Un
incontro fuori dal comune
Il corallo giallo
Versante meridionale dello
Stretto di Messina, fondali sabbiosi di Pellaro,
54 metri di profondità: è questo il riferimento dell’immersione di oggi, un
riferimento preciso che il mio amico Filippo mi consiglia in seguito ad una sua
recente scoperta avvenuta per caso.
La
baia di Pellaro da lui frequentata abitualmente, sia come base per i corsi sub
sia come punto di immersione per gli appassionati che vogliono scoprire i
segreti di un mare incredibile (e che son capaci di apprezzare fondali fangosi e
apparentemente monotoni e insignificanti), è un’insenatura oggi antropizzata e
stravolta dal cemento ma ancora, nonostante tutto, a misura d’uomo e,
soprattutto, caratterizzata da fondali particolarmente interessanti per la
presenza di strani invertebrati e nuvole di pesci trombetta.
Recentemente il buon
Filippo Mallamaci, durante una delle sue
immersioni, ha fatto una scoperta molto importante, oserei dire
eccezionale.
Davanti ai suoi occhi, a 55 metri di profondità, una gigantesca
madrepora color
salmone, con incredibili polipi candidi, si è materializzata offrendo ancora una
volta uno spettacolo fuori dal comune, uno degli spettacoli singolari che lo
Stretto puà offrire ai suoi abituali frequentatori.
Il celenterato in questione, che pochi sub in Mediterraneo hanno il privilegio
di osservare, è la Dendrophyllia ramea.
Una
madrepora a dir poco bellissima, che mai
avrei pensato di poter osservare dal vivo sott’acqua.
Per meglio comprendere lo
spettacolo offerto dalla natura a noi fortunati subacquei dello Stretto devo
raccontarvi di questa immersione, davvero unica!
Ma è necessaria una breve parentesi introduttiva.
Pochi giorni fa Filippo,
subacqueo di vecchia data e titolare dell’unico diving di Reggio Calabria nonché
scuola di formazione per istruttori subacquei, passa casualmente dal mio studio,
dove sto ultimando i lavori per aprire al pubblico una struttura di servizi di
vario genere (fotografia, educazione ambientale, turismo naturalistico…).
In
vetrina, non può fare a meno di notare lo stupendo scheletro di una grossa
medrepora: è ciò che i pescatori ogni tanto issano a bordo delle loro barche,
usando le reti, nello specchio di mare antistante la parte più meridonale della
provincia di Siracusa.
Qui non è raro che gli attrezzi strappino al fondale grossi pezzi di
Dendrophyllia ramea,
madrepora mediterranea
il cui scheletro morfologicamente accattivante viene poi venduto ai turisti
o regalato, o che finisce in ristoranti, negozi o edicole votive che sovente si
vedono in molti paesi della Sicilia.
Anch’io ho avuto in regalo alcuni rami di questa rara e antica madrepora e non
ho potuto rinunciare all’esporne un ramo nella mia vetrina, nonostante sia
contrario al prelievo per collezioni o scopi ornamentali.
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Gli
attrezzi da pesca non sono purtroppo selettivi e, dove cresce tale madrepora,
può capitare di tirare in superficie qualche lembo o a volte intere colonie del
cosiddetto corallo giallo o arancione.
Alcuni anni fa, a una sessantina di metri di profondità, avevo anche avuto la
fortuna di imbattermi in una piccola colonia vivente di questa rara
specie, con una trentina di polipi; entusiasta, ero tornato più volte per delle
riprese fotografiche ed ero già molto soddisfatto dello scoop.
Una delle immagini della madrepora dai polipi bianchi è pubblicata sul mio
ultimo libro (“Calabria, Mediterraneo sconosciuto”
– Iiriti editore).
Mi trovavo sempre nel mare dello Stretto, inutile a dirlo, al
confine meridionale, in una località nota come Saline
Joniche.
Avevo portato con me una amico, unico testimone della presenza della madrepora,
che aveva scattato alcune foto poi pubblicate su MondoMarino (Vittorio Durante
www.mondomarino.net)
Ma non ebbi tempo di rendere
partecipi gli amici subacquei che una rete o qualcos’altro aveva asportato il
rametto dallo scoglio, lasciandomi con un palmo di naso.
L’altro giorno invece,
vedendo quel ramo in vetrina, Filippo mi partecipa la sua scoperta e mi invita
ad immergermi per documentare la cosa.
Ulteriore stimolo, comunque non necessario, sono state le sue riprese video:
nell’osservare i candidi polipi e quella struttura color salmone, in netto
contrasto con lo sfondo azzurro del mare profondo, rimango affascinato e a dir
poco incantato da una simile meraviglia della natura.
Questa volta si tratta
però di una grande colonia, in perfetta posizione su uno scoglio isolato, un
sogno per qualsiasi subacqueo naturalista appassionato di fotografia, video o
semplicemente rapito dalla vita nel mare.
Cercando di capire qualcosa di
più su questa specie, ho trovato un articolo interessante di un fotosub spagnolo
che mi ha illuminato la strada da seguire nelle mie ricerche.
Manuel Gosàlvez,
con le sue brevi ma efficaci considerazioni, mi lascia intuire che
Dendrophyllia
ramea non è poi così facile da reperire in Mediterraneo e tra i pochi posti dove
la si può fotografare a profondità accessibili a un subacqueo sportivo è
certamente da menzionare Almunecar, lungo le coste della Spagna meridionale,
vicino Granada.
Nonostante la letteratura
indichi la sua diffusione per l'intero Mediterraneo occidentale e per
l’Atlantico, tra il Portogallo e la parte orientale del golfo di Guinea, solo in
alcuni luoghi questa madrepora è sufficientemente abbondante al punto da poter
essere considerata quale specie fotografabile in immersione.
