Il relitto
del Marzamemi, oasi di vita sul fango
Era il
5 marzo del 1941 quando due piroscafi, simili per
forma e dimensione e con lo stesso carico (zolfo), passavano davanti l’abitato
di Melito Porto Salvo, borgo di mare del litorale
ionico in provincia di Reggio Calabria, al confine meridionale dello Stretto di
Messina; in queste acque venivano silurati da un sommergibile britannico, il
Triumph, e affondavano inesorabilmente, una dopo
l’altra, in poco tempo.
In navigazione da Catania verso Crotone, si adagiarono sul fondo di fango e
sabbia a distanze diverse dal litorale sabbioso, proprio di fronte al rione
pescatori del paese.
Secondo le testimonianze
di chi ha assistito all’affondamento fu il Colomba
Lofaro (897 tls) il primo piroscafo ad essere colpito, intorno alle
16.10 di quel fatidico 5 marzo; il celere affondamento causò la morte di tre o
quattro persone, che rimasero intrappolate all’interno della nave, mentre gli
altri raggiunsero a nuoto la riva in poco tempo, grazie alla breve distanza che
da questa li separava.
La nave, costruita nel 1890 e appartenente all’armatore Salvatore
Lofaro, di Torre del Greco, era iscritta la Compartimento Marittimo di Napoli e
si sarebbe poggiata per sempre su un fondale di pietre sparse sul sedimento a
circa 25 metri di profondità.
L’equipaggio
dell’altra nave, sempre secondo le testimonianze raccolte, certo che di lì a
poco il piroscafo avrebbe subito lo stesso destino, si gettò in mare e raggiunse
anch’esso la riva, anche se questa volta da una distanza lievemente maggiore.
Giusto in tempo prima che, alle 16.30, un nuovo siluro colpisse il nuovo
bersaglio, causando anche in questo caso un rapido affondamento che portava in
poco più di un minuto il Marzamemi (958 tls)
su un fondale totalmente fangoso a cinquantina metri di profondità.
La nave era stata costruita nel 1891 e varata come Minna Schuldt; dopo aver
cambiato nome più volte (Margarete Schroder nel 1928, Storm nel 1931 e infine
Marazamemi nel 1934), al momento dell’affondamento era iscritta al
Compartimento Marittimo di Trieste (proprietà A.Patanè & Co.).
Oggi dei due relitti rimane ancora qualcosa, anche se l’unico a
conservare una certa integrità è il Marzamemi, il più grande dei due,
gelosamente custodito dal mare e dalla maggiore profondità.
Del Colomba Lofaro rimangono solo alcuni ammassi di lamiere contorte, quasi un
tutt’uno con le pietre del fondo e oggi rifugio di una ricca fauna stanziale.
Lo sconquassamento del relitto è dovuto soprattutto al fatto che questo
piroscafo, rimasto per lungo tempo semiaffiorante a causa della modesta
profondità, è stato oggetto di ripetute visite da parte di alcuni palombari
dell’epoca (per lo più Ferdinando Todaro, un siciliano trapiantato in Calabria a
Saline Joniche, paese sempre in provincia di Reggio Calabria e poco distante da
Melito, impegnato nel recupero del carico sul relitto della Laura C); questi
erano soliti recuperare il carico e tutto quanto potesse ancora essere utile con
quantità di esplosivo variabili che, di volta in volta, aprivano nuovi squarci
riducendo progressivamente lo scafo ad un ammasso di ferrovecchio.
E così è stato.
Il Marzamemi,
per fortuna, vuoi per la distanza da riva, vuoi per la profondità, è sfuggito a
tali operazioni ed è oggi visitabile in una piacevole immersione profonda tra
i 40 e i 50 metri (visibilità permettendo). Qualche tempo fa, quando decisi
di realizzare il disegno del relitto del Marzamemi, programmai una serie di
immersioni sul sito, scegliendo l’estate e il mare calmo per godere della giusta
visibilità.
Un bravo subacqueo originario del luogo, sommozzatore di professione, mi guidò
sulla verticale del punto d’immersione, non facile da individuare. Grazie a lui
son riuscito a mettere a segno qualche tuffo, con lunghe decompressioni e
immersioni in aria sempre a 50/52 metri.
Chiusa la doverosa
parentesi storica, è mia intenzione cercare di trasmettere quelle emozioni che
si provano quando si perlustra un relitto e si consoce la nuova vita che lo
abita, descrivendo cosa si è creato intorno a ciò che rimane oggi, su un fondale
dove normalmente dovrebbero vivere solamente pesci e invetebrati tipici dei
fondi mobili.
Attualmente lo scafo della motonave è parzialmente insabbiato e sembra che
voglia, col tempo, sprofondare nel fango. In immersione sembra di
vedere tre tronconi distinti: quello di poppa, quello centrale e quello di
prora.
