Meduse,
splendide e velenose
Se da un lato è vero che ormai
da qualche anno siamo abituati a osservare gradi invasioni di meduse, è anche
vero che, di fronte a certi scherzi della natura, si rimane sempre senza fiato…
Ricordo
un giorno che il mare dello Stretto aveva sfumature insolite: il sole giocava a
nascondino dietro le ultime nubi di una perturbazione ormai agli sgoccioli.
L’alternanza della luce con l’ombra metteva a tratti in evidenza delle fasce
violacee in superficie, che non lasciavano molti dubbi sulla presenza di una
nuova massiccia invasione di meduse luminose (così dette perchè
lievemente bioluminescenti nell’oscurità).
Una bava di vento lambiva ancora l’ingresso del canale tra Scilla e Cariddi e,
dalla spiaggia di Scilla non si capiva bene se l’acqua fosse limpida o meno.
Solo immergendosi sarebbe stato possibile scoprirlo.
Indossata la mia vecchia muta stagna per affrontare i rigori di una stagione, la
primavera subacquea, sempre molto fredda nonostante il tepore del sole del sud,
bombole in spalla, scivolavo in acqua con in mano l’attrezzatura fotografica; ma
mi rendevo presto conto di aver lasciato i guanti dentro una scarpetta delle
pinne, alloggiate sotto un braccio e pronte ad essere calzate soltanto una volta
in mare.
Per evitare sorprese “ustionanti”, prima di allontanarmi da riva indossavo pinne
e guanti e, nuotando sul dorso, iniziavo un percorso in superficie verso la
verticale del punto d’immersione. All’improvviso, mi ritrovavo avvolto da una
densa coltre gelatinosa, talmente fitta da non consentirmi di infilare la testa
sotto il pelo dell’acqua…
Ovunque vedevo meduse, tante, troppe! Uno spettacolo unico, ma anche un
problema: dovevo trovare un angolino per iniziare l’immersione, una finestra che
mi consentisse di immergermi senza rimanere seriamente danneggiato. Lunghi e
temibili tentacoli erano ormai avviluppati ovunque, sulle fruste degli
erogatori, su tutto…
Cercavo invano di farmi spazio
con le braccia per ricavare il minimo spazio necessario per scendere giù almeno
qualche metro ma, nonostante gli sforzi, superavo la barriera di gelatina con
non poche difficoltà, saggiando per forza di cose le cellule urticanti delle
meduse nell’unico spazio scoperto che un subacqueo può avere: i dintorni della
bocca e quel poco spazio tra maschera e cappuccio della muta.
Finalmente sott’acqua, raggiungevo acque aperte, libere dal sovraffollamento.
Girandomi adesso verso la superficie potevo osservare con più calma quello
spettacolo incredibile: masse di milioni di individui, addensate a formare
colonie così fitte da non lasciar passare la luce, impedivano persino alla luce
di arrivare sul fondo. C’erano meduse d’ogni dimensione, ma tutte della stessa
specie: Pelagia noctiluca.
Quando si osservano le meduse,
specie quelle urticanti, non si deve pensare mai al dolore che si prova quando
si entra in contatto con gli cnidoblasti, le
temibili cellule responsabili dei danni all’epidermide umana…
Osservare queste straordinarie creature significa pensare a quanto è stata
grande la Natura: sono esseri meravigliosi, fatti quasi completamente di acqua,
ma con forme, colori e movimenti talmente aggraziati da stupire sempre e non
stancare mai. Subisco il fascino delle meduse da quando vado sott’acqua, quindi
da sempre, e non mi stanco mai di osservarle e fotografarle.
Guardavo
le meduse dal basso verso l’alto, dal fondo verso la superficie, con i raggi del
sole che filtravano dal cielo, sfondano la superficie del mare e attraversano i
corpi di gelatina, mettendo in risalto la sagoma trasparente di una struttura
unica nel regno animale.
La mia mente non riusciva a comprendere come questi animali potessero vivere
così addossati gli uni sugli altri.
Mi vien da pensare al traffico di un centro urbano ma poi mi ricordo che le
meduse non “vedono” e probabilmente non percepiscono quanto io, essere umano,
sto immaginando.