Considerando che è
piuttosto raro incontrarla a profondità inferiori ai 30 o 35 metri, salvo casi
di zone in cui risulta particolarmente frequente, è evidente che le fotografie
subacquee di Dendrophyllia ramea sono davvero poche e pochi sono i fortunati che
l’hanno vista e o fotografata viva sott’acqua.
Ma ritorniamo allo Stretto di
Messina, dove nasce una nuova segnalazione e dove la specie non è frequente né
abbondante.
Ed eccoci di fronte al mare, con un gran caldo e poco vento, pronti
ad iniziare l’immersione armati di attrezzatura per riprese video e fotografiche
(personalmente insisto ancora una volta con la pellicola, più che altro per
avere qualche diapositiva da proiettare).
Un cenno di rapida intesa e giù,
verso la meta.
Il fondale fangoso scorre sotto di noi, che navighiamo con decise
pinneggiate verso il nostro obiettivo; l’acqua è gelida subito e la
visibilità è discreta. Sul fondo, strada facendo, mi passano sotto gli occhi
tutta una serie di forme viventi: mi sembra quasi di rivedere la sintesi di un
film, quel film che narra la mia vita sott’acqua, con l’accavallarsi di scene
tipo una tracina che si insabbia, un ammasso di
tunicati che filtrano l’acqua
incessantemente, stelle in movimento continuo ma impercettibile, piccoli pesci
di fondo mimetizzati a dovere e poi splendidi spirografi aggrappati alle cime
dei corpi morti usati per l’ormeggio delle imbarcazioni nella baia.
Il fondale sotto di noi ci
presenta un dosso perpendicolare alla linea di costa, sempre più accentuato man
mano che scendiamo; la schiena di sabbia e fango è il risultato dell’azione
delle correnti, che qui scavano senza sosta smuovendo i sedimenti e
creando sinuosità anomale e sempre nuove, pur mantenendo un aspetto dominante in
base ai flussi di corrente con maggior frequenza.
Il dosso è popolato da
numerose specie di invertebrati, alcune visibili altre no. La pendenza non è
eccessiva, come in genere accade sovente nello Stretto, e impieghiamo alcuni
minuti prima di riuscire a raggiungere la fascia di fondale che più ci interessa,
tra i 45 e i 55 metri di profondità.
Ma
quando il computer ci indica che abbiamo superato i 40 metri l’acqua si fa più
limpida, il cuore inizia a battere a ritmi più sostenuti e all’orizzonte inizia
a intravedersi il bianco abbagliante dei polipi, aperti e agitati da una lieve
corrente, quei polipi candidi che solo la Dendrophyllia ramea può vantare e
sfoggiare.
L’avvicinamento allo scoglio
con sopra “l’alberello” di corallo è eccitante: eccolo, davanti ai miei occhi,
per la prima volta dopo anni e anni di immersioni, circondato da un insieme di
pesci trombetta e giovani anthias, pesci che insieme mi ricordano che questo è
lo Stretto di Messina e quella che sto vivendo è la sua magia.
Anche sott’acqua
la Fata Morgana non smette di usare la sua magica bacchetta, quella fata che già
in superficie regale emozioni ai pochi fortunati che nelle prima ore dell’alba
hanno avuto la fortuna di assistere a quei fenomeni ottici che ingannano
l’occhio ed esaltano la bellezza di una mare che è già incantevole.
Ma quel che
vedo adesso non è frutto di fenomeni ingannevoli o magici: la magia in questo
caso è data dalla presenza di una simile madrepora!
Che emozione straripante:
scatto alcune fotografie con la cara vecchia velvia, gelosamente custodita dalle
pareti della mia nikonos e sfrutto le indubbie qualità del quindici millimetri,
che mi regaleranno ancora il piacere di avere in archivio delle diapositive.
Il digitale può attendere, rifletto mentre scatto, e mi godo il momento girando
intorno allo scoglio su cui vive la colonia e cercando diversi punti di
osservazione.
I minuti corrono veloci e
Filippo, al mio fianco ma a debita distanza per non disturbare la mia azione,
aspetta il suo turno e poi arriva a riprendere la madrepora e me che fotografo.
Una corrente che cresce d’intensità ci suggerisce di iniziare la lunga risalita
e per adesso abbandoniamo le quinte di un palcoscenico sommerso tra i più belli
e straordinari che il mare dello Stretto mi ha regalato in tutti questi anni.
Durante il tragitto del ritorno penso: che mare, uno scrigno di eccezionalità
che non finisce mai di stupire; un crogiolo di biodiversità sconosciuto,
dove l’ignoranza crea danni enormi e in parte irreparabili, dove ancora oggi non
si riesce a capire il valore della risorsa, l’importanza del mare.
Noi subacquei,
pochi fortunati o sfortunati secondo i punti di vista, osserviamo e documentiamo,
cercando di lanciare disperate grida di aiuto.
Ma siamo arrivati alla prima
tappa per la decompressione e smetto un attimo di navigare con la mente sbandato
tra certi angoscianti pensieri e stanco di contrastare la corrente che spinge
costantemente verso il fondo.
La poesia di questa ennesima
immersione ancora una volta finisce, ma ancora una volta il segno indelebile di
un altro assaggio di straordinaria “natura” ci farà parlare a lungo,
studiare, curiosare e capire.
Non fotografia fine a se stessa ma esaltazione e
interpretazione della bellezza della vita e studio per la conservazione della
stessa.
E così anch’io son riuscito a
fotografare una grande e bella colonia di una rara e bella madrepora; tornerò
ancora a fotografarla, non so cosa riuscirò a fare, ma è lo stimolo per
continuare a osservare ed amare il mio mare. |