Le stive, più basse, sono già sparite sotto la sabbia e gli alberi sono
precipitati e poggiati sulle strutture ormai indebolite dal tempo. Ciò
nonostante, la superficie abitabile e colonizzabile dalla fauna marina è ancora
notevole e il relitto è oggi una vera e propria oasi, centro di raccolta di
animali che in genere frequentano gli ambienti rocciosi e che trovano qui il
loro habitat preferito; il metallo di un relitto sostituisce infatti la roccia e
presenta il vantaggio di offrire una maggior quantità di validi rifugi, specie
per grossi pesci.
Integrato con l’ambiente ormai alla perfezione (son passati oltre sessanta
lunghi anni dal giorno dell’affondamento), il relitto del Marzamemi è proprio da
considerare il relitto dei pesci, e che pesci.
Se si presta cautela, giungendo sul fondo con discrezione e in numero
limitato (non più di due sub per volta), è probabile riuscire a seguire un
percorso di andata e ritorno con l’opportunità di fare grandi incontri.
Qui vivono infatti indisturbati, un po’ come accade in molti relitti
sommersi, grandi serranidi (alcune specie di
cernie) e notevoli sparidi. La cosa che più
mi ha colpito di questo sito è stata la relativa tranquillità dei pesci.
Quando vedi una robusta cernia poco avanti ai tuoi occhi e hai il tempo di
osservarla in acqua libera prima che si giri e scompaia nei meandri
inaccessibili dello scafo, ti godi una scena che ti fa sentire al tempo stesso
visitatore educato e disturbatore di una quiete assoluta…
La cernia ti fissa alcuni istanti, capisce che non sei un pesce, la curiosità la
trattiene un po' ma poi vince la prudenza, che la porta
ad intanarsi.
Le fiancate dello scafo sono poi percorso ideale per l’andirivieni di bellissimi
saraghi fasciati, presenti in gran numero; isolati saraghi maggiori di
dimensioni veramente superbe (saraghi con i denti gialli, per intenderci…)
incrociano la rotta del subacqueo occasionalmente, non particolarmente timidi ma
comunque sempre guardinghi. Osservo con attenzione il comportamento dei pesci
quando mi immergo in queste acque perché dal loro atteggiamento cerco di
cogliere sempre qualche messaggio utile ai miei studi.
Qui, sul Marzamemi, con
cinquanta metri d’acqua sulla testa, senti una pace particolare, ovattata
dall’acqua mai trasparente e che, per quanto limpida in estate, è sempre un po’
annebbiata da sospensioni legate al tipo di fondale sedimentoso.
In questa atmosfera anche i pesci sono più lenti nel nuoto, più calmi, più
sicuri che non sei un intruso aggressivo, ma solo uno strano essere di
passaggio…
La fauna del relitto si
sente come protetta dal relitto stesso, sicura di abitare in un posto valido
sotto molti aspetti. Basta guardare un grosso polpo
o una gigantesca murena, come più volte mi è
capitato, per aver quasi l’impressione di trovarsi al cospetto di vecchi
abitanti di un paese fantasma, frequentato da pochi. E tu lì ad osservarli e
fotografarli, incantato come uno scemo, e loro a guardarti stupiti …
Che meraviglia sfiorare i muscolosi tentacoli del polpo che, irritato, ti invita
a spostarti più in là col suo “sbuffo” (un violento getto d’acqua), o inquadrare
il capo di una vecchia murena, a fauci aperte, che sembra mettersi in posa
davanti al fotografo!
E il tempo è scandito dal solo rumore delle bolle di scarico
dell’autorespiratore, che ti ricorda che devi salire al più presto.
La vita sul relitto del Marzamemi, in realtà, non è molto varia, i pesci son
quelli, gli invertebrati colonizzanti non sono tantissimi, la biodiversità è
limitata, ma nell’insieme l’ambiente è grandioso, bello, intrigante.
Sulle lamiere i pochi colori sono offerti da spugne
e idrozoi, piccoli
nudibranchi (prevalentemente flabelline lilla) e alcuni tipi di
alghe.
Ma ogni volta,
quando arrivi sul fondo, speri sempre che qualche abitante di quel vecchio
“borgo” nascosto nel mare si faccia vedere, ti venga a salutare, come per dirti
“ci siamo”, il luogo è vitale.
E così un relitto diventa anche luogo di scoperta della fauna marina, sito
d’interesse notevole anche per coloro che vogliono conoscerne la biologia e
studiarne, con passione, la diversità delle specie e, perché no, il loro
comportamento.
Ho preso spunto dal Marzamemi per iniziare a raccontare la biodiversità di una
serie di relitti sommersi nel Mediterraneo, che hanno molto da dire anche al di
fuori della storia del naufragio e comunque di quella storia sempre legata a
vicende umane.
Una volta tanto cercheremo di vedere le cose da un punto di vista diverso,
guardando magari quali specie di pesci vivono nelle stive anziché guardare solo
il contenuto delle stive stesse. |