento spiegando in poche parole di che
animale stiamo parlando.
Il nome comune del corallo nero è Antipatario del
Mediterraneo mentre il nome scientifico, lo abbiamo già visto, è
Antipathes
subpinnata.
Appartiene all'ordine degli Antipatari e i suoi polipi, cioè le
unità viventi che formano poi nell’insieme una colonia, hanno
6 tentacoli corti,
non pinnati, il che classifica questo celenterato come
esacorallo.
Sott’acqua,
nel suo ambiente, si presenta con rami simili a folti ciuffi bianchi, con
sfumature cineree, fortemente ramificati.
Si trova sempre sotto i 50/60 metri di
profondità e l’incontro per il subacqueo è difficile e occasionale.
Oggi la
specie è considerata protetta, in funzione della sua delicatezza e della sua
sensibilità ai mutamenti ambientali.
Ho visto rami di
antipatari sui fondali di Stromboli, alla base della famosa sciara del fuoco
sommersa e sulle pareti della dorsale della sciara, dove pochi sub son passati a
dare un’occhiata reale.
Le pareti della dorsale della sciara iniziano a
precipitare nell’abisso a circa 60 m di profondità e li, dove per te c’è un
confine netto, inizia un nuovo mondo, dove regna l’oscurità e la penombra, e
spicca il chiarore dei rami degli antipatari.
Qualcuno ha visto un ramo di antipatario presso l’isola della Formica (vedi
www.mondomarino.net), qualche
altro ha recentemente segnalato la presenza di colonie fitte di antipatari in
adriatico, alle Isole Tremiti (la segnalazione è del mio fraterno amico
Paolo
Fossati, vedi
www.ecomatrix.it) e io
stesso posso dire di aver visto personalmente delle belle e fitte colonie con
ramificazioni gigantesche sulla secca di Atlantide, al largo di
Favignana,
nonché nel mare di San Vito Lo Capo, fuori la vecchia
Tonnara del Secco, a
partire dai 65 metri di profondità.
Quindi specie rara, ma non rarissima, con
diverse altre segnalazioni per l’Adriatico. Comunque sia, la colonia di Scilla è
certamente una colonia importante.
Augurandoci che la segnalazione dell’Ispra
possa portare a un qualche risultato concreto, tipo convogliare l’attenzione sul
patrimonio immenso e sulla diversità biologica del mare di Scilla e dintorni, ci
auguriamo ancora una volta che l’unico a beneficiare di tutto ciò sia alla fine
il nostro povero mare, che deve assistere inerme a ciò che l’uomo continua
indisturbato a “fare” nei suoi confronti.
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