Il doglio, predatore notturno
Dopo anni passati a raccogliere conchiglie dentro
scatole di scarpe, rigorosamente selezionate e con i nomi scritti a bordo
scatola col pennarello nero, iniziai a collezionare gusci di molluschi un po’
più seriamente solo dopo aver trovato la mia prima
Tonna galea, uno dei gasteropodi più grandi e belli del nostro
mare.
Tonna
galea: che nome strano per un
mollusco.
In latino vuol dire “barile” a forma di “elmo o casco”, intendendo per elmo
quello romano in pelle. Conosciuto volgarmente come
doglio, questo mollusco gasteropode ha dimensioni che si aggirano
intorno ai 15-20 cm di diametro ma che non stentano a raggiungere in alcuni casi
i 30 cm.
Ricordo bene che a regalarmi la prima conchiglia di questo tipo fu il mare della
mia città, prevalentemente sabbioso, detritico o fangoso e quindi habitat ideale
per il doglio.
Quando raccolsi il mollusco, durante una delle mie esplorazioni in apnea, ne
rimasi affascinato e lo guardai per ore, cercando di tenerlo in vita il più
possibile in una vasca con acqua di mare.
Poi, dopo la sua inevitabile morte (ero un ragazzo e solo più tardi avrei capito
che le conchiglie non si raccolgono neanche morte…), ne conservai l’involucro,
che ancora oggi custodisco come prezioso ricordo.
All’epoca (ma ancora oggi) ero affascinato
dalle dimensioni e dalla forma insolita del doglio, dal suo aspetto unico
e inconfondibile. Una forma che, anticamente, la rendeva utile come
recipiente per contenere o travasare olio.
Grande e globosa, quasi sferica, presenta un'apertura molto ampia e allungata
verso il basso; la superficie esterna è ricoperta di grossi cordoni a
spirale appiattiti; quel che ne risulta, complessivamente, è una forma
insolita e molto attraente.
Più tardi, da fotografo subacqueo naturalista, la mia
attenzione si spostò anche sul bellissimo mollusco, grande molto di più della
conchiglia stessa e interessantissimo da osservare nel suo ambiente naturale.
Il suo colore è biancastro, screziato di
macchie brune sfrangiate. Col capo ben sviluppato, presenta un piede a forma
di larga suola, fatta per strisciare sul fondo, e un sacco viscerale avvolto a
spirale nella conchiglia. La bocca porta una complessa piastra mascellare cornea
(radula).
Quando mi trovo a perlustrare un fondo sedimentoso e vedo un doglio, o colgo con
la coda dell’occhio solo parte della sua conchiglia, che spunta timidamente
dalla sabbia del fondo, o vedo l’animale completamente allo scoperto (solo di
notte) mentre scivola delicatamente sul fondale
trasportandosi la “casa” dietro e girovagando alla ricerca di prede.
Il doglio è infatti un predatore notturno ed è appunto attivo solo col
buio; di giorno ama restarsene sepolto sotto la sabbia. Dotato di notevoli
capacità, è in grado di secernere acido aspartico e
solforico dalla ghiandola dell'intestino; così facendo disgrega la
conchiglia della preda prescelta e la paralizza, per poi nutrirsene.
Spesso, quando di notte la luce di un faro lo colpisce all’improvviso, il doglio
si sofferma, indugia un po’, e poi inizia a seppellirsi lentamente, sotto gli
occhi attoniti dell’osservatore subacqueo, che assiste così a un’altra rara
scena di vita nel mondo sommerso.
Reperibile su fondi sabbiosi e/o fangosi fino a
circa 120 m di profondità, ha una conchiglia di colore bruno o giallastro,
tendente al nocciola o rosa in casi più rari; i colori del mollusco e della
conchiglia sono quindi perfettamente abbinati e conferiscono all’animale un
aspetto nell’insieme accattivante.
Sempre sulla sabbia, questo mollusco deposita le sue masse ovigere,
davvero straordinarie, costituite da un lungo nastro gelatinoso che
sembra un lavoro ad uncinetto di grande pregio.
Alle uova del doglio è legata anche una parte
della mia storia di fotografo subacqueo naturalista.
Su
un fondale fangoso, poco a sud di Reggio Calabria, una notte diventò magica
grazie ad un incontro inusuale.
Mi trovai di colpo al cospetto di una scena che non identificai subito:
un grosso esemplare di doglio stava deponendo il suo lungo nastro di uova, un
capolavoro della natura costituito da una sorta di “sciarpa” lunga un metro
e larga tra i 20 e i 30 cm. Il nastro, apparentemente ricamato (il ricamo nasce dalla disposizione delle
uova sulla superficie del cordone), si presentava piuttosto ondulato e veniva
lentamente emesso da sotto il piede del grande mollusco; il suo colore, tra il
rosa e il salmone, completava un qualcosa già di per se spaventosamente bello!
Mi fermai e dedicai il rimanente tempo che avevo a disposizione sott’acqua
all’osservazione e alla ripresa fotografica di quell’evento, che non sapevo se
avrei mai più rivisto.
Ero a soli 16 metri di profondità! Alcune di quelle immagini mi portano a
vincere diversi concorsi fotografici, tra cui la sezione “conchiglie” al
festival di Antibes, e una foto finì pure sulla
copertina della rivista “La Conchiglia”.
Non era certo facile assistere ad eventi del genere e tanto meno trovare
foto sull’ovodeposizione del doglio.
Mi sentivo fortunato: ero stato premiato forse per la continua ed estenuante
ricerca condotta con tenacia in Mediterraneo e sovente di notte; comunque ero
felice, e tuttora conservo il ricordo di quella sera.
Ma un bel giorno, anni dopo, mi ritrovai di fronte
la stessa scena, questa volta a cinquanta metri di profondità e di giorno,
dentro una grande grotta buia e con fondo fangoso. Altro incontro, altre foto.
Non credevo ai miei occhi…
.
Sebbene Tonna galea
sia specie comune, tanto che in alcune località la si trova sui banconi
dei mercati ittici (poiché commestibile), non è facile incontrarla sott’acqua,
figuriamoci incontrarla mentre depone le uova.
Lo Stretto di Messina e il suo grande “cilindro” delle sorprese sfornava
ancora stranezze e cose rare altrove |