Il mare è calmo. L’estate
è appena finita e sulla spiaggia i resti di ombrelloni abbandonati e pezzi di
giochi che sembra abbiano ancora le impronte dei bimbi che li hanno utilizzati
poco tempo fa sanno solo di incuria: sono il segno che ancora una volta genitori
distratti vivono il mare poco e male e lasciano tracce indelebili, insegnando
poco o nulla alle generazioni future.
Il mare si riprende lentamente il suo spazio, fin dove può; non ce la fa infatti
contro plastica ed altri materiali, purtroppo inattaccabili.
Anche i corpi morti e i rispettivi galleggianti sono ancora al loro posto, in
memoria di ormeggi della trascorsa stagione, fermi in attesa della prima
mareggiata che li travolga.
In quest’atmosfera
apparentemente triste se si pensa all’impatto dell’uomo, vedo positivo; vedo il
mare riprendere fiato: l’acqua è calma e pulita, come felice.
Il mare conosce chi non lo aggredisce e mi accoglie mentre mi preparo ad
indossare maschera e pinne per fare una nuotata sotto il pelo dell’acqua e
vedere un po’ come vanno le cose sui fondali dello
Jonio meridionale della mia regione, la
Calabria.
La trasparenza è unica, la temperatura mite al punto da rendere l’acqua
avvolgente e piacevole a quest’ora del pomeriggio.
L’azzurro predomina, in un ambiente fatto prevalentemente di sabbia, e mi sento
invaso da una travolgente sensazione di pace e relax: il mare sa offrire
emozioni stupende. |
Nuoto
lasciando ondulare le pinne con movimenti accennati e un metro alla volta
raggiungo il relitto di un corpo morto in cemento, con relativa catena e
galleggiante.
Due mesi son stati sufficienti a questo insignificante substrato per diventare
oasi di vita: la pietra è ora abitata da un giovane
polpo mentre la cima, che tiene annodata la catena, è supporto per un
grappolo di uova di seppia.
La catena vera e propria è invece colonizzata da diversi
idrozoi, celenterati che con le loro morbide fattezze si spostano
da un lato e dall’altro come piumini in balia d’un soffio di vento a
singhiozzo.
Sotto il galleggiante, invece, sono nate le alghe e, in quella poca ombra,
danzano un gruppetto di giovani carangidi,
allegri e veloci come sempre, affettuosi tanto da saltarti addosso (in realtà
sono mossi da un’irresistibile curiosità).
La vita nel mare, anche in poco spazio, cerca di farcela. |
Una dimensione autunnale
pacata ha già preso il sopravvento e, sotto un vecchio canotto abbandonato, dei
pesci più scuri cercano di rifugiarsi da tutto e da tutti: sono giovani e
bellissimi pesci balestra, sono i piccoli
che da poco hanno iniziato la loro avventura in Mediterraneo, cercando scampo
all’ombra di oggetti galleggianti traspostati da onde e correnti.
La loro livrea è stupenda: i più piccoli sono scurissimi mentre quelli che hanno
il diametro di una moneta da un euro hanno già un fitto reticolo di macchie e
linee azzurre, su tinta di fondo ora marrone scuro ora grigia, secondo lo stato
emotivo.
Che meraviglia osservare i giovani balestra e i giovani carangidi: la loro
ingenuità e la loro ancora scarsa esperienza mi fa pensare al gioco: si, sembra
quasi che, come cuccioli, stiano giocando, completamente ignari del pericolo,
completamente ignari della loro sorte che spesso li rende facili prede.
Ma alcuni di loro ce la faranno e diventeranno adulti.
Mi godo il mare e i suoi
toni di azzurro, a tratti spezzato da grandi meduse dal fascino unico.
In autunno passano le cassiopee, meduse non
urticanti per l’uomo, dai colori sgargianti che variano dall’arancio che sfuma
nel giallo dell’ombrella, al bianco puntinato di viola dei tozzi tentacoli.
