Gnacchere
Sui fondali dove in genere mi
immergo, e nel mare dello Stretto di Messina
in particolare, ho avuto la fortuna di incontrare molte volte quei grandi
molluschi bivalvi che vanno sotto il nome, generico, di pinne. Si tratta in
realtà di due specie: la Pinna nobilis
(Linnaeus
1758), detta anche Pinna squamifera,
comunemente nota come Gnacchera, Nacchera o Pinna, che è il
più grande
bivalve presente nel
Mar Mediterraneo (visto che può
raggiungere ben un metro di lunghezza), e la sua cugina minore, nota come
Pinna rudis o
Pinna pernula, caratterizzata da
dimensioni più contenute e superficie delle valve con costolature longitudinali
marcate e scaglie particolarmente sporgenti.
Fissate
con la parte appuntita della conchiglia triangolare nella sabbia o tra le rocce,
le pinne si nutrono e respirano pompando l'acqua nella cavità del mantello
tramite un sifone inalante.
La stessa acqua viene successivamente emessa attraverso un sifone
esalante.
La conchiglia della Pinna nobilis, potendo
arrivare al metro di altezza, è sempre stata molto ambita dai collezionisti
(anche per la presenza occasionale di piccole perline irregolari di colore
arancio, di nessun valore commerciale) oltre ad essere stata oggetto di pesca
sia per scopi alimentari che per l’utilizzo del bisso.
Questi fatti la rendono oggi specie protetta
in quanto, oramai, stanno venendo a mancare i presupposti per la sua
sopravvivenza.
La tutela è dichiarata dalla Convenzione
CITES e inserita nella
lista rossa della Direttiva 92/43/CEE (Direttiva
Habitat) dell'Unione
Europea, e la lavorazione del bisso marino è quasi scomparsa.
Le valve, abitualmente
colonizzate da molti altri organismi sessili (alghe, spugne, vermi, idroidi,
antozoi, briozoi, molluschi, tunicati) hanno il margine
posteriore arrotondato e presentano una ventina di coste radiali, più evidenti
in Pinna rudis, con scaglie a forma di
canali.
Il colore della
conchiglia, all’esterno, è generalmente bruno con scaglie più chiare; l'interno
è anch’esso bruno, ma lucente e con la parte anteriore madreperlacea.
Gli esemplari giovani hanno una conchiglia fragile, quasi trasparente, ricoperta
sempre da escrescenze simili a spine.
Curiosamente le pinne
ospitano, all’interno, in un piccolo spazio tra il mollusco e la superficie
interna delle valve stesse, una coppia di gamberetti trasparenti (Pontonia
pinnophylax) o, più raramente, alcuni piccoli granchietti (Pinnotheres
pisum).
Questa è una delle simbiosi meno note, forse, del mondo sommerso, anche perché
difficile da osservare.
Tuttavia, nell’antichità, l’associazione tra questo piccolo crostaceo e la pinna
era conosciuta e descritta, sia da Aristotele che da Plinio, e fu
arricchita di particolari fantastici nei secoli che seguirono.
Ad esempio lo
studioso svedese, allievo di Linneo, Fredrik Hasselquist
(1722-1752), raccontava che il gamberetto ospite, dopo essere uscito
dalla conchiglia per fare la spesa, una volta tornato mandasse addirittura un
grido per farsi aprire l’ingresso.
Personalmente, quando
sott’acqua vedo una bella pinna infissa sul fondo, mi avvicino lentamente e
cerco di affacciarmi silenziosamente, (onde evitare che una vibrazione porti le
due valve semiaperte della pinna a chiudersi repentinamente) per osservare i
gamberetti all’interno.
E nella maggior parte dei casi, mi ritrovo di fronte una scena
interessantissima: i gamberetti sono uno accanto all’altro o uno dietro l’altro,
rivolti verso l’esterno e quindi verso la luce, e sentendosi sicuri si fanno
osservare per alcuni secondi.
Si nota con facilità che il gambero femmina, spesso con le uova sotto l’addome,
è molto più grande del gambero maschio; le dimensioni dei gamberetti si aggirano
comunque intorno ai due-tre centimetri.