Le più grandi sono rosa o fucsia, con diverse sfumature
intermedie; le mediane sono bruno giallastre; le più piccole brune o bianche.
E ce ne sono di talmente piccole che non hai scampo quando avanzi pinneggiando
nell’elemento liquido.
Te le ritrovi addosso, dappertutto. E quelle adulte hanno tentacoli lunghissimi,
tanto da creare una rete micidiale dove, se passi, ci resti…
Ma l’immersione volge al termine e, tra cento
individui di un angolo di superficie, riemergevo a stento, con ancora addosso
qualche medusa penzolante, che una volta fuor d’acqua è privata della sua
eleganza e del suo straordinario fascino.
Osservare le meduse spiaggiate e sballottate dalle onde quasi dispiace, ma è il
loro triste destino, è una fase della loro esistenza!
Le meduse mediterranee, com’è
ormai noto, hanno l’abitudine di arrivare in massa, dando luogo a delle vere e
proprie invasioni. Il lasso di tempo fra un'invasione e un'altra si chiama ciclo
e il suo calcolo è stato per lunghi anni un grande mistero.
Questi periodi, ancora oggi, restano in gran parte imprevedibili nella loro
lunghezza e nell'intensità. La medusa luminosa, in particolare, ha un
calendario ormai più o meno prevedibile, tanto che Jacqueline Goy, docente
all'Istituto Oceanografico di Parigi e ritenuta l'unica 'medusologa' mondiale,
può azzardare la durata del ciclo: circa 12 anni.
Nel 1992 la previsione fu azzeccata in pieno, e nel 2003 il bis ha confermato la
durata del ciclo. L’attenzione della ricercatrice francese portò inoltre a una
nuova scoperta, che rivelò una struttura perfetta e insospettabile: centinaia, a
volte migliaia, di microscopici occhi sono distribuiti sul gelatinoso guscio
esterno della pelagia. Stupefacente…
Adesso non rimane che
aspettare di capire, come vuole la scienza, qualcosa in più sulla loro biologia
o, in alternativa, restare più umilmente ignoranti e limitarsi a godere degli
spettacoli offerti gratuitamente della natura.
Ricordo, quando iniziai a
scattare foto sott’acqua, la prima fotografia fatta a una medusa a luce
ambiente, sotto il pelo dell’acqua: era il 1983 e da quel giorno, per diversi
anni, non vidi più meduse, fino all’inizio degli anni novanta. Tutto sembra
quindi confermare le teorie sui cicli d’invasione di questi celenterati. Ma
quest’anno cosa sta accadendo?
Son passati solo quattro anni dal 2003, e le meduse non hanno mai smesso di
frequentare le coste italiane, con presenze massicce nel 2004 e, soprattutto,
nel 2005. Inoltre pare che adesso ci sia una nuova invasione notevole, di quelle
che non si dimenticano e che possono compromettere persino la balneabilità delle
acque.
Ciò nonostante, il fascino di questi esseri sconosciuti, dai mille colori e
dalle incredibili sfumature, certamente pericolosi ma anche indifesi (aggredire
è la loro unica speranza di sopravvivere), coinvolge sempre il subacqueo
appassionato. Incontrare alcune specie di meduse sott'acqua è un’emozione quasi
sempre indimenticabile e la pelagia, in quanto a spettacoli, è ai primi posti.
Il lento movimento delle meduse e il loro «palpitare» permettono un'attenta e
ravvicinata osservazione subacquea e lasciano allo spettatore un velo di mistero
e di grande curiosità.
Le meduse appartengono al
phylum zoologico forse più noto tra i subacquei: i
Celenterati o Cnidari. In questo gruppo sono
comprese tre classi e quella delle meduse è denominata
Scifozoi, che significa letteralmente, animali a forma di tazza. Il
termine Cnidari proviene invece da particolari cellule, gli
cnidoblasti, che contengono, come già detto, una
struttura urticante, detta nematocisti. Tale
struttura è costituita da un filamento avvolto su se stesso, che viene espulso
se sottoposto a stimolo meccanico o chimico.