Tra questi e l’ombrella, in spazi cavi che ricordano vagamente la struttura di
un cavolfiore, si rifugiano gli stessi carangidi
che avevo visto sotto il galleggiante del corpo morto, ma un po’ più piccoli,
insieme a giovani pesci pilota e a volte
qualche sugarello. |
La
giostra di pesciolini che si muovono sotto la protezione della medusa è una
delle cose che amo di più osservare: mi entusiasma, è coinvolgente, ed è una
scena bella e difficile da fotografare, sempre che si voglia cercare di
documentare l’essenza di una scena ed il suo vero significato, senza limitarsi
soltanto alla pura e semplice documentazione.
Il fondo di sabbia del litorale jonico aumenta il valore delle sfumature
di azzurro del mondo sommerso dell’immediato sottocosta, tinte morbide e
avvolgenti, comunque fredde e fortemente contrastanti con i caldi colori di
queste incantevoli meduse.
L’animo è inebriato: basta poco e talvolta non è neanche necessario immergersi
con le bombole e tuffarsi nel turchino con una scorta d’aria al seguito.
Basta saper guardare e godere del mare, della sua vita, dei suoi cicli; e la
“giostra” delle cassiopee è qualcosa da non perdere, da studiare, da guardare
più volte. Un momento di vita importante per alcuni pesci, che dobbiamo ammirare
per capire che non dobbiamo inquinare, che non dobbiamo continuare a sbagliare.
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Le
pinne ondeggiano lente e continuano a spostarmi da un punto all’altro della
superficie di questo specchio d’acqua che ho scelto di esplorare questa sera.
Gli incontri son tanti, anche se a prima vista potrebbe sembrare di nuotare
in una vuota piscina dal fondo di sabbia.
Tenendo lo sguardo alto, con il collo che duole per la posizione innaturale
necessaria per guardare appena sotto la superficie, vedo lunghe e argentate
aguglie nuotare flessuose; con guizzi molto
rapidi sfilano anche piccoli esemplari di leccia stella,
pesci curiosi per l’incredibile coda a “V” che gli consente movimenti scattanti,
come sovente accade tra i familiari dei carangidi.
Arrivano, ti osservano, virano e scappano; poi tornano, poi scappano di nuovo.
L’importante è non seguirle; se le segui lo sentono, e scompaiono.
La frenesia del nuoto, che contraddistingue questi pesci e li caratterizza sin
dalla tenera età, quando ancora si muovono soltanto tra i tentacoli di una
medusa, è affascinante: è il primo passo verso il nuoto veloce necessario per
frequentare il mare aperto, necessario per sfuggire ai predatori…
La natura, quanto è grande.
Ho goduto abbastanza di questo pomeriggio d’inizio autunno e mi avvio verso riva
sereno.
Un giorno, spero, mostrerò tutto questo a mio figlio.
Intanto, uscito
dall’acqua, tolgo la maschera e le pinne e, con il tutto in mano come un
ragazzino alle sue prime esperienze, mi soffermo un attimo sul bagnasciuga.
Il mare vuol salutarmi e mi offre ancora uno spettacolo: le aguglie, che prima
avevo intravisto, adesso iniziano a saltare fuor d’acqua, a gruppi,
sincronizzate. Ora in un senso ora nell’altro, con intervalli brevi, le aguglie
saltano ancora. Ma d’improvviso capisco il perché: sono inseguite da
lampughe, veloci forse più di loro, lampughe
a caccia, in preda alla frenesia.
Che emozione… Ma ci son pesci ovunque: moltissime
alici fremono sotto la superficie lasciando
il segno evidente della loro presenza, il mare sembra ribollire. Lo sguardo si
muove attento lungo l’immensa distesa celeste illuminata dagli ultimi raggi del
sole, ormai pronto a nascondersi all’orizzonte, dietro il grande vulcano
siciliano.
Le alici saltano insieme, numerose, poi di nuovo le aguglie: la mente prova a
immaginare cosa accade sott’acqua e per una volta mi muovo solo col pensiero,
senza fotocamera.
Non sono solo lampughe a cacciare quei pesci; c’è qualcosa che a sua volta
insegue le lampughe… ma sono delfini!
Mammiferi eleganti, al
tramonto, che cercano cibo e trovano ancora abbondanza, forse, spero…
I delfini: che bello.
Un brivido percorre il mio corpo ma non è solo il fresco della sera: è una
grande emozione, la più grande di tutte.
Qualche lacrima segna il mio volto, non riesco a resistere. |