Certo non è comodo sbirciare tra le valve di una pinna infissa sul fondo, con la
poca luce disponibile: a volte è necessario usare una torcia e, in alcuni casi,
pare che la pinna non si chiuda con l’effetto della luce.
L’ancoraggio al fondo delle
gnacchere, molto tenace, è dovuto alla produzione di tenaci filamenti, quei
famosi filamenti che costituiscono il bisso
marino utilizzato dall’uomo, in passato e soprattutto in
Sardegna, per la tessitura di
preziosi indumenti dai colori cangianti.
Diffuse
sui fondali sabbiosi, rocciosi e, in preferenza, tre le
praterie di
Posidonia oceanica,
le pinne hanno conchiglia equivalve e cerniera priva di denti.
In genere sono sepolte nel sedimento per uno o due terzi della loro lunghezza,
ma la percentuale di conchiglia nascosta sotto la sabbia è molto variabile ed è
legata alle condizioni e alla morfologia del luogo. La si torva da pochi metri
fino a quasi 50 metri di profondità.
I loro nemici principali sono i granchi e le stelle marine.
Molto importante è la funzione che questo splendido animale svolge nel momento
in cui cessa di vivere, lasciando vuota la sua conchiglia. Innanzitutto, viste
le dimensioni spesso notevoli del bivalve (anche 50-70 cm di lunghezza), ci
troviamo di fronte ad una grandissima superficie, colonizzabile da invertebrati
diversi che, nel mondo sommerso, non cercano altro che questo.
Da qui la possibilità di reperire sulle valve di una pinna vuota, quindi
sulla superficie esterna, poriferi tunicati, anellidi tubicoli ma anche alghe,
in pratica un vero e proprio microcosmo, un insieme di piccoli animali
che, comunque, colonizzano la pinna anche quando è viva, senza arrecarle
disturbo alcuno.
Ma vediamo di scoprire cosa
invece accade all’interno della pinna quando è vuota, quando cioè si creano i
presupposti affinché lo spazio rimasto libero venga occupato da chi del sito
vuol farne una casa.
Dalle osservazioni in
natura, ovviamente documentate fotograficamente, ho potuto assistere alle
situazioni più stravaganti, e proverò a parlarvene. Molte volte, ad esempio, mi
è capitato di vedere simpatici blennidi (le bavose, per intenderci)
che fanno capolino tra le valve delle pinne morte di dimensioni
medio-piccole; questi piccoli pesci cercano come casa gli ambienti più disparati
e una pinna vuota funge perfettamente al caso loro.
Tra i tanti incontri mi è
sembrato particolarmente interessante mostrarvi quello con una coppia di bavose
occhiute (Blennius ocellaris), che aveva deposto le uova sulla superficie
liscia all’interno della conchiglia.
E’ interessante notare come
anche il polpo (Octopus vulgaris) non disdegni la protezione di un
mollusco vacante come la grande pinna, che si presta magnificamente alle sue
esigenze. Il polpo è anche un predatore di “pinne” e, quindi, doppiamente
soddisfatto. In una delle foto si vede un subacqueo mostra al fotografo questa
curiosa situazione, tenendo aperte le valve della pinna con non poco sforzo.
Ecco poi altre due strane ma frequenti situazioni: un vuoto occupato da una
giovane murena e uno occupato da un labride, un piccolo pesce che ama dormire
solitamente poggiato su un fianco e che gradisce il supporto confortevole della
conchiglia per il suo riposo notturno.
Quindi la funzione di una
“pinna” morta come vediamo non è scarsa: ogni cosa in natura è utile anche
dopo la morte ed ha comunque una sua funzione. E il Mediterraneo ci offre tanti
interessanti esempi, sempre sotto gli occhi di quei subacquei attenti e poco
superficiali, quei sub appassionati che scelgono il nostro mare per le loro
immersioni. Peccato che un grande bivalve come la Pinna nobilis sia oggi una
specie minacciata e, fortunatamente, protetta; che la natura provveda contro la
forza devastante dell’azione dell’uomo.
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