Le meduse luminose sono dotate di queste particolari cellule, sparse sui
tentacoli in modo tale che, appena l'animale è sfiorato, le nematocisti
scaricano improvvisamente il filamento, che va a conficcarsi nella malcapitata
preda o, più raramente, nell’epidermide di un bagnante di passaggio.
Per gli esseri umani la sensazione di bruciore è istantanea e forte,
paragonabile ad una vera e propria ustione.
Da qui la nascita di un odio particolare dei bagnanti verso le meduse, urticanti
e non purché meduse; il termine “medusa”, per molti, ricorderà sempre e comunque
quel terribile bruciore col quale, più o meno tutti, ci si è imbattuti almeno
una volta nella vita.
Il corpo di una pelagia ha una
forma a campana, detta ombrella, con una struttura
allungata al di sotto, detta manubrio, che spesso
si divide in più braccia e
tentacoli. Costituite dal 98% di acqua, una volta tolte dall'elemento
liquido le povere meduse si afflosciano e perdono ogni forma.
Nell'ombrella è contenuta una struttura gelatinosa, denominata
mesoglea, che consente alla medusa di galleggiare e
sentirsi a suo agio in balia di onde e correnti. La locomozione e gli
spostamenti verticali sono forniti da fasci muscolari
disposti lungo il margine interno dell'ombrella; una tale muscolatura è
responsabile delle contrazioni ritmiche che non esiterei a definire “pulsanti”
dell’ombrella stessa, uno degli elementi determinanti nella costruzione del
fascino di queste creature.
La Pelagia noctiluca ha dimensioni piuttosto ridotte (circa 10 cm. di
diametro) e colorazione variabile, dal bruno al rosa o violaceo, secondo l’età;
i suoi tentacoli sono talmente lunghi e sottili da poter superare i due metri di
lunghezza. Per questo motivo, la presenza di una moltitudine di meduse crea una
fitta rete urticante, davvero temibile.
Come tutte le altre meduse,
anche la pelagia fa parte del plancton (più precisamente rientra nella categoria
"megaplancton", cioè organismi di grandi
dimensioni); gli animali del plancton sono tutti quelli che non riescono ad
opporsi in modo determinante alle onde o alle correnti marine e che quindi hanno
sviluppato una serie di adattamenti tali da permettere loro la massima
galleggiabilità.
La
caratteristica "ombrella" a forma di paracadute delle meduse non è infatti un
caso, ma rappresenta una forma di adattamento specifico al tipo di vita
pelagica!
La riproduzione
delle meduse è piuttosto complicata, ma molto intrigante.
Due sono le fasi principali: una sessuale ed una asessuale.
Nella riproduzione sessuale, la femmina emette le uova che vengono poi fecondate
dal maschio. Sotto forma di una piccola larva ciliata (planula)
inizia così una nuova vita, che per un po' di tempo nuota nel mare.
La planula scende poi sul fondale e vi si fissa; quindi si trasforma e assume
una nuova forma: il polipo. Quest’ultimo, chiamato
scifostoma, è simile ad una piccola medusa
capovolta.
Solo adesso inizia la riproduzione asessuale: il polipo inizia a sezionarsi
trasversalmente, assumendo l'aspetto di una “pila di piatti”.
Ogni singolo “piatto”, detto efira, si stacca poi
dall'organismo centrale e si capovolge, e diventando gradualmente una medusa
adulta.
Credo
che approfitterò di questa nuova stagione primaverile all’insegna delle meduse
per tuffarmi più volte nel mare dello stretto, tra Scilla e Cariddi.
Qui le correnti convogliano grandi popolazioni di questi celenterati
vaganti nel Mediterraneo, e per godere di uno dei più straordinari fenomeni
naturali, alterati o no dall’uomo è ancora da vedersi, basta coprirsi
adeguatamente il corpo con una buona muta e immergersi, “intrufolarsi” nel
gruppo appena sotto il pelo dell’acqua.
Con una fotocamera, con una
videocamera o con i soli occhi, le emozioni e le sensazioni saranno comunque
molto forti. |