La danza
delle polpesse
Octopus
macropus è
il nome scientifico della polpessa; un
animale bellissimo.
Se
non mi fossi immerso di notte con quella grinta e quella sete di scoperta che,
in alcuni anni della mia vita, mi han fatto raggiungere anche le 250 immersioni
annue, non avrei visto e documentato tutta una serie di animali del mare
straordinari e, a dir poco, pieni di fascino e mistero.
Uno di questi è, a pieno titolo, la polpessa.
Sono costretto a dire, per
l’inganno in cui può trarre il nome volgare, che non si tratta della femmina del
polpo, ma di una specie a se stante, totalmente diversa dal polpo comune per
aspetto e abitudini.
Schiva, assente quasi completamente di giorno, notturna più di un pipistrello,
la polpessa ha una forma fiabesca, una livrea atipica e abitudini stranissime.
Maestra nell’arte di camuffarsi, sfrutta molto il suo mimetismo, basato non
soltanto sui cambiamenti cromatici ma, in questo caso, sui cambiamenti di
aspetto: sembra quasi che questo mollusco voglia imitare le sembianze di altri
animali marini, atteggiamento comunque già noto in alcune specie di polpi.
Una trasformista, quindi, abile come non si potrebbe immaginare: guardare per
credere.
Ed io guardo, finché la Natura me ne da l’opportunità.
E fotografando spero di
partecipare come meglio posso quei magici momenti vissuti sott’acqua, nel buio
assoluto, solo, con davanti una polpessa danzante.
La chiamano interpretazione naturalistica, l’arte di saper vedere e trasmettere
quelle emozioni e quelle sensazioni che la Natura offre a tutti ma che pochi
sanno veramente cogliere.
Ma parlare delle polpesse
danzanti nel buio non è cosa da fare con pochi banali vocaboli.
L’incredibile arte nel muoversi e nell’assumere aspetti continuamente diversi
rende l’incontro con la polpessa un evento che domina un’intera immersione.
Occhi
sporgenti, tentacoli lunghissimi e sottili, colore arancio rossiccio, tendente
al rosso scuro o all’arancio carico in base allo stato emotivo, sono le tinte
frequenti.
Se impaurita, la polpessa sfoggia una violenta serie di macchie bianche che
risaltano davvero tanto sul colore di fondo, generalmente arancione o marrone
rossiccia.
A volte tocco la morbida pelle del mollusco, piena di escrescenze e tubercoli,
per causare una reazione e vedere quelle sporgenze trasformarsi in “pallini
bianchi”, tanto importanti per un fotografo che vuol riprendere il suo
soggetto nel suo aspetto più gaio.
Mi rendo conto che a volte fotografare un animale significa anche disturbarlo,
ma mi consolo pensando che non gli faccio del male e che, tutto sommato, non
sono un predatore pericoloso ma solo un ladro di immagini immerso in un mondo
che non gli appartiene e che forse, proprio per questo, è intrigante come pochi.
La cosa che più mi colpisce e
osservare la polpessa quando fa le imitazioni, figure che
rappresentano sicuramente qualcos’altro esistente in natura per ingannare il
nemico (mimetismo batesiano).
Mi affascina osservarla quando si raggomitola su se stessa arricciando i
tentacoli in modo strano e ripiegando il corpo affusolato a “s” con l’estremità
rivolta in alto.
Che atteggiamenti straordinari. Che spettacolo nel buio e nel silenzio dello
stretto; silenzio profondo, turbato solo dal rumore delle bolle di scarico del
mio autorespiratore o da un improvviso flusso d’acqua in movimento (le mitiche
correnti…).
Infastidita vistosamente
dalla presenza del sub, la polpessa, se può e quando può, cerca un buco per
infilarsi e sparire nel nulla.
Ho assistito incredulo, più di una volta, alla magica sequenza di movimenti
necessari per infilarsi in buchi davvero minuscoli rispetto alle dimensioni del
suo corpo.
Trovato il nascondiglio adatto, la polpessa comincia il suo lavoro per allargare
l’ingresso scavando e gettando fango verso l’esterno con l’aiuto dei sifoni e di
contrazioni ritmiche del mantello; man mano che scava, infila sottoterra i
tentacoli uno alla volta, tirandoli giù lentamente.
Priva di scheletro e col corpo molle ed elastico, questo cefalopode ha la
capacità di lasciarti stupefatto svanendo lentamente nel nulla, sul fondo di
sabbia o fango, tra le pietre o sotto un piccolo scoglio. E non la rivedi più.
La
polpessa sembra sia specie comune nel Mediterraneo, nonostante la rarità
degli incontri. Anche se difficilmente riesce a superare i 2 kg di peso, può
oltrepassare il metro di lunghezza di venti o trenta centimetri, grazie alla
lunghezza dei suoi tentacoli.
A differenza del polpo, non si costruisce un rifugio stabile, ma si adatta a ciò
che trova, magari a quanto realizzato da altri animali e poi abbandonato.
Le carni molli e poco saporite non ne fanno oggetto di pesca così che la
polpessa risente solo ed esclusivamente di una cattura casuale (in genere cade
vittima dello strascico…) o di sprovveduti subacquei che non conoscono ciò che
predano.
Vive sino ad oltre 200 metri di profondità, ma la si trova in poca acqua sui
fondi detritici dello Stretto di Messina, ma anche sui fondi sabbiosi e rocciosi
(purché la si cerchi di notte).
La sua biologia è ancora oggi poco nota, vuoi per lo scarso interesse
gastronomico (ed economico, per cui niente interessi, niente studi e ricerche…),
vuoi per le scarse osservazioni in natura.
Le mie immersioni nello
Stretto di Messina mi hanno aiutato a capire molte cose, a osservare tanti
momenti della vita di questo mollusco, a fotografare la polpessa in oltre 500
modi e situazioni diverse.
A voi le immagini di un mollusco introverso, elegante e affascinante, come
spesso accade quanto si studia il mondo fantastico dei cefalopodi.
La danza delle polpesse
nello stretto di Messina
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